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Il Dark Souls dei pezzi che parlano dei giochi che assomigliano a Dark Souls

«TARKUS! TAAAAAAARKUUUUUUUSSSS!».

Da quando è uscito Dark Souls, un sacco di persone si sono messe in testa di poter rifare Dark Souls.

È una cosa bellissima! 

Non perché lo dico io, è un po’ come funziona l’arte tutta: c’è quello che ha l’embrione, quello che lo sviluppa in idea, quello che la perfeziona, quelli che capitalizzano, quelli che rompono e rivoluzionano, il ciclo riparte, l’imitazione è la più sincera forma di adulazione et cetera. Non tutti possono essere pionieri e raramente i pionieri sono poi gli stessi che cesellano la loro intuizione per scolpirla in un gioiello. È bello, questo voglio dire, che in così tanti abbiano deciso che Dark Souls sia un modello a cui aspirare, le fondamenta su cui costruire una casa un po’ diversa ma sempre bellissima. Ce la fossimo presi con chi al tempo copiava Doom, oggi non avremmo, boh, i videogiochi?

Sto ciurlando nel manico per difendermi dalle accuse di pregiudizio, visto che in varia misura sto per bocciare una discreta quantità dei giochi di cui parlerò tra poco. Non ce l’ho con chi copia Dark Souls, davvero! È solo che, avendo seguito da vicino, anno dopo anno, questa crescente ossessione per i soulslike, e avendo assistito in diretta alla nascita dei meme sulle cose che sono “il Dark Souls di [x]”, sono giunto alla conclusione che il problema di copiare (ispirarsi a) Dark Souls è che in pochi hanno capito la differenza tra “Selezionare gli elementi di Dark Souls che funzionerebbero nel mio gioco e implementarli” e “Lo rifaccio circa simile e cambio le texture”. 

«Like I give a fuck».

Tra un po’ comincio a fare nomi e cognomi, ma prima altre menate: la difficoltà vera nel creare un gioco ispirato a Dark Souls è che non è ancora chiarissimo che cosa renda Dark Souls Dark Souls – qual è la proprietà emergente che scaturisce dall’incontro fortunato di tanti spunti diversi, e quali di questi spunti sono assolutamente necessari per non far perdere l’emergenza (nel senso di… è chiaro, no?). In italiano voglio dire che non basta fare un’avventura 3D dove muori spesso e c’è una barra della stamina, per rifare Dark Souls.

Capitolo 1: quelli che scopiazzano.

Lords of the Fallen e The Surge (e in misura minore anche Bound by Flame, sul quale non mi soffermo perché è comunque troppo laterale rispetto al nostro discorso) fanno esattamente questo errore. Li cito perché vengono dallo stesso studio (Deck13), e il primo in particolare uscì all’alba dell’attuale generazione di console, con tutto il cazzodurismo di chi era convinto di poter riempire una nicchia e di capitalizzare sul successo di Dark Souls 1&2 proponendone una fotocopia sbiadita. Formalmente, in Lords of the Fallen c’è tutto: combattimento lento e pesante, mondo interconnesso pieno di scorciatoie da sbloccare e ragionevolmente verticale oltre che orizzontale nello sviluppo, difficoltà sopra la media, pochi checkpoint – la lista della spesa di ogni recensione di un Souls a caso. Il risultato fa più o meno schifo: il combattimento è impegnativo solo in superficie e semplicissimo da exploitare (ho perso dieci minuti a trovare un sinonimo efficace in italiano e non mi viene, scusate), il mondo da esplorare piccolo, claustrofobico e non particolarmente interessante, il level design blando e ripetitivo. È il protocollo brutta copia, per cui si presuppone che se suona come un Souls e profuma come un Souls e assomiglia a un Souls allora andrà bene anche ai fan dei Souls. Spoiler: non funziona.

È andata un po’ meglio, qualche anno dopo, con Nioh, un gioco che ha capito che ispirarsi a qualcos’altro non significa necessariamente rifarlo pedissequamente, piuttosto avere un’idea e innestarci sopra una serie selezionata di spunti presi altrove e che possano adattarsi alla suddetta idea. Nioh, per esempio, è un gioco interessato principalmente agli aspetti più meccanici dei Souls, combattimento in primis, a partire dal quale sviluppa e costruisce un sistema di dare le botte che è dieci volte più complesso di quello del modello di riferimento, e che diventa quindi il cuore di tutta l’operazione.

Ne è venuto fuori un prodotto che ha fatto impazzire chi con i Souls si diverte a fare e rifare le boss battle per perfezionare la prestazione e ha lasciato freddino chi invece di From apprezza la cura nel world design e nel level design, l’atmosfera, la straordinaria varietà di creature e mostri vari che si incontrano nel corso del viaggio. Nioh ha parecchi problemi: pochi nemici, tutti molto facili e leggibili nel giro di un paio di combattimenti, livelli che non abbandonano mai né fanno nulla per mascherare la loro struttura di arena => corridoio => arena, per non parlare dell’incubo che è tutto ciò che riguarda i menu e in generale quella parte del gioco che non prevede il dare le botte. Ma è un prodotto con una personalità e un’identità. A conti fatti, non ha preso poi così tanto dai Souls (il combattimento riporta alla memoria anche e forse soprattutto i primi due Ninja Gaiden in 3D), ma quantomeno dimostra di sapere come si fa a copiare per bene.

