Speculazioni immobiliari per un vampiro
Il vampiro è una creatura territoriale, è nel suo DNA non morto.
Se già il vampiro del folclore balcanico si aggirava come contadino per le buie strade del suo paese nel mezzo del nulla per bussare alle porte e banchettare con coloro che gli aprivano la porta, è con Bram Stoker che fa il salto di qualità.
Dracula è uno speculatore edile, simbolo di quei capitali esteri di dubbia provenienza che iniziavano ad acquistare ingenti porzioni di suolo londinese e che venivano a corteggiare le brave donne inglesi con i loro modi decadenti da aristocratici, strascicando la bella lingua di albione. Insomma quello che succede ancora adesso nelle città di mezzo mondo (un saluto agli amici a Milano) quando si avvia il meccanismo della gentrificazione e il valore di un immobile schizza alle stelle perché sono stati fatti i movimenti giusti.
Francis Ford Coppola (a proposito, qui trovate il Popcorn dedicato al suo Dracula) ne rappresenta la Carfax Abbey come un rudere uscito da un quadro di Caspar David Friedrich, ma implicitamente racconta come mai i datori di lavoro del signor Harker abbiano così insistito nel mandare non uno, ma ben due funzionari a chiudere il contratto con questo fantomatico Conte nel più selvaggio e inospitale angolo d’Europa. Pecunia non olet, nemmeno di cadavere, evidentemente: una proprietà che versa in terribile stato di abbandono e che per di più affaccia sul locale sanatorio con le urla dei lunatici che riecheggiano per tutta quella fatiscente struttura alle più improbabili ore della notte… no, l’acquisto del conte ha tolto dal mercato un pezzo difficilissimo da smaltire.
Dracula era avveniristico per il mercato immobiliare.
Il territorio così era più equamente distribuito per raggio d’azione. Mettete caso che siete in botta da sangue di vergine e s’è fatta una certa, rischia di albeggiare, ma pur smettendo ora rischiate di ritirarvi che già il sole tinge il cielo con l’alba, il momento in cui siete più deboli. Sarebbe increscioso. Nonostante le aliquote discendenti dello stato dei luoghi e delle posizioni non felicissime, si punta alla quantità e alla distribuzione più che alla qualità, che per letto basta una cassa di terra madre per dare all’ambiente il classico odoro di terreno marcio del sottobosco transilvano.
Le notti di Salem di Stephen King è un’altro romanzo che mette al centro della storia vampiri speculatori immobiliari: il ritorno a casa dello scrittore Ben Mears coincide con l’arrivo in città di questa misteriosa coppia di uomini di affari che come prima atto nella decadente Jerusalem’s Slot acquistano la vecchia casa stregata della città. Non ne può mai venire niente di buono. È chiaramente distinguibile l’eco di un fenomeno opposto alla gentrificazione preannunciata da Stoker, quello spopolamento dei piccoli centri che vivacchiano intorno ad una consuetudine lavorativa che si pensa eterna ma che presto o tardi smette di alimentare la linfa vitale della città e dall’esterno arriva chi può trarre profitto dalla terra, incurante dell’intrinseca rete di storie e di umanità che lì ci vive.
La casa ha la sua centralità nella narrazione vampira. È luogo di riposo, terreno di caccia e vincolo per quella vecchia tradizione per la quale debba chiedere il permesso prima di entrare. È quindi importante per un vampiro avere una casa coerente con le sue necessità, come chiunque, certo, ma nel caso di una vita immortale questa dimora assume connotazioni diverse, diventa quasi un’emanazione della personalità del suo occupante.
Ripensando al Dracula di Coppola: il suo castello è un manifesto programmatico di tutto il film. Attento nei lavori di restauro al punto che non scade mai nell’intervento mimetico, evidenzia le aggiunte successive fatte per mezzo di elementi in acciaio, anacronistici (la torre di Eiffel è del 1889 quindi improbabile l’utilizzo delle putrelle d’acciaio nel restauro di una dimora signorile nel cuore della Romania) ma credibili nel loro uso formale a tenere insieme quelle stanche pietre che hanno visto infrangersi l’onda dell’avanzata Ottomana.
