Il bonus stage dell'intervista a Rami Ismail
Senza voler togliere nulla agli altri, ché sono stati tutti ottimi, l’incontro con Rami Ismail al Reboot Develop Blue 2019 è stato forse il mio preferito della fiera, o del 2019, o vai a sapere. Ci siamo spaparanzati sulla balconata e siamo andati avanti a chiacchierare per quasi un’ora, parlando dei suoi inizi, del suo amore per i videogiochi, delle mille iniziative che ha portato e porta avanti per il bene del settore, fra presskit(), #1ReasonToBe e gamedev.world, e anche di qualcos’altro. Trovate la trascrizione in italiano quasi integrale dell’intervista su Everyeye, mentre nell’Outcast Reportage dedicato alle interviste che ho condotto in fiera potete ascoltare la conversazione in inglese e di seguito potete leggere la trascrizione del paio di domande e risposte conclusive che sono rimaste fuori di là. Servizio completo.
Buona lettura!
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Ultima domanda: qual è l’ultimo gran gioco a cui hai giocato e perché lo ritieni un gran gioco?
Te ne dico due. Lato indie, Baba Is You, un piccolo puzzle game, molto intelligente, con un feeling alla The Stanley Parable, da gioco sulle regole dei videogiochi. Sei una specie di cagnolino chiamato Baba ed è il classico puzzle game in cui spingi in giro oggetti, ma alcuni degli oggetti sono parole e quelle parole sono le regole del livello. Tipo, “Baba is You, Wall is Stop”. Quindi tu controlli Baba e il muro ti blocca, ma stacchi la parola Stop dalla frase, la regola decade e passi attraverso il muro. Questo concetto viene sviluppato in maniera affascinante e ci sono centinaia di livelli molto intelligenti. In tutta onestà, trovo che l’inizio del gioco sia la parte più interessante, perché è molto creativo e libero. Inizia più sandbox, poi diventa un po’ più un puzzle game lineare classico. Ma entrambe le vie sono esplorate in maniera molto divertente ed è un gioco parecchio stratificato.
Sei d’accordo che non è strettamente un gioco sul linguaggio, più sul linguaggio di programmazione?
Sì, assolutamente. È un gioco sulle regole, non necessariamente sul linguaggio, più su “Questo fa quello”, che è proprio una struttura da programmazione, un’espressione molto specifica del codice: le regole. E puoi fare cose incredibili, scrivi “Wall is Baba and Baba is You” e a quel punto controlli tutte le mura, a centinaia, ed è fantastico. È anche sciocchino, ma c’è una gran gioia nel giocare con quelle regole per trovare soluzioni che non siano quelle previste. In quel senso, mi ricorda molto i giochi Zachtronics, che sono fra i miei puzzle game preferiti.
L’altro titolo che voglio menzionare è un gioco su cui ho twittato molto: Ace Combat 7. Mi sto divertendo parecchio con Sekiro, ma non ho ancora finito di giocarci, quindi non ho ancora un’opinione completa al riguardo. Comunque, Ace Combat 7 è un gioco di combattimento fra aerei arcade, mescolato con il melodramma sopra le righe, la politica e la filosofia di un Final Fantasy. Stai volando, fai giri della morte, bombardi e intanto un tizio si chiede “Cos’è una nazione?”… e tu sei lì che “Ma… cosa… Sto combattendo, possiamo parlarne fra dieci minuti, quando atterro?” È fantastico, molto attento alla storia, al taglio cinematografico, centra quell’equilibrio fra la scemenzona e la serietà. È un po’ come Earth Defense Force, ha quel je ne sais quoi. Non so perché sia bello ma ci gioco col sorriso stampato in faccia. Ci sono dei momenti di narrazione incredibili e poi ci sono delle cose che ti lasciano allibito. C’è una scena in cui ti dicono il nome completo del cattivo e sono tipo ventisette nomi, sei lì che ascolti per ventisette secondi e… MACCOSA?!? Fantastico. Ho un debole per giochi del genere, perché perlomeno provano a fare qualcosa di diverso, di stupidino, bizzarro. Ah, e poi c’è Beat Saber! Bellissimo.