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The Caligula Effect Overdose è il metadone di Persona

Dopo trenta ore di gioco effettivo in cui ho appena finito il quarto arco narrativo e, se tanto mi da tanto, me ne aspettano ancora quasi il doppio, provo a rispondere alla domanda che si sono posti tutti coloro che sanno che alla sceneggiatura di The Caligula Effect: Overdose abbiamo Tadashi Satomi, sceneggiatore dei primi due capitoli della serie Shin Megami Tensei: Persona: "The Caligula Effect è ciò che serve a calmare la mia astinenza da Persona o sono condannato a sciogliermi in un orrido blob nero come accadeva alle comparse di Persona 3?”

Più o meno così.

La mia risposta è: “Allegri, forse ce la facciamo ad arrivare fino a Persona 5: The Royal senza sporcare il salotto!”.

Partiamo dalle cose buone: The Caligula Effect mostra fin da subito che, appunto, alla sceneggiatura c’è uno scrittore che perlomeno si attende un minimo di pretese dai propri giocatori. Per evitare di ripeterlo troppe volte da subito, chiarisco che la narrazione che ci viene proposta può essere lineare e banale, ma non è mai scontata o priva di personalità.

The Caligula Effect racconta di un mondo simulato in cui centinaia di persone sono intrappolate dalle buone intenzioni della virtuadoll μ (Mu), praticamente una vocaloid dotata di intelligenza artificiale avanzatissima, che li ha raccolti in un momento di estremo stress o disperazione, ha cancellato le loro memorie e li ha rinchiusi in un eterno paradiso scolastico, nel quale ripetere eternamente i tre anni di liceo, mentre fruiscono delle attrattive di una città virtuale che lei, mano a mano e con grande impegno, espande.

In questa simulazione idilliaca e sostanzialmente priva di complicazioni, però, i problemi non sono risolti ma solo rimandati e accade che il subconscio di alcuni si risvegli, facendo scoprire l’inganno.

Capita così al protagonista ed è capitato così ai compagni, che dopo l’epifania lo sottraggono a cattura e conseguente lavaggio del cervello. Capitanati da Aria, una virtuadoll della stessa generazione di μ, i membri del “Go Home Club” (sottile gioco umoristico basato sul fatto che così vengono ironicamente indicati i liceali giapponesi che non partecipano a nessun club sportivo o culturale del doposcuola) si pongono come obiettivo quello di riportare la loro coscienza nel mondo reale e riprendere una vita che probabilmente era difficile ma sembra improvvisamente più desiderabile di una realtà posticcia.

Gli umani, però, sono complicati ed è semplicemente ovvio che, per tante personalità forti che vogliono tornare alla realtà, ce ne siano altrettante che vogliono preservare lo status quo ottenuto nel mondo simulato grazie alla prodigalità innocente di μ. Costoro sono gli Ostinato Musicians, utenti del software di μ e dotati per questo del potere di condizionare i “normali” utenti con le loro canzoni sintetizzate, mutare il proprio aspetto e sublimare il proprio subconscio in armi, esattamente come i protagonisti.

Per chi frequenta il panorama giapponese, questo scenario non è certo nuovo: ancora prima del successo delle vocaloids, sulle idol virtuali e la loro influenza sulla percezione del reale si sono avuti diversi anime e la stessa Atlus post-Satomi aveva creato la uta-loid (“uta” è il termine giapponese per “canzone”) Tiki in quella fiera dello spreco che è stato Tokyo Mirage Sessions.

Con tutto questo ben di zio… come avete fatto a tirar fuori un titolo mediocre… COME??!!

Così come, nominando un “eterno paradiso scolastico”, i conoscitori del panorama anime non potranno non avere pensato ad un titolo in particolare.

Ancora piango.

Su questi presupposti “consolidati”, la sceneggiatura innesta dei buoni personaggi, i classici… uh… tutte le volte che lo scrivo ho questa sensazione di déjà-vu… “normali studenti giapponesi”, come tipizzati in decenni di anime, manga. Ciascuno ha una caratterizzazione forte e curata, carismatici e stilosi ma, sopratutto, ognuno con una sua “agenda”, che non necessariamente corrisponde a quanto dice. Aspetto questo specifico in particolare della serie Shin Megami Tensei e dello spin off Persona, anche dopo la partenza di Satomi da Atlus.