È riconoscibile come castello (come il suo occupante è perfettamente coerente esteriormente con l’opera dal quale è tratto il personaggio) se non fosse che le superfetazioni richiamano ad un uso del materiale che il suo autore non aveva pensato. Il vampiro attraversa i secoli con un prezzo da pagare, la sua ombra diventa altro, la romance tra Mina e Vlad unita alla passione per il sangue in epoca post-AIDS aggiunge un tono unico al resto del film: nuovi significati per un vecchio terrore.
La casa è una consuetudine ma anche un camuffamento, c’è una schiera di vampiri letterari che non vuole dare nell’occhio portando avanti le sue azioni da vampiro. In Ammazzavampiri il vampiro Jerry è una creatura della sprawl, l’affascinante sconosciuto che arriva nella casa di lato appena messa in vendita per distribuire un po’ di morte. La casa è una maschera per nascondersi in piena vista. Di più, in Fright night (remake) c’è una collocazione geografica e temporale molto precisa che rafforza i concetti di camuffamento e anonimato. Collin Farrell interpreta un Jerry carpentiere mezzo speculatore che viaggia acquistando case abbandonate, le ristruttura e le rivende durante le peggiore crisi immobiliare della storia americana, di più, nella periferia spersonalizzata di Las Vegas (dove tutti coloro che lavorano sulla Stripe lavorano di notte e dormono di giorno), in mezzo al deserto, una periferia dalla quale si va soltanto via e se qualcuno ogni tanto scompare, tanto meglio per lui, vuol dire che ha trovato una vita migliore altrove. Così Jerry ci appare rude ma affascinante, indubbiamente carismatico, un uomo che inviteresti a sistemare quel rubinetto della cucina che non smette di gocciolare e trovarsi poi fregati stretti in un sacco per cadaveri.
Con l’avvento dei vampiri “emotivi” la casa acquisisce una funzione differente e quindi sembianze differenti, è un’ancora al passato, non è solo camuffamento ma illusione di vita durante la non morte, è uso e abitudine, ha orpelli che una creatura della notte non dovrebbe avere, come i bagni, una cucina, o una camera da letto.
Bill di True blood acquista la vecchia casa (di fianco al cimitero) nella quale è vissuto all’epoca della guerra di secessione. Il che in Luisiana significa essere proprietari di una casa colonica originariamente con piantagione annessa (come sudista aveva schiavi). Da vampiro semplicemente è tornato alla sua vita finto normale con il difetto dell’immortalità, del sangue e di Anna Paquin.
Perché per quanto una casa non sia per un vampiro un bene posizionale, questo nella narrazione indica uno status, volente o nolente, e quindi i Cullen di Twilight sono “schifosamente ricchi” e borghesi per il loro stile di vita chiuso e isolazionista che puzza di soldi e che tiene tutti a distanza per snobismo classista tipico da liceo americano. La casa è di nuovo un camuffamento, è isolata e isolante dal resto della comunità, sono i soldi a fare il resto.
Villoni e attici da supercattivi non sono altro che le trasposizioni contemporanee delle dimore signorili. Non sono davvero caratterizzati, sono luoghi pressoché anonimi nella loro esposizione di sfarzo che non indica davvero gusto ma solo lo spregio per il denaro che non è più un problema, un accumulo compulsivo di orpelli umani perché “si fa così”, più che in mimesi di umanità, imitano il gusto della ricchezza priva di gusto. Sono dimore (non) vissute con distacco come fredde trappole.
In un discorso che abbraccia un uso della casa per i non morti non si può escludere termini di paragone contemporanei per parlare del presente. What we do in the shadows è una conversazione ironica sulla coesistenza delle varie mitologie che diventa una storia sulla convivenza sotto lo stesso tetto non metaforico. Attraverso l’ironia che smonta le declinazioni del vampiro nella sue dimensioni geografiche e temporali per ricostruirlo nel presente, Waititi e Clement raccontano i vampiri la cui vita è condizionata dallo spazio che abitativo e non viceversa. La casa è viva anche se loro sono morti, abitata, non infestata, l’uso che fanno di quello spazio condiziona i loro comportamenti più della loro natura.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai vampiri, che trovate riassunta a questo indirizzo.