Outcast SOTY 2021
L’anno scorso ci abbiamo preso gusto a fare con calma, lasciando germinare e maturare lungo i primi giorni del mese, e quindi è parso il caso di ripetere l’esperienza quest’anno. Eccoci allora ai nostri ormai tradizionali OTY, i premi per il meglio del meglio dell'anno che si è da poco concluso. Le regole, come sempre, sono semplici, e infatti le copincollo da quelle degli anni passati: ciascuna delle persone partecipanti, selezionate in base al classico criterio "Chi c'ha voglia", integrato con "Chi si ricorda", "Chi mi manda la roba per tempo" e "Chi non ha la sfiga di avermela mandata in una maniera che abbia fatto sì che poi io me la sia persa", deve indicare una serie, un film e un videogioco che ritiene svettino rispetto a tutto il resto e dare anche una minima motivazione. Ovviamente, poi le regole vanno subito nel cesso e ogni singola persona fa quel che vuole, ma insomma, siamo fatti così.
Come sempre, lo spirito non è quello di fornire indicazioni oggettive e completissimissime, è solo che ci piace dire la nostra e, magari, consigliarvi cosette interessanti che vi sono sfuggite. Tutto qui. Si comincia oggi con le serie TV, poi domani i film e infine mercoledì i videogiochi.
Buona lettura e buon 2020!
Stanlio Kubrick
Non scassate: ho visto relativamente poche serie nel 2021, non ho visto quelle serie serissime che piacciono a pubblico e critica e sono sempre citate nelle classifiche di questo tipo, non ho visto quelle serie animatissime che piacciono a pubblico e critica e persino ar cane e sono sempre citate nelle classifiche di questo tipo, insomma sono fuori dallo zeitgeist st st del divertimento seriale televisivo per cui è inutile che veniate a spiegarmi di LOL (quello con Fedez e Mara Maionchi) o di LoL (quello con Vi e Jayce). Ho visto roba a caso, e Bla Bla Ciliegia mi ha colpito perché “serie Netflix di chiara ispirazione lynchana” è una di quelle frasi che si sentono spesso pronunciare nei più bui corridoi dell’Inferno, e invece, sarà perché la serie osa più di quanto mi aspettassi e non ha paura di respingere fette anche ampie di pubblico, sarà perché Rosa Salazar riempie un’inquadratura anche se le inquadri solo l’alluce da molto lontano, sarà perché più che Lynch nella serie c’è tanto Carpenter, Cronenberg, Raimi, sarà perché ti amo, fatto sta che ero pronto al disastro e invece sono stato intrattenuto, disgustato, affascinato e persino arrapato per tutti e otto gli episodi.
La sorpresa più grossa del mio 2021 è Ted Lasso. A forza di vedere su AppleTV+ il faccione sorridente dell'allenatore di football prestato al calcio inglese, mi sono deciso a dargli una chance (non avevo visto neanche la prima stagione) e vabbè, sono rimasto inchiodato al divano fino al termine dell'ultimo episodio della seconda. Bellissimo, divertente, leggero, commuovente, Ted Lasso ha tutto, e quando ho scoperto che dietro questa serie si cela lo stesso creatore di Scrubs e Spin City ho capito anche perché mi sia piaciuto così tanto.
Natale Ciappina
Loki è una specie di adattamento seriale dell'Ordine del Tempo di Carlo Rovelli, ma con le coltellate nella schiena al posto della teoria della relatività: bellissimo, ma che belle pure tutte le serie TV della Marvel, ognuna unica nel suo genere, seppur fra alti e bassi.
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Angelo Di Franco
Da qualche tempo, alcune serie TV di successo vengono riportate in vita con i cosiddetti “revival”, vale a dire miniserie o addirittura nuove stagioni che vengono prodotte a distanza di anni dalla fine della serie originale, generalmente con buona parte del vecchio cast. Personalmente, ho sempre guardato con sospetto operazioni di questo tipo, soprattutto per via del rischio di riaprire linee narrative chiuse definitivamente, cercando, in maniera magari troppo forzata, di far dire qualcosa di nuovo a personaggi che non hanno più nulla da dire. Dexter era però terminato con una stagione finale, l’ottava, talmente brutta e svogliata che meritava una chiusura diversa. Dexter: New Blood tenta di rimettere le cose a posto, con un’operazione nel complesso riuscita ma non esente da difetti: Dexter viene qui rappresentato in maniera diversa rispetto al passato, immerso nella sua vita eremitica da persona qualunque nella fredda e noiosa cittadina rurale di Iron Lake, quando il passato torna inaspettatamente a bussare alla sua porta, in concomitanza con i vecchi istinti mai del tutto scomparsi e vecchi fantasmi che non hanno mai smesso di accompagnarlo quotidianamente. Il ritorno al timone di Clyde Phillips, storico showrunner della serie nelle sue stagioni d’oro, si sente tanto nella narrazione quanto in una certa dose di fanservice, con omaggi e rimandi alle stagioni più amate della serie originale. Non tutto fila liscio, certe forzature diventano fin troppo frequenti negli episodi centrali della serie e il tanto atteso villain fa intravedere solo una parte del suo potenziale, complice una scrittura del personaggio non del tutto riuscita e una certa voglia di creare una sorta di emulo del Trinity Killer, l’avversario più celebre di Dexter. Ma New Blood nel complesso funziona: tratta con rispetto il materiale originale e riesce in maniera abile a sviare lo spettatore dal suo vero scopo, che non è quello di riportare in scena l’ex ematologo forense o di creare – salvo future sorprese – ulteriori serie parallele, quanto di dare un vero e proprio finale alla serie madre e al suo iconico protagonista.
