Sferriamo un tatsumakisenpukyaku alla crisi
Da qualche anno a questa parte, sta prendendo sempre più piede la tendenza a serializzare qualunque cosa e a produrre continuamente opere appartenenti allo stesso brand, non solo nei videogiochi, ma un po' in tutta l'industria dell'intrattenimento, dall'editoria, se pur in tono minore, al cinema. Prendiamo ad esempio l'E3 2012: se escludiamo i giochi mirati a funzionare con una periferica dedicata (penso al pur interessante Wonderbook o ai vari titoli Kinect) quanti giochi nuovi sono stati presentati alla fiera losangelina? Se lo chiedete a me, l'unico è forse Watch Dogs. Sebbene l'idea di base mi abbia ricordato da vicino la serie Person Of Interest, il titolo Ubisoft è l'unico che mentre guardavo il trailer non mi dava l'idea di aver già visto quelle cose (in quella forma) in un altro videogioco uscito di recente. Prendendo ad esempio un altro titolo di cui abbiamo potuto vedere il gameplay all'E3, The Last of Us ha dalla sua un'ambientazione molto interessante e un'elevata qualità tecnica, ma sembra un po' riciclare la struttura "third person shooter + quick time event" già vista lungo l'arco dei tre successi, anch'essi targati Naughty Dog, della saga di Uncharted. Per non parlare del reboot di Tomb Raider: mentre guardavo il filmato presentato durante la conferenza Microsoft, non ho potuto fare a meno di pensare che fosse proprio un Uncharted con il modello di Nathan Drake sostituito dalla nuova Lara Croft: sparatorie e quick time event a manetta.
http://youtu.be/FcMRkyoHKeA
Che poi, per carità, non sono neanche uno che non tollera i quick time event, ho giocato (se mi passate il termine) sia a Heavy Rain che ad Asura's Wrath, che fanno dei QTE la componente fondamentale dell'esperienza narrativa, eppure non mi hanno dato fastidio come nei trailer visti all'E3, proprio perché supportavano un'idea nuova e diversa rispetto a quanto offerto fino a quel momento sul mercato videoludico. Tralasciando il fatto che trovo un po' fuori luogo la presenza di QTE in un gioco action (sarebbe come far completare correttamente un trivia o un puzzle in mezzo ad un passaggio di FIFA 12 per renderlo vincente), trovo che questo continuo voler ripetere la meccanica di un gioco di successo in tutti i prodotti successivi sia controproducente. Capisco che poter contare su una meccanica collaudata per fare soldi - soprattutto in periodo di crisi - sia da un lato una sorta di sicurezza, un "bene rifugio" videoludico. Ma dall'altro lato si mettono da parte idee potenzialmente vincenti di team creativi che sono costretti a realizzare un prodotto non conforme alla loro idea originale, solo perché bisogna fare il gioco in quel determinato modo, perché vende (o si pensa che possa vendere). Mi viene in mente Hideki Kamiya, che ha dovuto realizzare il primo Devil May Cry secondo dettami Capcom e appena ha avuto sufficiente autonomia ha tirato fuori Bayonetta, riscrivendo completamente a distanza di anni il genere che lui stesso aveva creato e dando un'idea di come avrebbe voluto impostare da subito il gioco Capcom.
Ragionando in questo modo si satura il mercato sempre con lo stesso prodotto, portando il videogiocatore a chiedersi se i publisher non si siano accorti che stanno proponendo spudoratamente lo stesso Assassin's Creed (per dirne uno) da tre anni a questa parte con differenze minime tra un episodio e l'altro, tanto da portare il videogiocatore a risparmiarsi l'acquisto del nuovo episodio della saga perché non è nient'altro che un mero "more of the same" e quindi togliendo soldi all'industria, svalutando moltissimo la teoria del bene rifugio. Non sono così romantico da pensare che debbano tutti mettersi una mano sul cuore e sfornare roba nuova per amore della creatività (anche se spero sempre che venga quel giorno), ma non credo sia un rischio così insensato sacrificare il budget previsto per uno degli innumerevoli titoli copincollati dal blockbuster stagionale e spenderlo per una nuova IP. Come hanno fatto i ragazzi di Ubisoft, che non si sono limitati a fare una conferenza a base di meri seguiti e riproposizioni di vecchi brand e hanno proposto l'unica vera sorpresa della manifestazione 2012.
Per non parlare della scelta ancora più infausta di investire i soldi in un reboot: realizzare un nuovo gioco che cancelli il recentissimo passato di un titolo famoso, apprezzato dalla critica e con un'ampia fan base - come può essere Devil May Cry - e stravolgerlo quasi completamente, perdendo il character design vincente che contraddistingueva la saga e affidandolo ad un team che non ha propriamente brillato nei precedenti lavori di quel genere. Trovo che sia quantomeno discutibile realizzare un reboot di una serie di successo come quella di Dante e volerla stravolgere proprio partendo dal protagonista, a cui molti erano affezionati e con cui tanti erano cresciuti a suon di mazzulate e scalate allo style-o-metro su PS2. Se si voleva andare sul sicuro sfruttando il brand, si poteva realizzare un seguito. Se si voleva cambiare strada, tanto valeva provare qualcosa di veramente nuovo. La roba né carne né pesce difficilmente raccoglie i consensi del pubblico, tanto più che Bayonetta, come detto prima, ha sensibilmente alzato l'asticella qualitativa del genere e un titolo di bassa qualità scontenterebbe ancor più i fan storici della saga, che si aspetterebbero una risposta degna al titolo Platinum Games. Senza contare che tra poco Lollipop Chainsawpotrebbe aggiungere ancora qualcosa in termine di originalità e freschezza (ché noi a Suda 51 ci si vuole bene).
Forse dunque la crisi videoludica, ancor prima di essere economica, è ideologica. Einstein disse che è proprio nella crisi che sorgono l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Il problema è che forse non tutti sono così lungimiranti da investirci adeguatamente, preferendo soluzioni di comodo e, chissà che un giorno, guardandosi indietro, non si pentano delle scelte fatte.