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Resident Evil 2 è un lungo viaggio nella memoria | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Ci sono giochi, film, canzoni, libri, serie televisive che più di ogni altre ci rimangono nella mente e nel cuore per diverse ragioni. La più comune è per il fatto che le associamo a periodi particolari della nostra vita o a situazioni che abbiamo vissuto, dove quell’elemento ne ha fatto parte in maniera più o meno centrale.

Uno dei giochi che più ho nel cuore è senza ombra di dubbio Resident Evil 2.

La prima volta che lessi di Resident Evil 2 fu sul numero del mese di novembre del 1996 della leggendaria Game Power. Il primo Resident Evil (ne ho scritto qui) era arrivato in Europa solo tre mesi prima, ma il seguito era già in sviluppo, tant’è che la pubblicazione era prevista per fine primavera/inizio estate del 1997, a un anno dal primo capitolo. Niente di insolito: a quei tempi i titoli di successo generavano seguiti a cadenza annuale, basti pensare al fatto che Tomb Raider e Crash Bandicoot tornavano nei negozi regolarmente sotto Natale, insieme al panettone, al torrone e a Vacanze di Natale con Boldi e De Sica. Quello speciale di Resident Evil 2 aveva solo due pagine e qualche foto sgranata, ma fu sufficiente per farmi versare diversi litri di saliva. Il seguito sarebbe stato ambientato all’interno della stazione di polizia di Raccoon City (che l’autore del pezzo aveva indicato per due volte come Lacoon City, quindi ne era proprio convinto) e avremmo controllato questa volta il poliziotto Leon Scott Kennedy e la giovane motociclista Elza Walker. Sarebbero tornati alcuni personaggi del primo capitolo come NPC e avremmo avuto la possibilità di cambiare gli abiti durante il corso del gioco, potendo contare su un arsenale composto da nuove armi, necessario per affrontare varie tipologie di zombi: quelli veloci, quelli più forti fisicamente e via dicendo. Il tutto condito con una dose di sangue e violenza ancora maggiore, tant’è che nel pezzo veniva paventata una preventiva censura, un po' com’era stato fatto per il primo gioco. Ancora non potevamo saperlo, ma quelle immagini sgranate appartenevano a quello che poi sarebbe stato rinominato Resident Evil 1.5, un prototipo mai realizzato e di fatto gettato via da Capcom perché ritenuto non all’altezza. Tuttavia, per i tanti che avevano amato il primo titolo, sembrava una manna dal cielo, e non vedevano l’ora di metterci le mani sopra.

Dopo lo speciale di Game Power, non sentii più parlare di Resident Evil 2 per quasi un anno, quando Super Playstation Console (poi diventata Super Console) pubblicò sul numero del mese di ottobre del 1997 un’anteprima di quanto visto al Tokyo Game Show. L’articolo descriveva i primi minuti di gioco, con Leon impegnato a fuggire dagli zombi che infestavano le strade di Raccoon City per cercare rifugio nel negozio di armi di Robert Kendo. Nessuna innovazione di rilievo: controlli e gameplay invariato, ma tanta tensione e violenza abbondante. “Il sangue cola copioso dallo schermo come nella scena del party di Scream” si leggeva nell’articolo. Ed Elza Walker era stata sostituita definitivamente da Claire Redfield, sorella di Chris, con un look provocante ispirato alla Lara Croft di Tomb Raider. Il gioco sarebbe stato pubblicato a gennaio del 1998 in Giappone e in Europa probabilmente a marzo, “solo” tre mesi dopo. Sembrava troppo bello per essere vero, e infatti non fu così.

Finisce un tribolato (per me) 1997 e inizia un 1998 che grazie al cielo si rivelerà decisamente migliore. Ma recensioni di Resident Evil 2 in giro non ce ne sono, nonostante le edicole all’epoca cominciassero già a strabordare di riviste dedicate alla scatolina grigia Sony. Si trattava, nella maggior parte dei casi, di riviste dedicate solo ai titoli in formato PAL e che trattavano esclusivamente PlayStation, e, nel mio caso, dopo la triste morte editoriale di Game Power, acquistavo e leggevo solo Super PlayStation Console, che però non aveva recensito il titolo – nonostante lo facesse regolarmente con i giochi giapponesi e americani –  così come la concorrenza. Siamo ormai a febbraio e ancora nulla, però ricordo ancora, a distanza di molti anni, di una lettera pubblicata nell’angolo della posta (che credo all’epoca fosse gestita ancora da Matteo Bittanti) di un utente che aveva acquistato Resident Evil 2 in versione import, lamentandosi della scarsa longevità del titolo, avendolo finito due giorni dopo averlo acquistato, chiedendosi come mai la rivista non avesse pubblicato la recensione del gioco “avvertendo” i lettori di tale difetto dello zombi adventure di Capcom. La risposta del redattore fu assolutamente lungimirante: Resident Evil 2 non era un semplice gioco, bensì un “evento”, tant’è che la rivista stava confezionando una recensione definita addirittura “colossale” per il numero di marzo. Mai parole furono più azzeccate.

