Quando Pegasus e compagni andarono per due volte in trasferta ad Asgard
L’altro giorno, guardando in maniera estremamente distratta un cartone animato con i miei nipoti, non ho potuto fare a meno di pensare, ancora una volta, a quanto sia cambiato il mondo in tutti questi anni. I cartoni animati moderni – di cui non so praticamente nulla, titoli compresi, se non quel poco che devo forzatamente vedere durante i momenti baby sitter – sono profondamente diversi da quelli che hanno accompagnato la mia generazione durante la crescita.
Ai miei tempi™ era consuetudine, dopo la scuola, liberarsi dei compiti nel modo più veloce possibile, accendere l’ingombrante televisore a tubo catodico e sbracarsi sul divano con una merendina yo-yo e un succo di frutta Billy per attendere la puntata quotidiana della serie animata preferita. In quel periodo, collocato nei primissimi anni Novanta, di anime popolari e di successo ce n’erano molti, ma quello di maggior fama fu, molto probabilmente, I Cavalieri dello Zodiaco.
Andato in onda prima su Odeon TV e poi su Italia 7, l’opera basata sul manga di Masami Kurumada vedeva al centro degli avvenimenti i suddetti cavalieri, giovani eroi senza macchia e senza paura fedeli alla dea Atena, dotati di armature mistiche e tecniche di combattimento straordinarie, pronti a misurarsi con qualunque avversario in nome della giustizia. In mezzo a una moltitudine di combattimenti sempre conditi da una discreta dose di sangue, spesso e volentieri l’anime non lesinava nel parlare dei valori fondamentali dell’uomo: concetti come amicizia, famiglia, lealtà, libertà, giustizia e pace venivano espressi in maniera per nulla velata, un po' a sottolineare che la violenza è sempre la strada sbagliata scelta dall’uomo (concetto purtroppo quanto mai attuale) e quanto il potere possa corrompere anche il più retto e onesto degli uomini. In molti si ricorderanno che, prima del passaggio della serie su Italia 7, la serie si interrompeva sempre una volta che Pegasus giungeva alla casa del Leone; dopo aver finalmente visto la fine della saga del Grande Tempio, vedere il nuovo ciclo fu una sorta di piccolo shock: Pegasus e compagni, abbandonate le vecchie armature, ormai logore e a pezzi, in favore di vestigia più moderne, avevano temporaneamente lasciato la calda e assolata Grecia per una trasferta nelle gelide e desolate lande di Asgard, luogo inospitale situato nel Nord Europa, fatto di ghiacciai, foreste e acque gelide e scure (senza dimenticare gli onnipresenti burroni, in cui i nostri eroi non potevano fare a meno di cadere almeno una volta a turno). Rispetto alla prima tornata di episodi, che ci metteva un po' ad arrivare al sodo – vale a dire la scalata alle dodici case – qui era tutto molto più asciutto e privo di fronzoli: Hilda di Polaris, sacerdotessa di Asgard, era stata soggiogata (si scoprirà solo in seguito da Nettuno) dopo aver indossato l’anello del Nibelungo, perdendo la propria natura pacifica in favore di mire espansionistiche verso la Grecia. Non c’è bisogno di aggiungere nient’altro: I Cavalieri di Atena ingaggiano una nuova battaglia contro i Guerrieri del Nord, cavalieri sulla carta addirittura più forti di quelli d’oro e ispirati alla mitologia norrena, ognuno di loro con alle spalle una storia personale più o meno tragica, nominati cavalieri direttamente da Hilda in persona: niente maestri, allenamenti o prove da superare. Alcuni erano particolarmente riusciti, come ad esempio l’ambizioso e doppiogiochista Megres e il fedele Orion, altri abbastanza insipidi come l’immancabile versione di Thor o il suonatore d’arpa Mime.
