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Takeshi Kitano, l'alcool e i videogiochi

Cosa dice Takeshi Kitano quando entra in un bar? SPLASH!

No, dai, scherzo.

Non so se è un bene iniziare un’articolo con una freddura nonsense, ma se siete ancora qui, beh, mi fa piacere, perché dovete sapere che la gag di cui sopra riflette - più o meno - il primissimo contatto tra l’industria dei videogiochi e Takeshi Kitano.

Correva l’anno 1986 quando un Takeshi Kitano completamente sbronzo si trovò al bar con alcuni dipendenti di Taito che, stando alle parole del regista/attore, credevano fosse un buon momento per siglare un accordo con lui. Dopotutto, per quanto sbronzo, il nostro era una star televisiva, un mito fin dagli anni Settanta, casualmente proprio da quando il settore dei videogiochi stava iniziando a esplodere.

Insomma, il nostro carissimo Takeshi, la cui carriera  ebbe inizio nel duo comico “Tsu Baito” - scritto Two Beat - nel 1986 era ormai una personalità affermata nel mondo dell’entertainment giapponese, e quella di realizzare un gioco assieme a lui sembrava una ghiotta opportunità.

Ecco a voi i Two Beat, duo comico che andava fortissimo durante gli anni settanta in Giappone. Riuscite a riconoscere Takeshi Kitano?

Eppure, c’è un piccolo “ma”. Da quell’incontro coperto dagli scherzi e dai fumi dell’alcool, nel giro di una notte Kitano - che evidentemente odiava i videogame - partorì Takeshi no Chōsenjō, altresì noto come Takeshi's Challenge, gioco che venne vituperato a morte dagli appassionati al punto da meritarsi la nomea di uno dei  peggiori videogiochi di sempre. Il che, secondo me, non è assolutamente vero.

Al di là dei pessimi controlli, Takeshi no Chōsenjō fu abbastanza incompreso all’epoca, e per molti versi resta un gioco all’avanguardia: vi basti pensare, ad esempio, che cantando al karaoke attraverso il microfono integrato nel pad del Famicom, ammesso di non fare troppo schifo, sarebbe apparso dal nulla un vecchietto.

Tale figuro forniva una mappa in grado di svelarsi dopo un’ora di esposizione alla luce solare (ora in tempo reale, il che voleva dire attendere col gioco acceso per quel lasso di tempo). Dopodiché, per poter proseguire nel gioco, era necessario menare il vecchio così, senza alcuna ragione apparente.

Questa mancanza di indizi a conti fatti può essere frustrante, eppure conserva un certo fascino, soprattutto se prendiamo nota del fatto che molte di queste chicche sono state inserite per mettere alla prova la pazienza del giocatore.

Takeshi Kitano e l’alcool sono sempre andati molto d’accordo, e questo emerge anche nel suo “bimbo videoludico”, Takeshi no Chōsenjō.

Questo tentativo di rompere la barriera tra videogioco e giocatore, facendolo attendere realmente delle ore prima di poter procedere, ricorda un po’ i trucchetti di Psycho Mantis, e in questo senso Takeshi no Chōsenjō qualcosa di seminale ce l’ha.

Tra l’altro, sempre per la mancanza di indizi, nel 1986 uscì una guida che si rivelò assolutamente necessaria per portare a termine Takeshi no Chōsenjō, soprattutto in un epoca dove internet era ancora allo stadio preistorico. La gente andò giustamente su tutte le furie, considerato il dispendio di soldi extra per poter avanzare nel gioco.

Il punto è che Takeshi no Chōsenjō, in realtà, premia l’utente per le scelte apparentemente peggiori, rispetto alle meccaniche dell’epoca. Non si impersona un eroe senza macchia e senza paura in un mondo fantastico, ma un tizio pieno di problemi con un lavoro noioso, e che compie azioni nocive sia per lui che per gli altri. Insomma, Kitano aveva deciso di sovvertire per portare il giocatore all’esasperazione.

Probabilmente siamo davanti a uno dei primi videogiochi non indirizzati al divertimento in senso stretto, laddove l’idea era quella di spingere il giocatore a riflettere sulle sue azioni e sul fatto che, a volte, i passatempi possono anche rivelarsi una perdita di tempo.

Takeshi no Chōsenjō è stato per lungo tempo disponibile solo in lingua giapponese. Se volete provare l’ebbrezza di giocarlo in una lingua a voi comprensibile, in giro per la rete si trovano delle patch amatoriali.

Detto questo, il caso ha voluto che subito dopo aver giocato a Takeshi no Chōsenjō, ho ritrovato il nostro Takeshi in Yakuza 6. “Che cosa strana”, ho pensato, “in fondo il regista di Sonatine dice sempre di odiare i videogiochi e gli anime”. Eppure il conduttore di Takeshi’s Castle era davvero lì, all’interno dell’ultimo titolo della serie di Toshihiro Nagoshi, dove Interpreta Toru Hirose, un gioviale anziano che tratta i suoi sottoposti come se fossero dei figli, oltre che manipolare un po’ tutti all’interno del gioco.

Sul serio, quando l’ho visto comparire nel gioco mi sono gasato a manetta.

Sul finale il nostro assume un ruolo veramente importante: dopotutto, Nagoshi non poteva accontentarsi di un attore qualunque per chiudere il ciclo di Kazuma Kiriyu, e così ha scelto di reclutare uno degli uomini di spettacolo più importanti degli ultimi, boh, cinquant’anni.

Giuro, quando l’ho visto comparire nel videogioco sono saltato sulla sedia pensando: “No, dai, ma non è possibile: quanti soldi gli avranno offerto per la sua partecipazione?”. Ero davvero contento: Kitano è un artista che stimo genuinamente, e ho adorato la sua performance e il la presenza della sua fisionomia nel gioco (fisionomia purtroppo riconoscibilissima in via di un incidente in moto).

Ecco il volto di Kitano digitalizzato, mentre impersona Toru Irose, personaggio che conosciamo già nelle prime battute del gioco. Un personaggio molto ben fatto, e che nasconde parecchi segreti.

Però la domanda rimaneva: “Come diavolo ci è finito Kitano dentro a un videogioco, dopo le sue dichiarazioni?”. Questo tarlo mi ha accompagnato per anni, fino all’uscita di Yakuza: Like a Dragon , quando un’intervista agli sviluppatori ha finalmente fatto luce sulla faccenda. La risposta, come spesso succede, è più semplice di quanto si possa pensare: Toshihiro Nagoshi e Takeshi Kitano sono compagni di bevute, e tutto è nato dopo una sonora sbronza.

Nonostante parli di Takeshi Kitano, questo articolo si inserisce nella Cover Story dedicata a Keanu Reeves per la faccenda degli attori che bazzicano i videogiochi eccetera eccetera. Cover Story, tra l’altro, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.