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Il primo film di Silent Hill badava più alla forma che alla sostanza

In piena estate, si sa, la gente al cinema ci va poco, sicuramente ci va meno rispetto alle altre stagioni.

Chi va al cinema d’estate, si trova molto spesso a dover scegliere fra quelli che io chiamo “fondi di magazzino”, vale a dire quei film ritenuti, a torto o a ragione, poco attraenti o di bassa qualità, magari tenuti in naftalina dai distributori nostrani anche per diversi mesi e poi buttati in sala fra luglio e agosto per riempire la programmazione. Forse al giorno d’oggi le cose sono diverse, ma nel lontano 2006 lo scenario era sostanzialmente questo. Quando mi proposero di andare a vedere Silent Hill al cinema, io non ci volevo andare. E non certo perché fosse un film dell’orrore, quanto per il fatto che, molto probabilmente, si sarebbe trattato di un adattamento poco riuscito. Memore della visione di Street Fighter, i primi due Resident Evil, la pellicola live action di Super Mario Bros e tutta la monnezza targata Uwe Boll, ero certo mi sarei trovato di fronte a un altro film solo vagamente ispirato al gioco, girato magari con quattro soldi e con il nome Silent Hill in bella mostra sulla locandina come specchietto per le allodole.

Però, forte del fatto che potevo godere dello sconto per gli studenti universitari e che fosse la prima sera libera da tempo grazie alla fine della sessione estiva, decisi di accettare la proposta e di andare a vedere Silent Hill, senza aver letto mezza recensione.

Fortunatamente, i miei pregiudizi nei confronti del film si rivelarono sbagliati. Fortemente sbagliati.

Rose e Christopher Da Silva, una coppia benestante, devono affrontare il forte disagio psicologico della figlia adottiva Sharon, che da diverso tempo soffre di terribili incubi e turbe mentali che sembrano legati in qualche modo a Silent Hill, una cittadina fantasma del West Virginia. Rose, all’insaputa del marito, si reca a Silent Hill con Sharon nel tentativo di saperne di più, e sarà risucchiata in quello che sembra un incubo senza fine.

I fattori che rendono Silent Hill un adattamento degno di questo nome sono sostanzialmente due: l’estetica e l’atmosfera. Il film di Christophe Gans gode di inquadrature, sequenze e una fotografia notevole, che rendono la pellicola visivamente ispiratissima e fedele alle atmosfere del gioco. Quando Rose compie i primi passi nella cittadina, sembra proprio di avere il joypad in mano e di stare giocando al titolo del 1999. Le creature che infestano Silent Hill sono l’esatta controparte delle loro versioni digitali, a partire dai grey child fino alle demoniache infermiere dell’ospedale, passando per quell’orrenda mostruosità di Pyramid Head (un filo fuori contesto, dato che il film prende ispirazione sostanzialmente dal primo gioco e l’uomo piramide compare nel secondo capitolo). Anche le location sono una riproposizione fedele di quelle del videogioco, soprattutto l’inquietante Midwich School, e il passaggio alla dimensione “normale” all’Otherworld è resa in maniera efficace a livello visivo.

L’altro punto forte di Silent Hill è l’atmosfera. Tutto è così marcio, sporco, decadente e apparentemente deserto che il senso di smarrimento e di angoscia è assolutamente palpabile. E la scelta di una protagonista femminile rende tutto più credibile e spaventoso. Rose, nonostante sia fortemente determinata a ritrovare la figlia, urla e strepita per buona parte del film, trovando solo nel terzo atto – anche grazie a un elemento che si rivelerà fondamentale per la sua “vittoria” - la forza di contrapporsi al male che cova nelle viscere della città. La stessa poliziotta Cybil, nonostante la rudezza che la caratterizza, non riesce a non farsi travolgere dall’incubo in cui è stata catapultata, una situazione in cui ci si sente smarrite nel non capire cosa stia succedendo ma con la necessità di sopravvivere ad ogni costo.

Nonostante la forte connotazione psicologica, in Silent Hill non mancano le scene gore, alcune anche molto cruente, che nonostante sembrino quasi lasciar scivolare la pellicola dalle parti del B-Movie, non sono mai gratuite ma si amalgamano perfettamente con la disturbante angoscia psicologica del film, rendendo il tutto un circo degli orrori che ti prende, ti inghiotte, e solo dopo un lungo viaggio nel grembo della città ti sputa fuori, forse vivo o forse no.

Ad aumentare il coinvolgimento durante la visione del film è la presenza delle musiche dei primi capitoli, soprattutto di quel Laura’s Theme che ha continuato a riecheggiare nella mia testa dopo aver finito per la prima volta Silent Hill 2.

Ma, ahimè, non tutte le ciambelle riescono con il buco, e la trama di Silent Hill di buchi ne aveva qualcuno di troppo. Senza entrare nel merito delle divergenze fra la trama del gioco e quella del film, la pellicola di Cristophe Gans a livello narrativo risulta confusa in più occasioni, soprattutto per alcuni personaggi come Anna, che sembrano assolutamente non funzionali alla trama e buttati lì a caso, e il detective Thomas Gucci, il cui ruolo non è del tutto chiaro. Anche le sequenze che vedono il marito di Rose (interpretato da Sean Bean, uno dei pochi film in cui non muore), sembrano solo un riempitivo per allungare il brodo e nulla più.

Ma, al di là di tutto, il film di Silent Hill funziona. Chi ha amato e respirato l’atmosfera angosciante e inquietante dei primi giochi si sentirà a casa guardando la pellicola di Gans, che riesce a cogliere in pieno lo spirito della serie Konami. E funziona anche come film horror a sé stante, tanto che anche chi non ha mai sentito neanche lontanamente parlare del videogioco potrà godersi un horror appagante e coinvolgente, addirittura claustrofobico in certe sequenze, con una tensione viva e pungente soprattutto nella parte finale.

Uscendo dal cinema, con ancora in mano il mio bicchiere maxi di Coca-Cola per combattere il caldo soffocante, mi fermai un attimo a guardare la locandina del film, con la protagonista interpretata da Radha Mitchell di spalle, intenta a camminare lungo le strade di quella città maledetta avvolta nella nebbia e nella cenere. In quell’istante, ancora piacevolmente colpito dal film, ebbi come la sensazione che le cose stessero finalmente cambiando, con le major hollywoodiane finalmente più attente nella realizzazione di pellicole ispirate ai videogiochi. In questo caso sì che mi sbagliavo, dato che, ancora oggi, Silent Hill rimane molto probabilmente il miglior adattamento di un videogame su grande schermo.

Nonostante sia nella mia watchlist da tempo immemore, non ho mai visto Silent Hill: Revelation, basato sul terzo gioco, però mi dicono dalla regia non essere un granché. Piuttosto, attendo di più Return to Silent Hill, terza pellicola che adatterà il secondo capitolo della serie Konami, che vede Christophe Gans tornare al timone come regista, e scommetto che, vista l’accoglienza scoppiettante ricevuta dal remake di Silent Hill 2, non tarderà troppo ad arrivare.

Questo articolo fa parte della Cover Story “I migliori spaventi della nostra vita”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.