La novità, semmai, è che in questo gioco anche al protagonista viene data la possibilità di agire in una storia che non è soltanto quella dei suoi primi alleati ma anche quella degli antagonisti, caratterizzati anch’essi in maniera piuttosto netta fin dai primi scontri. Anche il protagonista, insomma, può permettersi di avere una sua duplicità quasi da subito, laddove nella serie Persona il “tradimento” era normalmente limitato ad una singola scelta, proposta praticamente sul finale.

Confrontarsi con il nemico.

La storia, quindi, prende, i personaggi avvincono e si vuole saperne più su di loro, sentirli parlare, litigare e fare battute (alcune banali, non tutte riuscite) ma, sopratutto, scoprire quali sono le menzogne che si portano dentro, in un mondo in cui la unica a sembrare disperatamente sincera, quasi tragicamente goffa nella sua semplicità di intelligenza artificiale da intrattenimento alle prime armi, è proprio la “nemica” μ.

Ah, l’amicizia tra persone unite da obiettivi comuni.

Aggiungiamo anche un ottimo sonoro, da anni uno tra i punti di forza della Atlus che si è buttata con convinzione a demolire la barriera tra anime e videogiochi, assumendo doppiatori di primo livello (NON rimpiangerete che il gioco non sia doppiato, ve lo assicuro) e musicisti J-Pop capaci di muoversi con disinvoltura tra romanze emotive e pezzi carichi di "nioranza”, e ci si deve chiedere dove stia l’inghippo.

Purtroppo in tutto il resto del gioco.

Volendo essere trancianti, The Caligula Effect è un gioco acerbo: quasi nessuna delle sue componenti, al di là della trama, del character design e del sonoro, sembra essere stata portata “a compimento”. La cosa fa una certa impressione, se si pensa che il già citato Tokyo Mirage Sessions era invece stato sfacciato nel saccheggiare gli elementi di gameplay consolidati da Atlus nelle proprie serie maggiori, raffinarli, spettacolarizzarli e produrre un gioco di cui parleremmo come un caposaldo del genere JRPG, non avesse avuto una trama scritta sul tovagliolo del caffè e personaggi genuini come una moneta da tre euro.
Invece, in The Caligula Effect, si ha l’impressione di una sperimentazione, anche coraggiosa, ma non finalizzata. Il comparto grafico 3D è poco più che abbozzato, con ambienti “artificiali” e ripetitivi che non puoi certo giustificare con la trama, visto che in teoria, agli abitanti di Mobius, il mondo virtuale sembra indistinguibile dal reale, e personaggi non giocanti che sono evidentemente il prodotto di un randomizzatore di caratteristiche applicato a manichini 3D a massima efficienza.

La grafica dei dungeon… bene ma non benissimo.

A salvare questa povertà grafica sono i davvero ottimi ritratti del protagonista, del Go-Home Club e, sopratutto, degli Ostinato Musicians e Aria: realizzati da un Character Designer capace, si sovrappongono nella percezione del giocatore ai “manichini” solo leggermente più curati riservati ai personaggi giocanti. Il 2D che soccorre il 3D come da tempo non succedeva.

Stessa cosa per il gameplay, l’ottima intuizione del “Chatarsis Effect”, ovvero il sistema di combattimento strategico che fornisce al giocatore un’inedita preveggenza su come si svolgerà il combattimento, si rivela rapidamente privo di sostanziali penalizzazioni e questo fa sì che la soddisfazione del giocatore venga dall’organizzare le migliori “coreografie di combattimento” piuttosto che vincere lo scontro, dal momento che le possibilità di vittoria sono immediatamente chiare, non appena si vede il livello dell’avversario.

Con il senno di poi, non è difficile immaginare quanto tutto sarebbe stato più coinvolgente introducendo “buff” o “de-buff” che modificassero questa preveggenza, obbligando il giocatore a concentrarsi sul’acquisire e gestire informazioni “dal campo” per ridurre incertezze e portare a termine il combattimento in maniera efficacie.

12-hit combo K.O. al primo attacco … e manco mi stavo impegnando.