Sono un po’ in imbarazzo invece nel citare una serie di titoli di fronte ai quali potrei sentirmi obiettare “Ecco, sei uno di quelli che vedono Dark Souls ovunque”. Però ci sono! E sono poi quelli che riprendono la lezione di Nioh e pescano elementi selezionati dal franchise di From invece di tentare la strada della clonazione. Pestare robosauri in Horizon: Zero Dawn, per esempio, prevede grande senso della posizione, attenzione a quando colpire e quando invece trattenere la mano, frame di invulnerabilità sulla schivata (uno degli elementi meccanici fondanti di tutto l’edificio Dark Souls), una certa sensazione di inferiorità di fronte anche al più semplice dei nemici. L’ultimo God of War e Hellblade: Senua's Sacrifice prima di lui prendono la natura intima e viscerale degli scontri uno contro uno dei Souls (Demon's Souls e Dark Souls 1 in particolare) e la esasperano ulteriormente, puntando molto, se non tutto, sul peso di ogni singola animazione. C’è persino chi si è accorto solo quest’anno delle affinità (e delle differenze) tra i Souls e un’altra serie giapponese di enorme successo, Monster Hunter, peraltro precedente anche a Demon’s Souls, che mai come in Monster Hunter World si è presentata come prodotto vendibilissimo anche a chi odia tutta una serie di sistemi “alla giapponese”, che i giochi From Software hanno in gran parte nascosto sotto il tappeto – si rifanno le stesse cose decine di volte solo per ottenere un altro pezzo di mostro, esattamente come nei vecchi, ma lo si fa in un mondo finalmente interessante, intricato e ragionevolmente reattivo.

Capitolo 2: D.

Mi preme a questo punto far notare un dettaglio non trascurabile: tutti gli esempi fatti fino ad adesso afferiscono alla stessa scuola di pensiero, quella secondo cui Dark Souls è prima di tutto il suo aspetto meccanico, i suoi sistemi, il gameplay, le cose che lo rendono un videogioco, insomma. Sono molti di meno quelli che hanno provato a replicare le qualità più intangibili della creatura di Miyazaki, e curiosamente sono quelli che più di tutti si allontanano dai Souls almeno formalmente; sono, tra l’altro, quasi tutti giochi indie, spesso 2D o con visuale dall’alto alla Zelda, opere piccole, spesso create da un team altrettanto piccolo e che non si fanno problemi ad appoggiarsi anche ad altri classici – una scelta che aiuta anche a svelare le radici dei Souls stessi e a ricordarci che Demon’s Souls non era una cosa mai vista prima e nata in un vuoto pneumatico ma la logica evoluzione di un tragitto nato su NES con giochi tipo Faxanadu (o Zelda, appunto) e proseguito poi con roba tipo Rune, Crusaders of Might & Magic, il misconosciutissimo Severance: Blade of Darkness e chissà cos’altro mi sto dimenticando. 

Si fa più archeologia videoludica con, che ne so, Hyper Light Drifter che con Lords of the Fallen, in sostanza: il primo è una combinazione di Zelda, Diablo, [un gioco arcade a caso dove servono riflessi prontissimi], Dark Souls e tanta droga, un'intera linea evolutiva fatta gioco; il secondo è solo una brutta copia di Dark Souls. Ancora più clamoroso, e non solo perché ci sono personalmente molto affezionato, è Salt and Sanctuary, che (al di là della discutibile scelta di infilarci un po’ di memetica soulsiana per far vedere che “ne sa”), è quello che succederebbe a Dark Souls se lo si schiacciasse su una mappa 2D. E quello che succederebbe è che diventerebbe Castlevania. E fatemi menzionare anche, visto che siamo all’interno del discorso “Copiare l’intangibile e non quello che è evidente”, Titan Souls, un gioco che guarda non tanto a Dark Souls quanto a quello specifico momento di scontro frontale con il sublime kantiano che coincide con il primo incontro con un boss di Dark Souls, imponente, imbattibile, migliore di noi almeno finché non impariamo a sollevare il velo e scoprire che è tutto più facile di quello che sembrasse. È un approccio estremamente selettivo all’ispirazione, e che va a pescare tra l’altro nel succitato intangibile, nell’emozione/sensazione e non tra gli ingranaggi, ed è credo il modo migliore per fare un gioco “tipo quell’altro” – sicuramente migliore della copia carbone. 

(Mi rendo peraltro conto che tra le righe ho appena scritto senza scriverlo che dire “Cuphead è il Dark Souls dei platform” ha più senso che dire “Lords of the Fallen è ispirato a Dark Souls”)

Super Londo Bros.

Ho finora ignorato, e ho intenzione di continuare a farlo, tutti quei giochi che usano il termine “Dark Souls” come leva di marketing e poco altro. Quando quattro anni fa uscì The Memory of Eldurim, venne presentato come “Dark Souls meets Skyrim!”, perché nel trailer si vedeva gente fare circle strafe intorno ai nemici e attaccare con relativa lentezza. Necropolis, un dungeon crawler noiosissimo e ripetitivo, sperava di conquistare la gente con la promessa di un combattimento basato sulle schivate e la stamina, “proprio come Dark Souls”, come se peraltro quel sistema se lo fosse inventato Miyazaki. C’è gente che salutò Let it Die come “il Dark Souls di Suda51!”, ed è anche per colpa di questi eccessi, credo, che stiamo cominciando (ah ah) a stufarci un po’ tutti di quei trucchetti di marketing per cui tutto è Dark Souls: perché non basta imitare adulando per cavarsela.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Ricordati che devi morire”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.