Arriva finalmente marzo, e arriva finalmente la recensione di Resident Evil 2. La copertina di Super PlayStation Console ospita una Claire Redfield in versione sexy con una procace scollatura e una ferita al suo braccio sinistro, che si tocca con la mano destra, quella che impugna la pistola. La recensione di Resident Evil 2 la considero, ancora oggi, l’esempio perfetto di come recensire un gioco in maniera efficace, trasmettendo al lettore tutte le sensazioni di chi ci ha giocato. La prima parte del pezzo si concentra sugli aspetti principali del titolo: una violenza cruda ed esplicita, infarcita di gore, ed una tensione incredibile, giocata sulla presenza di zombi mugugnanti e bramosi di carne umana, e di aberranti boss, creature talmente spaventose e ripugnanti da far impallidire addirittura il Tyrant del primo titolo. E, da lì, l’accostamento di Resident Evil 2 ai classici del cinema horror, citando apertamente, oltre al maestro Romero, Peter Jackson (il cui nome non era ancora associato a Il Signore degli Anelli), pellicole come La Cosa e Alien. La seconda parte del pezzo si concentrava invece sugli aspetti più pratici del gioco, dall’innovativo “swapping system” (che incentivava la rigiocabilità del titolo fino a quattro volte, completando lo scenario A e poi lo scenario B con entrambi i personaggi), che permetteva alle differenti storyline di Leon e Claire di “intrecciarsi” per scoprire tutti i segreti del gioco fino a quello che, secondo il recensore, era il suo unico difetto: la semplicità degli enigmi (il vecchio “infila la chiave nella porta e la manovella nella fessura”). Come se la recensione non fosse stata sufficiente a convincermi dell’alta qualità del titolo – il pezzo si concludeva con “Resident Evil 2 è il titolo che vi ricorderà cosa vuol dire avere paura del buio” -  la rivista pubblicò nello stesso numero uno speciale di quattro pagine dall’inequivocabile titolo “Carne Morta”, dove si approfondivano brevemente diversi aspetti quali grafica, storia, nemici, personaggi (e qui, con un po' di disappunto, vennero spoilerati gli incontri con Ada Wong e Sherry Birkin, oltre che alcuni colpi di scena come lo scontro con il coccodrillo gigante nelle fognature), fino all’immancabile confronto fra la cover giapponese e quella americana. A differenza del primo Resident Evil, che aveva una cover jappo semplice, con un occhio insanguinato, e una yankee con Chris Redfield che imbracciava un fucile a pompa in versione Rambo, le cover di Resident Evil 2 erano abbastanza simili in entrambe le versioni: quella giapponese vedeva in primo piano uno zombi nascondersi dietro un angolo, con una porzione di volto appena visibile, mentre quella USA vedeva il volto di uno zombi con contorni appena accennati su sfondo nero, che poi sarebbe stata adottata anche per la versione PAL. L’ho sempre trovata bruttissima, ma, de gustibus. Lo speciale, si chiudeva poi annunciando la realizzazione del film di Resident Evil con Jason Patric nei panni di Chris Redfield e la presenza di Bruce Campbell – film mai realizzato – e un’immagine dello spot promozionale per il mercato giapponese, diretto da Romero in persona. Lo spot, ovviamente, non arrivò mai in Italia.

Ormai mi era talmente salita la scimmia per Resident Evil 2 che cominciai, con grande fatica, a mettere da parte qualche mancetta della nonna per cercare di racimolare il necessario per acquistare il titolo all’uscita della versione PAL, annunciata ufficialmente per maggio. Maggio arrivò, ma non avevo messo da parte nemmeno un terzo della cifra necessaria. A questo poi, aggiungiamoci che cedetti miseramente nell’acquistare la demo del gioco allegata a PlayStation Magazine Ufficiale, che immagino fosse la stessa presente nella Director’s cut del primo titolo. Una demo a tempo, di soli dieci minuti, con quel maledetto contatore che scorreva inesorabile, ma che avrei giocato e rigiocato diverse volte per vedere il più possibile del gioco. E, ogni volta, era pura magia: Leon che tentava di fuggire lungo le strade urbane di Raccoon City in mezzo agli zombi, rifugiandosi da Robert Kendo, l’armaiolo, prima di dover fuggire ancora, arrivando sempre con il fiato corto alla stazione di polizia. E lì, facevo giusto in tempo a incontrare Marvin Branagh prima che si trasformasse, poi il timer scattava inesorabile. Mannaggia.