Stefano Talarico
Da qualche anno a questa parte faccio sempre fatica a incoronare la mia serie preferita dell’anno, sarà che mi sono adeguato allo streaming legale (e comunque finisco per guardare la metà delle cose che vorrei guardare), sarà che anche che la roba interessante riesce a schiantarsi e a bruciare con una velocità disarmante (The Morning Show, sto guardando te), ma direi che, al netto di un Rick & Morty sempre in palla, ma comunque arrivato alla quinta stagione, Ted Lasso si porta a casa il trofeo. La seconda stagione di Ted Lasso è riuscita ad ampliare quanto di buono fatto nella prima (che ho comunque recuperato quest’anno), dando tridimensionalità ai personaggi secondari e allo stesso protagonista, regalandoci una serie sul calcio fortissima, non scontata anche se sul filo del prevedibile, in cui comunque il legame con i personaggi e con le situazioni è più forte della tua razionalità da persona che ha già visto, letto e subito di tutto. Un po’ come succede col calcio vero, insomma.
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Stefano Calzati
Ne ho già scritto su queste pagine ma è giusto ribadire anche qui quanto Midnight Mass di Mike Flanagan (su Netflix) sia una serie straordinaria. Il legame tra le opere di Flanagan e King è forte, e lo dimostra il modo in cui il regista è capace di avvolgere nell’horror i drammi personali dei suoi personaggi, usando il sovrannaturale più che altro come specchietto per le allodole, come fosse il palloncino che Pennywise mostra a Georgie per incuriosirlo ad avvicinarsi, azzannando poi il pubblico con un carico emotivo travolgente, gestito splendidamente da una sceneggiatura che ha tempi, modi, colpi di scena e monologhi profondi messi al momento giusto, quello di massima attenzione. Se a questo si aggiunge un mistero intrigante, quasi lovecraftiano nel suo essere arcaico, in cui la fede diventa ossessione (con uno sguardo molto pungente verso il fanatismo religioso, che rimane il tema di fondo della serie), la luce si fa ombra e il vino ritorna sangue in sequenze splatter riuscitissime ed esplosive, si ha la conferma di come Flanagan non abbia quasi rivali nel gestire l’horror in formato seriale (a livello registico e narrativo), come già ci aveva fatto capire con i grandiosi Hill House e Bly Manor, trattando rispettivamente i temi della famiglia disfunzionale e dell’amore tormentato. Che dire... Avanti così, Mike!
Francesco Tanzillo
Il calcio l’ho sempre visto come un mondo a me molto distante, uno di quegli sport ai quali in gioventù non riuscivo a partecipare. Spesso era proprio la sua natura popolana più che popolare a respingermi. Ero estremamente lontano da quel mondo, fino a che piano piano mi sono avvicinato, e non perché sono stato fulminato sulla via di Damasco dalla promozione del Napoli in A, non per Cavani, per Higuain o per Mertens, semplicemente ne ho esplorato il mondo in modo diverso da quello che i miei compagni di classe mi trasmettevano. Ho imparato ad amare il gioco al di là di come è la narrativa dominante di questo sport e ne ho trovato uno spazio che potessi definire mio. In questo spazio si colloca a pieno titolo Ted Lasso, la storia del baffuto coach di football americano che per sfregio viene ingaggiato ad allenare una squadra di Premier League è semplicemente bellissima, per il suo modo di raccontare il calcio ma più che altro per il suo modo di raccontare l’umanità tramite il calcio. E alla fine di ogni puntata sono stato bene, proprio da voler essere una persona migliore, e non è poco.
Andrea Maderna
Scritta, messa in scena, interpretata, diretta in maniera impeccabile, con performance fuori di testa da parte di chiunque, piena di volti splendidi e di emozioni brutali, follemente ambiziosa dal punto di vista della narrazione per immagini, eccellente nel mescolare divertimento, lacrime, risate, tutta la gamma delle possibili emozioni, perfetta nel tempismo di ogni suo momento... It's a Sin è un cazzo di capolavoro. L'ultima puntata mi ha fatto a pezzi ma l'intera miniserie è una roba fuori dal mondo. La prima puntata introduce una quantità assurda di personaggi tratteggiandoli alla perfezione con due pennellate, facendoti innamorare all'istante di tutti loro e facendoti venire voglia di spendere più tempo possibile assieme a loro. E poi... e poi... E poi niente, mamma mia.
