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Rise of Industry è il capitalismo più etico sulla piazza

Chi non è stato un po’ comunista, alle superiori? Io lo sono stato, però a casa giocavo a Capitalism II. Il gioco che sorpassava a destra Marx, delineando un mondo in cui non esistevano lotta di classe, sindacati, alienazione, il paradiso in terra della Scuola di Chicago: laissez-faire ovunque e soldi a palate. Capitalism è rimasta una serie di culto fra gli appassionati di gestionali, per come riusciva a rappresentare in maniera realistica tutti gli aspetti di un impero industriale, dall’approvvigionamento di materie prime alla finanza. Da allora, per motivi che non mi sono del tutto chiari, il genere si è spostato progressivamente verso la simulazione logistica, quindi produzione e trasporto, a scapito della gestione aziendale in senso olistico. Rise of Industry è, appunto, un gioco di logistica. Le basi sono queste: la mappa è composta da uno o più centri urbani, ciascuno con alcune richieste specifiche - prodotti agricoli, ad esempio, o mobilio. Nostro compito è soddisfare questi bisogni investendo il nostro denaro nella costruzione delle relative industrie, con la speranza di trarne un profitto. Il processo di produzione parte da zero: dobbiamo, per esempio, estrarre da noi l’acqua da destinare alle fattorie, o tagliare gli alberi e trasformarli in carta utile all’industria editoriale. Tra risorse, prodotti di base e prodotti di lusso, la scelta è parecchio ampia: alcolici, carburanti, abbigliamento… non esistendo un vero e proprio mercato con molteplici attori, però, i prodotti differiscono solo nella complessità della “ricetta” di produzione, ovvero nel numero di lavorazioni necessarie. Se i minerali li possiamo vendere direttamente dalla miniera, le vernici richiedono un impianto petrolchimico, acqua, coloranti e anche un contenitore adeguato. Man mano che venderemo le nostre cianfrusaglie, le città cresceranno, e con loro le richieste e, quindi, i nostri profitti. Oltre che produrre, però, dobbiamo anche trasportare, e qui appare un sistema abbastanza complesso di gestione del traffico. Si tratta, quindi, di costruire reti stradali quanto più possibile razionali, magari anche a senso unico per evitare che i nostri camion si ostacolino a vicenda, oppure contare su ferrovie e persino dirigibili.

Le due componenti non sono solo complementari, ma si fondano anche sullo stesso principio: l’efficienza. Rise of Industry consiste quasi del tutto in un lavoro di ottimizzazione: delle distanze da coprire coi mezzi di trasporto e delle diverse risorse da trasformare l’una nell’altra, con ritmi produttivi peculiari. In buona sostanza, Rise of Industry è un puzzle: non aspettatevi che simuli come funziona l’economia manifatturiera nella realtà. L’unico intralcio in questo altrimenti astratto meccanismo è rappresentato dall’inquinamento, che dobbiamo combattere con appositi edifici, pena la diminuzione di certe risorse e il rallentamento nella crescita delle città - e insomma, magari le aziende ripulissero l’inquinamento a spese loro. Rise of Industry appare ben presto come una specie di plastico, solo che, insieme ai treni, ci sono anche le industrie. Ed è un gran bel plastico, onestamente: la grafica non è, certo, di quelle che fanno cascare la mascella, ma è disegnata benissimo e molto gradevole da osservare in movimento, con la sua apparenza “plasticosa”, da città-giocattolo. Anche l’interfaccia fa il suo lavoro di buona lena e offre una serie di ausili visuali utili a capire, ad esempio, dove si stia producendo e trasportando cosa. Il numero di prodotti e industrie impone, però, una quantità piuttosto elevata di menù, e a volte ci si trova spaesati mentre si cerca di venire a capo di una catena produttiva particolarmente complessa.

In Rise of Industry c’è una modalità carriera, alcuni scenari con obiettivi specifici, e il classico sandbox. La differenza è, sostanzialmente, che in ambito sandbox tutto è disponibile dall’inizio e non esistono limiti alla costruzione, mentre la carriera ci guida, attraverso un albero delle tecnologie, verso i beni più avanzati, cioè automobili e computer. Le modalità sono tutte ampiamente personalizzabili sul piano della difficoltà e delle caratteristiche della mappa, certamente un punto a favore del gioco. Ci sono anche dei concorrenti gestiti dall’I.A., il cui compito principale sembra, però, infastidirci nell’ambito delle aste per l’acquisto dei diritti di costruzione. Il principio di Rise of Industry è, in effetti, semplicissimo, e il gioco può farsi sì complicato, ma quasi mai difficile: in qualche modo, ci sarà sempre un modo per ottimizzare la produzione e fare i big money. In un certo senso. va bene così, perché la ragion d’essere del gioco sta nella costruzione, non nella competizione; da un altro punto di vista, “rilassante” non è proprio l’aggettivo che mi viene in mente quando penso al capitalismo. Alla fine della fiera, Rise of Industry fa bene quello che promette di fare, e per questo è giusto consigliarlo. A patto, però, che si capisca bene di cosa si tratta. Le parentele più strette sono quelle con Factorio e il recente Anno 1800: c’è ben poco sul piano della finanza e del management (cioè, quello che fa un CEO), e molto su quello della microgestione tecnica e dell’ottimizzazione di spazi e tempi. Io, non ve lo nascondo, preferisco i titoli in stile Capitalism, ma se la logistica vi appassiona, Rise of Industry è una fra le migliori offerte sul mercato. E c’è anche la traduzione italiana, che è sempre apprezzabile.

Ho giocato a Rise of Industry grazie a un codice Steam gentilmente inviato dallo sviluppatore, con una macchina dotata di AMD 2700x, Nvidia GTX 1070 e 16 GB di ram, per una quindicina di ore. A livello tecnico, il gioco è filato liscio come l’olio, senza rallentamenti o bachi di sorta. Il gioco è disponibile solo tramite download su PC (su GOG e su Steam)