Ma, l’attesa del piacere è essa stessa il piacere? No, accidenti, no che non lo è. Poi, finalmente, il mese successivo, grazie all’arrivo del compleanno, arrivò anche Resident Evil 2. Già solo tenere la confezione fra le mani, con quei due CD rosso sangue e quella scritta sul retro “Sconsigliato alle persone facilmente impressionabili” faceva presagire qualcosa di epico. E Resident Evil 2, epico lo era davvero. Il prologo sulle strade di Raccoon City, già stragiocato nella demo, nonostante fosse un corridoio, dava quasi un senso di libertà assente nel primo titolo. E quella stazione di polizia, che poi si scoprirà essere stata costruita sopra un museo, era anche più spaventosa di Villa Spencer. Una sensazione strana da spiegare, ma era veramente possibile percepire che qualcosa di maligno avesse preso possesso di un luogo comune. Se i cani zombi del primo titolo ti facevano perdere dieci anni di vita sfondando le finestre all’improvviso, qui ci pensavano i licker. E quell’inquietante musica da opera lirica, non faceva che aumentare la tensione, realmente palpabile. E tutti quei personaggi secondari, giocabili o no, con i loro background e le loro storie, davano davvero l’idea di essere in un film: da Ava a Sherry, che avremmo controllato per brevi sezioni, passando per il perfido commissario Irons fino a Ben, oltre al Dr. William Birkin, che avremmo dovuto affrontare nella sua orrenda forma fatta di zanne o occhi giganti in qualità di boss. Sarà che il primo Resident Evil lo sperimentai un po' a spizzichi e bocconi prima di giocarlo in maniera seria, ma Resident Evil 2 mi sembrò un gioco migliore sotto tutti i punti di vista: tecnico, narrativo ed emozionale. Un titolo che, pur in maniera rudimentale, si avvicinava davvero al cinema di genere, come neanche il primo aveva saputo fare. Un titolo più curato e rifinito del primo, e la sensazione generale era che non ci fosse davvero nulla di paragonabile al titolo Capcom, su nessuna piattaforma dell’epoca.

E, sì, Resident Evil 2 fu prima di tutto un evento, e poi un gioco. Da maggio in poi le riviste specializzate non si occuparono d’altro, perlomeno come argomento principale: recensioni, speciali, articoli di approfondimento, soluzioni. Le pagine pubblicitarie non mancavano, sottolineando come il gioco fosse localizzato in italiano (ma non per il parlato) e quanto fosse brutale. La vasca piena di sangue usata per la pubblicità del primo titolo era nulla di fronte al fegato insanguinato usato per quella di Resident Evil 2, che incitava il giocatore a trovare il coraggio per rigiocare l’avventura più e più volte, dato che “il virus di Resident Evil 2 ti ha già contagiato”, come recitava il testo. Ricordo anche uno spot promozionale andato in onda su MTV, nulla di eccezionale, ma era ancora abbastanza raro vederne.

Resident Evil 2 fu il mio titolo dell’estate 1998, una di quelle lunghe estate adolescenziali, occupando per la maggior parte del tempo lo schermo del mio televisore a tubo catodico, fra una partita dei mondiali e una puntata di Friends. Con grande costanza, lo giocai e terminai per quattro volte, sbloccando Hunk e Tofu (ma non Akuma di Street Fighter, la cui presenza era certamente una leggenda metropolitana, ma quanto sarebbe stato bello?). Fu grande amore con il titolo Capcom, ma poi, dopo il terzo episodio, le mie strade e quelle della serie si separarono per lungo tempo. La fine della generazione 32/64 bit aveva visto Resident Evil migrare (per un periodo poi rivelatosi limitato) su GameCube, e lo stesso genere dei survival horror, fatta eccezione per i capitoli di Silent Hill, aveva perso un po' di mordente, in favore di open world alla Grand Theft Auto che avevano una maggior presa sul pubblico. La stessa Capcom, oltre a “dissociare” Resident Evil da PlayStation, aveva cercato di percorrere altre strade con Dino Crisis, Onimusha e Devil May Cry, titoli che – chi più chi meno – avevano ereditato diversi elementi dal “fratello maggiore”, ma che, nonostante diversi capitoli pubblicati nel corso del tempo, non avrebbero mai replicato il successo e l’impatto culturale di Resident Evil, tant’è che due franchise su tre di quelli sopra citati sono ormai morti da tempo.

Fatta eccezione per Resident Evil 4, giocato solo nel 2015, ho saltato a piè pari tutto ciò che è uscito sotto il marchio Resident Evil: dalle tamarrate action come il quinto e il sesto capitolo, passando per i due Revelations, fino a quel Resident Evil 7 che ha sì rivitalizzato la serie ma che sembrava aver abbandonato definitivamente l’impronta dei vecchi titoli, virando su altre atmosfere.