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Andrea Giongiani
La Marvel ha regalato parecchie serie televisive da quando esiste Disney+ (e in realtà pure da prima), e sono state più o meno tutte di buon livello, o al limite sopportabili nel peggiore dei casi, ma con Hawkeye si sono superati. Una serie che abbandona commenti sociali per affrontare una storia più universale, che non perde tempo in retoriche e mostra azione e un'alchimia eccezionale tra i protagonisti.
È il tipo di cinema, di serie, che mi piace vedere. Quelle che non perdono tempo in politiche che invecchieranno malissimo negli anni a venire ma che rimarranno sempre attuali e decifrabili, che non cercano di dare lezioni sociali allo spettatore ma lo intrattengono e divertono. Al giorno d’oggi sono prodotti rari e meritevoli del massimo rispetto, rare oasi di serenità nella costante tempesta di facili moraleggiamenti e virtue signaling che da qualche anno a questa parte rendono la società moderna tanto colma di putredine.
A voler trovare difetti in una serie che ho davvero amato c’è la considerazione che al di la dell'intesa tra Kate Bishop e Clint Burton, non c’è moltissima carne al fuoco. La trama è realmente semplice e tutto si regge sulle spalle dei due attori protagonisti. Sarebbe un difetto grave se fossero dei legni indecifrabili, ma in realtà è stata soprattutto la rappresentazione di Kate a colpirmi positivamente, un personaggio irriverente e giovane che fa le cose giuste senza parlare delle cose giuste.
Può piacere? La faccio facile. Se chi sta leggendo ricorda con affetto Arma letale, i film di Bud Spencer e Terence Hill, o capolavori intramontabili come L'ultimo boyscout, allora Hawkeye può sicuramente piacere.
Se si è in cerca di un tizio socialmente accettabile che dice alla platea “dovete migliorare le cose, funzionano male!” e alla domanda “come?” risponde “cazzivostri, non è un mio problema”, potete andare altrove. E preferibilmente restarci.
Quattro frecce e mezzo su cinque, per quanto mi riguarda.
Pacione Bosconovitch
Piccola premessa: non sono la persona giusta per decretare quale siano le mie top dell’anno, per il semplice fatto che riconosco di essere volubile, a volte fin troppo riflessivo e critico su ciò che guardo o gioco. La conseguenza assurda di questo è che ogni tre secondi posso cambiare idea sulle serie che ho gustato in questo 2021 appena passato. Tuttavia, posso essere abbastanza sicuro e confidente che la mia serie dell’anno sia stata Strappare lungo i bordi di Zerocalcare.
Michele mi incanta sempre con i suoi fumetti e, dopo un iniziale stordimento per la sua parlata velocissima (che fa anche parte di lui e del suo stile) ho apprezzato come gli eventi si incastrino e concatenino bene e la sua capacità di fare voli pindarici che si fermano al punto giusto e non fanno perdere il filo col canovaccio principale della narrazione. Sebbene alcuni eventi possano essere molto simili a quanto già visto nelle sue prime opere, la serie stupisce per la semplicità con cui una persona che non ha mai sentito parlare di Zerocalcare possa approcciarvisi senza sentirsi escluso.
Ovviamente, la capacità dell’autore di narrare piccoli pezzetti di vita comune attraverso riferimenti che chi ha vissuto la sua epoca può capire (diciamo, dagli anni Ottanta fino ai ragazzini di oggi) rimane intatta e traspare sempre la passione verso un tipo di immaginario molto in voga negli anni Novanta.
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Andrea Peduzzi
Qui sono un po’ in crisi. Una parte di me vorrebbe tantissimo piazzare in cima al podio Succession, ma purtroppo ho iniziato il recupero troppo tardi e sto ancora in ballo con la terza stagione; conseguentemente, un po’ credendoci moltissimo e un po’ facendo di necessità virtù, proclamo vincitori i baffoni di Ted Lasso.
La seconda stagione della serie creata per Apple TV da Bill Lawrence e Jason Sudeikis, oltre a migliorare tutto quello che si poteva migliorare della prima, raggiunge un equilibrio pressoché impeccabile tra dramma e commedia servendo (e approfondendo) dei personaggi intensi e incredibilmente umani nonostante, a volte, questi facciano di tutto per nascondere le proprie fragilità dietro cartonati e macchiette. Soprattutto, Ted Lasso non ha paura di guardare negli occhi i luoghi comuni, cosa che le permette in definitiva di superarli tutti, fregando le aspettative dei generi di riferimento e, soprattutto, dello spettatore.