Nulla di particolarmente nuovo sotto il sole (ma questo era, in fondo, quello che volevano i bambini dell’epoca, no?), lo stesso schema si sarebbe poi ripetuto nel terzo e momentaneamente ultimo ciclo, quello dedicato a Nettuno, che avrebbe preso il via subito dopo la vittoria ottenuta da Pegasus grazie all’armatura di Odino, rappresentato da un’imponente statua in cui il dio era fermo in una posa guerriera, che in pratica fungeva da custodia per l’armatura stessa, guadagnata dopo la raccolta dei sette zaffiri e la sconfitta di altrettanti avversari.
Potete immaginare la mia sorpresa quando, qualche anno dopo, mi regalarono, non ricordo per quale occasione, una VHS del film L'ardente scontro degli dei. Oltre al fatto che non sapevo nemmeno che fossero stati prodotti dei film tratti dalla serie animata, la grossa sorpresa fu, durante la visione del film, che durava poco più di un’ora, realizzare che questo non c’entrasse apparentemente nulla con il ciclo di Asgard. Nel film i Cavalieri di Atena giungevano ad Asgard dopo la scomparsa di Crystal, e dopo aver fatto la conoscenza dell’ennesimo sacerdote malvagio che vuole dominare il mondo, iniziano gli scontri, ma le differenze sono molte: oltre al fatto che le armature sono quelle vecchie, gli stessi Cavalieri di Asgard sembrano i fratelli poveri di quelli poi effettivamente visti nella serie animata (erano più o meno riconoscibili Thor, Luxor e Megres, anche se avevano nomi e tratti differenti). Scoprii poi solo diverso tempo dopo che quel film, slegato dalla continuity della serie originale, era una sorta di anticipazione di quello che sarebbe poi stato il vero e proprio ciclo di Asgard.
Come sostenevo all’inizio del pezzo, da bravo anziano nostalgico, prodotti così non ne fanno più. I Cavalieri dello Zodiaco, oltre a mettere al centro, a volte in maniera anche particolarmente sentita, valori e ideali umani, è dotato di un’epica e di una solennità che oggi immagino sia praticamente impossibile da trovare in un qualunque cartone animato (perdonatemi ma preferisco usare questo termine piuttosto che il corretto “anime”) ed è un peccato che non si cerchi di instillare nelle nuove, giovanissime generazioni, almeno un’idea dei concetti che dovrebbero essere alla base di ogni essere umano. Senza contare che, almeno per quanto mi riguarda, all’epoca mi avevano anche fatto interessare alla storia greca, alla mitologia e alla letteratura, che negli anni della scuola non era cosa da poco. Ricordo ancora la dantesca citazione di Pegasus durante un combattimento: “A questo punto non mi rimane che accettare la sfida; vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”.
I primi anni Novanta rappresentarono la “golden age” dei Cavalieri, che erano ormai conosciuti ovunque in Italia, spopolando anche nei negozi di giocattoli con modellini di ogni personaggio possibile e immaginabile (ma non con i videogiochi, relegati solo al mercato giapponese, almeno fino alla comparsa dei primi picchiaduro per PlayStation 2) e generando anche imitazioni più o meno palesi come I Cinque Samurai, finendo poi in naftalina fino alla nuova saga ambientata nientemeno che negli Inferi.
Dopo aver recuperato Hades molti anni fa, non ho più visto nulla di quello che arrivato dopo, che si tratti di film, nuove serie, prequel, spin-off e quant’altro (tra l’altro fra queste nuove produzioni c’è un terzo ritorno ad Asgard, questa volta da parte dei cavalieri d’oro che a quanto pare sono resuscitati per l’ennesima volta). Non che ci sia nulla di male nel voler rilanciare la serie, cosa che ormai è diventata consuetudine con i prodotti di quegli anni, ma sono sempre dell’idea che certe produzioni siano indissolubilmente legate agli anni della messa in onda, e che le nuove versioni cerchino di strizzare l’occhio più al pubblico di ieri che a quello di oggi, finendo spesso per non accontentare mai nessuno. Si tratta di uno di quei pezzettini d’infanzia che voglio tenere lì, nel mio ideale armadio dei ricordi, e che appartiene a un’epoca che non ha nulla a che fare con quella attuale. Oggi le nuove generazioni hanno altro e baseranno i loro ricordi su quello. E va benissimo così.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai vichinghi, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.