Da quell’estate del 1998 dobbiamo fare quindi un lungo salto temporale, arrivando non proprio ai giorni nostri, ma quasi. A fine 2021, più precisamente a novembre, metto le mani sul famigerato remake di Resident Evil 2. Sì, quasi tre anni dopo l’uscita. Quando venne annunciato il remake ne fui ovviamente felice, non solo per il mio affetto nei confronti del titolo originale, ma anche perché era finalmente occasione per Capcom di riportare la serie sui binari originali, dopo che per anni i fan avevano invocato il ritorno del “vero” Resident Evil. Capcom, come nel 1998, aveva reso disponibile una demo a tempo (stavolta di trenta minuti) e lanciato uno spot in live action, esattamente come quello del maestro Romero. Insomma, la macchina del marketing premeva, logicamente, sugli adolescenti di ieri, oggi adulti, magari anche disposti a spendere cifre folli per accaparrarsi l’edizione extra lusso con la statua di Leon e della paccottiglia inutile. Ho pensato valesse la pena prenderlo al day one, poi, tra prezzi sempre alti e un backlog sempre nutrito, ho lasciato perdere.

Il remake di Resident Evil 2 è un gran bel titolo, estremamente rispettoso del materiale originale, ripensato dalle basi senza sconvolgere nulla, curato nei dettagli e pauroso come non mai, con quello stramaledetto Mister X sempre in mezzo ai piedi, che ti fa agitare solo sentendone i passi mentre ti nascondi in qualche stanzino. Ci sono tutti: dai protagonisti ai personaggi secondari, alcuni resi anche in maniera più approfondita. Sì, è lo stesso gioco ma è, allo stesso tempo, diverso. Ci sono nuove sezioni, nuove location, controlli moderni, un’atmosfera più oscura ma altrettanto paurosa. Anche qui abbiamo lo scenario A e lo scenario B per favorirne la rigiocabilità. In buona sostanza, è un gioco tirato a lucido e rinfrescato con una svecchiata dove andava modernizzato.

Nello stesso periodo in cui gioco al remake, esce nei cinema Resident Evil: Welcome to Raccoon City, reboot cinematografico della serie,che ha come obiettivo quello di lanciare una nuova serie di adattamenti cinematografici, stavolta molto più fedeli ai giochi originali. E in Welcome to Raccoon City ci sarebbe tutto per rendere felice i fan: scene e situazioni prese di peso dai primi due giochi e quell’atmosfera da film di serie B degli anni novanta. In particolare, di Resident Evil 2 abbiamo la stazione di polizia, il licker, il dottor Birkin e relativa mutazione, e ovviamente Leon e Claire.

E allora, perché questo senso di insoddisfazione? Perché Resident Evil 2, nella sua nuova veste, anche quella cinematografica, mi ha lasciato così?

Perché non è la stessa cosa.

Sarà, probabilmente, la nostalgia, ma le sensazioni del 1998 non sono tornate. Quel senso di meraviglia, di evento, di trovarsi a qualcosa di epico, non ci sono più, sono sensazioni che non possono tornare. Il Resident Evil 2 del 1998 è come quella ragazza con cui uscivi durante gli anni delle superiori: tutto era nuovo, tutto era una scoperta, tutto era un’emozione. Il Resident Evil 2 del 2019 è la stessa ragazza ma con molti anni in più. Sempre bella, sempre affascinante anche con qualche ruga sul viso, ma non provi le stesse cose.

Per quanto riguarda Welcome to Raccon City, se un film del genere fosse uscito nel 1998, probabilmente lo avrei adorato e mi sarei guardato la VHS fino a consumarla. Perché lo spirito del gioco c’è, ma è tutto così anni novanta che oggi non può funzionare, almeno non per me, non per lo spettatore che sono oggi. Trame raffazzonate e personaggi monodimensionali non li posso tollerare, non nei film di oggi. E poi Leon ridotto a una macchietta no, è veramente un’offesa al personaggio. Puoi anche cambiargli etnia, ma se lo dipingi come un citrullo che non sa nemmeno sparare con la pistola, no, non ci siamo proprio.

Cosa mi rimane oggi, venticinque anni dopo, dell’originale Resident Evil 2? Un bel ricordo, soprattutto. Di un titolo che per l’epoca rappresentò un passo concreto e importante nell’affermazione dei videogiochi come forma d’intrattenimento matura, un titolo che rimarrà rappresentativo dell’epoca d’oro PlayStation, un titolo che, insieme ad altri usciti nel 1998, come Ocarina of Time, Metal Gear Solid, Grim Fandango e Half-Life rimarrà impresso nell’immaginario collettivo e nella cultura di massa. E non è poco.