Un brutto colpo arriva poi dalle interazioni “social” con i proprio alleati e con le centinaia di comparse. Certo, bisogna sempre ricordarsi che questo gioco NON fa parte della serie Persona, per cui non era legittimo aspettarsi i Social Link, ma poteva andare meglio. Da un lato, l’affermazione che il protagonista possa esplorare i traumi di centinaia di personaggi e aiutarli a superarli corrisponde al vero. Dall’altro, il tutto si riduce ad una sorta di “memory a carte scoperte” in cui si dialoga con le comparse per un numero predeterminato di volte, si diventa loro “amici”, si ha accesso al loro trauma con tanto di descrizione del personaggio o oggetto da trovare per risolverlo.

Dai… anche meno, però! Manca solo che mi venga detto quante volte cambia l’intimo.

Migliore, ovviamente, l’interazione con i comprimari, che però si muove su binari rigidamente predeterminati, già visti in Tokyo Mirage, peraltro: il punteggio di “amicizia” cresce tanti più combattimenti il personaggio affronta come parte del team. Dopodichè, risolto ciascun arco narrativo, è possibile dedicare del tempo a parlare con essi, senza sostanzialmente limiti di “orari", e assistere a brevi scenette che ce li fanno conoscere meglio. Certo, tra le opzioni di dialogo ce ne possono essere alcune che “interrompono” l’amicizia, ma evitate quelle, non si raggiunge certo il livello di complessità e di cura di Persona 3. Ogni dialogo portato a termine con successo fa aumentare la conoscenza e, presumibilmente, prima o poi si rivelerà il trauma da risolvere con una sub-quest.

C’è insomma un’eccessiva semplificazione del tutto, che va a confermare questa sorta di folle polarizzazione per cui sembra che i giochi “di fascia alta” si debbano per forza dividere tra soulslike e “zero sbatta”. In questo caso particolare, è difficile togliersi dalla testa che il gioco non sia stato pensato inizialmente per il mercato smartphone, su cui forse si pensava di far evolvere molti degli aspetti di gameplay, e sia stato poi deviato sul mondo PlayStation in virtù degli storici buoni rapporti ma senza ripensarlo più di tanto. Al punto che, se fa fede la parola della stampa specializzata d’oltreoceano, la versione PS Vita di cui questo Overdose è il remake fu affossata da un’ottimizzazione inesistente. Ora, vero che stiamo parlando di una console portatile, ma pensare che un gioco come The Caligula Effect avesse problemi di caricamenti lunghi su quel piccolo mostro che è la PS Vita, quando su PSP si riuscì a gestire quel gioiello di grafica che fu 3rd Birthday, fa davvero pensare ad un gioco inteso per “qualcos’altro”.

Questa la metto solo per fanservice… qualche problema?

Ma nonostante questo, dopo trenta ore di gioco, continuo a volerci giocare per vedere “cosa succederà” e come il personaggio principale riuscirà a palleggiarsi le ansie contrapposte dei due schieramenti e scoprire le loro reali motivazioni. Magari, ogni tanto sbadiglio all’ennesima serie di sub-quest che smarco per guadagnare bonus, ma quella sensazione di trovarmi protagonista di un buon anime continua a darmi soddisfazione.

Ho giocato per trenta ore (trentasei nel momento in cui finisco questo articolo) a The Caligula Effect: Overdose per PlayStation 4 prima di decidere che era meglio se ve lo raccontavo, che altrimenti faceva in tempo a finire nel cestone degli sconti. Dal momento che sono un dannato snob radical-chic, me lo sono procurato pagandolo in contanti di carta (DI CARTA!!!) dal mio negoziante di fiducia, sostenendo il piccolo commercio. Ma dato che nel 2019 è più facile incontrare Thanos, che ti chiede se c’hai due spicci che deve ricaricare la Gemma della Comunicazione sul suo indossabile a forma di guanto, che non trovare un negozio di videogiochi sopravvissuto, va anche bene se lo comprate su Amazon o sugli store digitali della vostra console. The Caligula Effect: Overdose è disponibile su PC, su PlayStation 4, su PlayStation Vita e su Switch. E, a proposito di store digitali, come al solito, se acquistate il gioco (o qualsiasi altra cosa) su Amazon passando dai seguenti link, una piccola percentuale di quello che spendete andrà a noi, senza alcun sovrapprezzo per voi. Se volete procedere su Amazon Italia, dirigetevi qui, se preferite Amazon UK, puntate qui.