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Perché Spider-Man non è un bel gioco

Spider-Man può piacere. Piace molto, infatti, e non faccio neanche fatica a capirne i motivi. Se da bambini sparavate ragnatele guardando con disprezzo gli altri vestiti da Zorro o principe azzurro, se il Marvel Universe vi sembra una fucina meravigliosa di capolavori del cinema, allora non dovete proprio farvi scappare l’ultima grande esclusiva Sony. Però, e non voglio dire che chi la pensa diversamente sia uno stronzo (lo penso, ma non posso dirlo apertamente, sarebbe scorretto), questo è un videogioco brutto, quasi sempre, con troppi problemi e una realizzazione spesso pigra, qualche volta persino sciatta.

La campagna principale, per esempio, è una sequenza mortalmente noiosa di Peter Parker che va a trovare la vecchia (che non è Marisa Tomei, come aggravante), Peter Parker che incontra gente che piazza altre icone su mappa, Peter Parker che risolve i problemi del mondo scientifico con il minigioco dei circuiti elettrici, fasi stealth da tagliarsi le vene con Mary Jane, fasi stealth con “occhiolino” Miles che però usa l’app magica del telefono e, infine, scontri con boss al limite dell’imbarazzante. Circa dieci ore, scandite pure da filmati pessimi, pieni di espressioni facciali imbalsamate e una regia pigra, che Sony sembrava aver superato, nelle sue produzioni.

Eppure quando Spider-Man volteggia per New York, quando combatte ballando sulle punte e quando insegue piccioni (giuro) le cose funzionano decisamente meglio. Io mi sono divertito di più con Batman, certo, ma non posso escludere che, approfondendole più di quanto abbia fatto io, le cose si rivelino più interessanti, sopratutto quando c’è da menare le mani. Funzionano, è innegabile, ma costringendosi a ingoiare una struttura dell’open world che persino Ubisoft ha cominciato a considerare vecchiotta. Tutte queste missioni sparate in aria da un fascio di luce sembrano appiccicate a forza all’Uomo-Ragno, laddove Rocksteady aveva costruito un mondo di secondarie e collezionabili raffinato e credibile. Qui, invece, è tutto infilato a forza in uno zaino insieme al fan service e sparpagliato per la città per ingolosire le voglie di platino dei giocatori.

Ho ancora negli occhi The Legend of Zelda: Breath of The Wild, mi dispiace, non posso più fare a meno di pensare che un mondo aperto non sia per forza un’accozzaglia di compitini da portare a casa per sbloccare un costume. Ma in fondo è tutto facoltativo, fai solo quello che ti piace e ti diverte e nella misura che preferisci, altrimenti puoi sempre tornare agli enigmi con gli interruttori che tanto starebbero bene in un gioco Lego.

Ma allora perché questa roba dovrebbe piacere a un fan di Spider-Man? Perchè a lui basterà New York, le ragnatele, lui non troverà irritanti le battutine mai divertenti di Peter Parker, lui adorerà i costumi e coglierà i mille riferimenti ai fumetti che gli altri possono solo intuire. Lui sarà disposto a chiudere gli occhi, per amore, e seppure penso che dovrebbe puntare comunque più in alto, lo capisco. Tutti gli altri, invece, no, ed è a loro che parlo, perché questo non è e non sarà mai da nessuna angolazione lo si guardi, un buon videogioco.

Questo articolo fa parte dell'amichevole Cover Story di quartiere su Spider-Man, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.