Outcast

View Original

Racconti dall'ospizio #145 - Space Invaders: Un’invasione lunga quarant’anni

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Space Invaders rappresenta il più longevo paradigma tecnologico che l'industria videoludica abbia mai prodotto: quello dell'eterna lotta alla sopravvivenza dell'uomo contro la macchina, del giocatore contro l'alieno.

Il videogame di Toshihiro Nishikado sublima l’avventura di un uomo dinanzi al dramma interplanetario. Non offre modelli schematici da applicare nella vita reale (il trucco di Eric Furrer* è valido solo al di là dello schermo), bensì un esempio monocromatico di come incantarci ogni giorno dinanzi alla vitalità - e al mistero - della semiosi videoludica in atto.

Oggi, a quarant’anni appena suonati (giugno 1978 - giugno 2018), Space Invaders trascende il senso puramente ludico: non è solo un’enorme icona pixellata nel quartiere elettronico di Tokyo e delle nostre menti corrotte dal videogaming, ma l'emblema universale (che è più di globale) dell’entertainment tout court.

È filosofia digitale nonché la più elementare riduzione digitale di tutta la cinematografia fantascientifica, da La Guerra dei Mondi a Star WarsSpace Invaders è bit e beat, è la più alta astrazione dello shump d’autore, un simbolo universale, intermediale e squisito, gioia retro-ludica per gli hispter col risvoltino e, indistintamente, per i quarantenni ormai rassegnati alle complicazioni del gameplay moderno.  

La declinazione ludica della grande ossessione dell'uomo (l'invasione aliena) travolse il Giappone nel giugno del 1978. Il genio creativo di Toshihiro Nishikado fu autore di un’autentica catarsi digitale (o droga che dir si voglia), democratica, economica e immediata. Poteva/sapeva giocarci chiunque.

Taito distribuì in Giappone oltre centomila coin-op di Space Invaders e il successo riscosso fu tale che il desiderio comune di arrestare l'avanzata marziana generò una vera e propria crisi nazionale di monetine da 100 yen. Anche Mafalda sa che, per ovviare al problema, il governo giapponese fu costretto a quadruplicare le emissioni del piccolo conio nipponico.

Space Invaders imponeva ritmo e precisione, riflessi e strategia, rapidità e pazienza, mentre la velocità di movimento dei cinquantacinque alieni su schermo incrementava in maniera proporzionale alla loro eliminazione.

THUMP, THUMP, THUMP...

Il giocatore era ai comandi dell'ultimo avamposto terrestre. Aveva tre chance per arrestare l'avanzata aliena e munizioni illimitate. Poteva spostarsi a destra e a sinistra, coprirsi dietro barriere (che venivano lentamente sgretolate dai colpi marziani), sparare ed evitare la merda aliena che cadeva giù. Le istruzioni erano elementari, la missione era più che nobile. Lo scopo era quello di salvare la Terra dall’invasione extraterrestre… o quantomeno cercare di sopravvivere il più a lungo possibile.

Perché è così importante, Space Invaders? Perché, prima del 1978, i videogiochi erano prevalentemente simulatori di “qualcosa”. Del gioco del tennis, dell’automobilismo o di... asteroidi. Con il gioco di Toshihiro Nishikado, invece, si entrò a pieno diritto nel territorio della fantascienza interattiva/narrativa: i marziani su schermo scendevano giù cadenzati inesorabilmente, procedendo con movimenti ipnotici, compatti e simmetrici.

THUMP, THUMP, THUMP...  

Space Invaders è un videogioco fondamentale e in questo senso sarà impossibile dimenticare e lasciar morire il suo insegnamento.

Buon compleanno, alieni di merda! 

THUMP, THUMP, THUMP...

*Fonti accreditate parlano del cosiddetto "trucco di Eric Furrer", fondato sull'applicazione reiterata di due semplici passaggi: dopo 22 colpi sparati bisogna aspettare la Nave del Mistero, distruggerla e guadagnare 300 punti. Poi si sparano altri 14 colpi e si aspetta ancora una volta la Nave del Mistero... e così via per ogni livello. In 38 ore e 37 minuti, Furrer ha totalizzato 1.114.000 punti. Frechete!