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Ottobre 2010 – Prima parte: Meat Boy esplode, i classici tornano | Old!

Old! è esattamente quella stessa rubrica che da vent'anni vedete apparire su tonnellate di riviste o siti di videogiochi. Quella in cui si dice "cosa accadeva, nel mondo dei videogiochi, [inserire a piacere] anni fa?" Esatto, come su Retro Gamer. La facciamo anche noi, grazie a Wikipedia, pescando in giro un po' a caso, perché siamo vecchi nostalgici, perché è comoda per coprire il sabato e perché sì. Ogni settimana, anni Settanta, Ottanta, Novanta e Zero, o come si chiamano. A volte saremo brevissimi, a volte saremo lunghissimi, ogni singola volta si tratterà di una cosa fatta senza impegno, per divertirci assieme a chi legge, e anzi ci piacerebbe se le maestrine in ascolto venissero a dirci "oh, avete dimenticato [inserire a piacere]".

Il 5 ottobre 2010 segna l’uscita su piattaforme iOS di Cut the Rope, un simpatico puzzle game basato sulla fisica in cui bisogna tagliare corde a ditate per far arrivare caramelle tra le fauci del buffo protagonista Om Nom. Sviluppato dallo studio russo ZeptoLab, Cut the Rope diventa istantaneamente un successone, raggiunge tutte le piattaforme mobili (ma anche DS, 3DS e PC, tramite browser) e raccoglie premi in ogni dove. Diventerà un discreto fenomeno, fra seguiti e spin-off assortiti, che vedranno Om Nom protagonista per tutto il decennio successivo.

Contemporaneamente si manifesta anche Castlevania: Lords of Shadow, con cui Konami prosegue nel tentativo di rilanciare le proprie IP affidandole a studi occidentali e questa volta fa centro, grazie al buon lavoro degli spagnoli di MercurySteam (con Kojima Productions a supporto). Il gioco viene accolto favorevolmente da pubblico e critica e si meriterà uno spin-off portatile e un non riuscitissimo seguito. Abbiamo celebrato il decennale con un Racconto dall’ospizio del Tanzillo.

Un paio di giorni dopo si manifesta, inizialmente su iOS e a seguire sulle varie console, Sonic the Hedgehog 4: Episode I, tentativo di rilanciare la lettura “classica” di Sonic ma senza avere il coraggio di farlo fino in fondo, come avverrà invece parecchi anni dopo con Sonic Mania. Il risultato è un gioco tutto sommato gradevole ma che ha il sapore del cerchiobottismo e scontenta i fan storici, soprattutto per la gestione maldestra dell’inerzia tipica di Sonic. Un paio d’anni dopo verrà pubblicato il secondo episodio ma il terzo non vedrà mai la luce. Christian Whitehead, salito agli onori della cronaca per i suoi fan game dedicati al porcospino blu e inizialmente coinvolto proprio per lavorare sulla terza uscita, finirà a occuparsi delle riedizioni di alcuni episodi classici della serie, per poi dedicarsi appunto a Sonic Mania.

Tocca poi a Enslaved: Odyssey to the West, terzo gioco dello studio Ninja Theory (secondo se contiamo Kung Fu Chaos, pubblicato quando si chiamavano Just Add Monsters). Tameem Antoniades e compagni portano avanti il loro discorso fatto di azione, avventura, performance capture e voglia di raccontare storie dai temi interessanti, avvalendosi tra l’altro questa volta della collaborazione del romanziere, sceneggiatore e futuro regista Alex Garland. Il gioco viene accolto favorevolmente dalla critica e diventerà nel tempo un discreto cult ma non raggiungerà il milione di copie sperato da Namco Bandai e il seguito inizialmente previsto non verrà mai sviluppato.

Risultati opposti per Medal of Honor, tentativo di rilanciare una serie storica di FPS targati Electronic Arts, nata e prosperata un decennio prima ma poi messa in ombra dall’esplosione di Call of Duty. Ambientato in epoca contemporanea, durante la guerra in Afghanistan di inizio decennio, il gioco si fa notare soprattutto per le controversie legate alla possibilità di controllare i talebani nella modalità multiplayer e la faccenda diventa talmente rumorosa che EA deciderà di rimuovere il termine “talebani” e indicare la fazione solo come gli avversari. Il gioco, comunque, pur non particolarmente amato dalla critica, stacca i suoi bei cinque milioni abbondanti di copie e non a caso si meriterà un seguito due anni dopo. Ma sarà un discreto fallimento.

Il 20 ottobre 2010 esce un gioco fondamentale, tanto per la salita alla ribalta della scena indie, quanto per il consolidamento dei punti cardine di quello che sarà il gioco di piattaforme dell’era contemporanea. Sviluppato dal Team Meat di Edmund McMillen e Tommy Refenes, Super Meat Boy è l’evoluzione di un precedente gioco in Flash, Meat Boy, e punta tutto su rapidità e precisione, immediatezza dell’impianto di gioco, respawn immediato per togliere qualsiasi parvenza di soluzione di continuità e carisma a mille. Esplode su PC e Xbox 360 ma finirà per manifestarsi un po’ dovunque, diventerà un vero fenomeno e godrà, parecchi anni dopo, di un seguito, Super Meat Boy Forever, curato dal solo Refenes, con altri collaboratori. Ne abbiamo parlato nei giorni scorsi con un Racconto dall’ospizio del Bellotta e oggi con il nuovo episodio di Retroutcast.

Il 22 ottobre tocca a Vanquish, capolavoro figlio della collaborazione fra il piccolo studio Straight Story di Shinji Mikami, che poi verrà chiuso per dare vita a Tango Gameworks, e quella fucina di alta gioielleria che sta già ampiamente dimostrando di essere PlatinumGames. Vanquish è uno sparatutto in terza persona che si mangia il concetto di cover shooter, lo mastica e lo risputa fuori a suo uso e consumo. Il gioco pubblicato da Sega viene accolto a braccia aperte dalla critica e molto amato da quella fetta di giocatori che riesce a raggiungere, ma le vendite non gli danno troppo ragione. Sfonderà il tetto del milione di copie solo parecchi anni dopo, al momento della riedizione su PC, abbracciando il suo destino di cult. Lo ha ricordato con affetto il Colaneri in questo Racconto dall’ospizio.

E a ottobre del 2010 escono centomila altre cose, ma finiamo di parlarne la prossima settimana.