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Say No! More per un mondo del lavoro più sano

NO. Due lettere che fanno coppia nell’alfabeto, vicine, inseparabili, indistruttibili, pronte a tirarsi fuori dalle menate della vita quotidiana, che per la maggior parte del tempo è lavoro (e già questa è una roba come La corazzata Potëmkin) e che quindi per molti significa sbattimento e attesa del bello. Quello che c’è fuori dalle quattro mura grigie di un ufficio in cui si svolgono bovinamente mansioni idiote che non spostano di un centimetro i destini dell’umanità, consolandosi una volta al mese guardando un numerino che sale sull’app della banca (e che scenderà vicino allo zero il giorno dopo), come fosse un punteggio per aver portato a casa l’ennesimo stage (anche in senso contrattuale volendo… ah, già, ma in quel caso non ci sono soldi in ballo!) di un gameplay senza capo né coda, farming puro per ingrassare i conti dell’azienda.

Il nostro tempo le sue proteine, pasti regolari da otto ore per cinque giorni, concedendosi ogni tanto il cioccolatino degli straordinari. Tanto se il lavoro è organizzato da una scimmia c’è sempre qualcuno che può metterci una pezza, giusto? Ma sai che, stavolta… Anche NO! Perché rinunciare a una pinta di birra in compagnia del proprio amore per passarla davanti a un PC col nervoso che sale dai piedi fino alle tempie, martellandoti come Kratos che prende a cinghiate un titano? Perché buttare nel cesso un sabato che si può passare sciolti a letto o ammazzandosi di fatica su una bicicletta per arrivare in cima a quella collina e godersi il panorama? Say No! More di Studio Fizbin è pubblicità progresso, Katamari Damacy della negazione, commedia interattiva, bomba poligonale carica di satira e politica, un monologo “scegli la vita” di Mark Renton dove l’eroina è il lavoro, la produttività, giudicati in base al monte ore settimanale senza pensare che sì, se si vuole vivere dignitosamente qualcosa bisogna pur fare finché non si trova un’alternativa al capitalismo. Ma almeno facciamola pigramente, santo cielo!

Seeeeee, hai capito malissimo proprio!

Che poi questa è solo la punta dorata della piramide, puro idealismo, perché al piano terra, ogni giorno, si ha pure a che fare con tutti gli altri schiavi, tipo girone infernale. Quello che vuole fare il simpaticone, quello che prova a mollarti anche il suo lavoro, l’altro leccaculo, il viscido… E davanti a questa gente un NO è già abbastanza potente, li spiazza, contraddice la cultura dell’assenso che gli è stata inculcata, ma immaginate se un NO potesse spostare le montagne, o per lo meno far volare scrivanie, scartoffie, distributori con dentro KitKat del ’99 che costano come fossero da collezione.

Rispondere ad ogni richiesta stupida, cafona o invadente con una risata in faccia e poi un NO a giro in piena faccia come una punizione di Adriano, lasciandolo giù tramortito. Punk sotto forma di un’opera super fighetta nell’estetica; hipster, perché parla alla generazione dello stage eterno, la vita che diventa un roguelike rispedendoti al via una, dieci, cento volte, buttando giù questo schifo senza neanche tapparsi il naso e perdendo tutti i progressi.

E allora serve uno sfogo virtuale a quello che, forse, non si ha il coraggio di dire, fare, urlare! Lo sforzo è minimo, tra rail shooter e idle game, movimento automatico, un solo comando fondamentale (indovinate quale) e un sacco di modi per prendere in giro chi ci si para davanti. Applauso sarcastico e NO “intenso”, poderoso, ustionante come un Firaga, oppure illuderlo annuendo ai suoi discorsi per poi liquidarlo con un “NAAAAH” talmente distaccato da sgretolare tutte le sue convinzioni in frammenti d’umiliazione? Il limite sono solo il numero di tasti utilizzati dagli sviluppatori e la fantasia, mentre alcuni personaggi cominciano ad assomigliare clamorosamente a colleghi reali e tutto assume connotati sanguinosamente sadici, come quegli sfoghi che ci si gira e rigira in testa lungo la strada dall’ufficio a casa dopo una giornata di sterco. Quelli che, tendenzialmente, finiscono con noi che pisciamo sulla scrivania di qualcuno e ce ne andiamo buttando il cartellino nel tritarifiuti (si, è un mio pensiero ricorrente). Farsi licenziare con stile, insomma! Eppure non mancano certe finezze, come l’aiutare colleghi in difficoltà, che la pensano come noi ma non riescono a esprimersi tra le spire del sistema, ascoltandoli senza aver fretta di sparare NO a raffica e finendo così per scoprire sezioni nascoste che portano messaggi d’inclusività o anche semplici intermezzi irresistibilmente nonsense, come gli scontri con la setta della “gara di sguardi”. Adorabile.

Sfondare le porte con un NO caricato è veramente una soddisfazione! L’estetica alla Katamari Damacy da al tutto un’aura no-sense irresistibile!

Say No! More è l’allegorica demolizione, pezzo per pezzo, di tutto quello che negli anni è stato creato da chi ha sfruttato la passività dei lavoratori, terrorizzati dalla mancanza di posti di lavoro e quindi costretti a chinare la testa per tenersi quell’impiego, a costo di annullare sé stessi, rinunciare alla soddisfazione.

Il potere che torna in mano ai proletari attraverso il videogioco, risvegliando da quel torpore che affoga ogni discussione in un “va bene così, non lamentiamoci”, quando invece non c’è mai limite al “meglio” che si potrebbe avere e c’è sempre un buon motivo per non essere d’accordo, alzare la voce, fare le cose meglio sacrificando meno tempo di vita possibile, quella vera, in nome del lavorismo. Per questo dire NO diventa la nuova ghigliottina con cui affrontare i prevaricatori, gli arrivisti, i capitani d’impresa con la mentalità ferma agli anni Sessanta. E quant’è splendido quando il videogioco si fa manifesto delle più importanti e pressanti questioni sociali, deridendo i “padroni” e lanciando frecciate nel mucchio di chi, puntualmente, finisce sotto la lente d’ingrandimento della stampa per via del crunch e altre pratiche ignobili che sembrano farci regredire di secoli. Il piccolo studio indipendente che si permette di giudicare l’industria col suo “giochino” da due soldi. Che roba romantica. Poi, certo, rimane un’opera piccola, contenuta, scanzonata e fondamentalmente esilarante, surreale, ma non c’è una singola linea di dialogo che non sia parte integrante del messaggio di fondo, capace di descrivere con le sue battute (recitate benissimo oltretutto) condizioni psicologiche e lavorative che il giocatore è subito capace di cogliere e applicare alle proprie esperienze, parlando tanto di anti-capitalismo quanto di rapporti tra colleghi, a conferma che la vena comica di Studio Fizbin è scintillante, potente e soprattutto ben scritta, capace di glassare perfettamente il (poco) gameplay.

Non solo lavoro ma anche momenti di accettazione personale e inclusività. In tre ore Studio Fizbin riesce a centrare parecchi bersagli.

NO ‘em up in tutte le lingue del mondo (esilarante la creazione del personaggio) come slogan da portare in piazza dopo esserci esaltati da questo folle comizio virtuale!

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alla dimensione politica nei videogiochi (e non solo), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.