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The King of Fighters compie trent'anni. Da progetto “problematico” a pilastro dei giochi di combattimento. La storia di una SNK che non si arrende

Invecchiare vuol dire ammorbare i giovani con storie su un passato ormai scomparso, con lo sguardo perso nel vuoto e il cuore pieno di ricordi subdolamente abbelliti dallo scorrere del tempo. Questa volta Andrea mi ha riesumato per organizzare la festa a sorpresa a The King of Fighters, storica saga di pizze in faccia che per anni si è contesa il palcoscenico con Street Fighter di Capcom, dando vita a una delle “faide” più divertenti e interessanti degli anni 90.

Come molti di voi avranno ormai intuito, sono sempre stato un alfiere di Capcom. In sala giochi lasciavo scivolare il mio gettone nel cabinato di The King of Fighters solo quando avevo poco tempo e i cabinati di Street Fighter erano già occupati. Era una sorta di “ultima spiaggia”. All’epoca non riuscivo a capire cosa mi respingesse così tanto, del titolo SNK. In quel periodo diedi la colpa alla risoluzione troppo bassa dei personaggi, che rispetto agli sprite Capcom sembravano molto più sgranati, o ai colpi meno “pesanti” quando andavano a segno, ma col tempo ho capito che il problema era un altro. Rispetto a Street Fighter, KoF era più veloce e frenetico e ha sempre incoraggiato l’aggressività e le combo complesse. Quando giocavo a Street Fighter percepivo meno pressione e riuscivo a gestire gli spazi di gioco con maggiore lucidità, senza dovermi preoccupare delle schivate che permettevano di evitare gli attacchi, proiettili inclusi. Non a caso, anche se non mi divertivo particolarmente quando giocavo a KoF, mi piaceva molto fermarmi a osservare gli scontri tra i giocatori più abili. I round del titolo SNK volavano via in un lampo, spesso con giocate spettacolari e combo da urlo.

La scelta di legare i team di KoF 94 a 8 nazioni sparse per il mondo venne fatta per una questione di mercato. Come in Street Fighter II, la possibilità di creare delle rivalità “territoriali” in un gioco di combattimento permetteva di penetrare meglio nei mercati dei paesi coinvolti.

Il tempo, però, aiuta a maturare e anche se non mi sono mai staccato davvero dal cordone di mamma Capcom, con gli anni ho imparato ad apprezzare anche la sfumatura più aggressiva di KoF. In particolare, la mia apertura alla saga SNK è coincisa con l’acquisto di KoF 99 su Dreamcast. In quel periodo frequentavo un gruppo di amici appassionati di picchiaduro e dai gusti piuttosto variegati, motivo per cui spaziavamo molto con la selezione dei titoli con cui passare le nostre frequenti serate in compagnia. All’epoca non mi facevo ancora i problemi dei “puristi”. Se la conversione che avevo a disposizione era divertente, giocavo tranquillamente e me la spassavo, senza mettermi a contare i frame di latenza o le differenze con la versione arcade. Era un periodo spensierato, in cui bastava avere la console, due controller (non necessariamente arcade stick) e un gruppo di amici, per divertirsi un mondo.

Non che fossimo ignoranti in materia! Nel gruppo eravamo tutti appassionati di vecchia data e ci informavamo regolarmente sulle riviste e su internet, quindi eravamo consci delle differenze tra l’arcade e le varie conversioni. Semplicemente, non ci importava. Eravamo ancora sani di mente. Fu in quel contesto accogliente che mi immersi più a fondo nella serie di The King of Fighters, alternando il ’99 (l’incipit della serie NEST) e l’inossidabile ’98. Da quel momento in avanti, il mio interesse verso il Re dei Combattenti è aumentato esponenzialmente, facendomi finalmente apprezzare dettagli che in passato (inconsciamente, o per semplice stupidità) avevo ignorato e, soprattutto, permettendomi di godere dell’indiscutibile capacità di SNK nella creazione di personaggi iconici.

SNK ha più volte reso omaggio al luogo in cui venne creata la saga di The King of Fighters. Nello stage di Esaka, la stazione ferroviaria di Osaka, all’ombra dell’iconico sottopassaggio o sulla vicina panoramica si sono svolti milioni di scontri tra i personaggi del gioco, a due passi dalla vecchia sede dell’azienda e dalla sala giochi Neo Geo Land Sports Amusement.

Un tempo mi fissavo troppo sui personaggi che non apprezzavo (mi riferisco a voi, Chang e Choi!), ma quando è scoccata la scintilla non ho potuto fare a meno di innamorarmi di agglomerati di pixel animati con uno stile, una cura e un gusto fuori dal comune. Shermie, Leona, Mature e Vice, Yashiro e Vanessa, hanno lasciato un segno indelebile grazie ai design ricercati, agli stili di combattimento unici e al carisma incontenibile. Non sono mai stato un fan dei protagonisti. L’effetto Topolino che permeava le figure di Kyo Kusanagi, Terry Bogard e degli altri eroi SNK mi ha sempre fatto rabbrividire, ma la compagnia di Osaka ha creato così tanti personaggi “secondari” di qualità, da offrire anche a un rompipalle come il sottoscritto un’ampia possibilità di scelta.

Giocando sempre più spesso a KoF iniziai ad appassionarmi alla cura nei dettagli che gli sviluppatori avevano messo in ogni singolo capitolo della saga. I fondali erano pieni di elementi che attiravano l’attenzione e che portavano avanti la narrazione indiretta tipica dell’epoca (spingendo gli appassionati ad andare a caccia di citazioni o riferimenti che approfondissero i rapporti tra i personaggi). Per me, fu una vera scoperta! Quando iniziai ad apprezzare la serie, rimpiansi di non averla vissuta davvero in sala giochi, il suo tempio per eccellenza. In compenso, iniziai a cercare dettagli relativi al suo sviluppo, scoprendo la storia meravigliosa sulla nascita di The King of Fighters 94.

Se volete scoprire tutti i dettagli relativi alla nascita di KoF, vi consiglio caldamente il libro The King of Fighters: The Ultimate History, edito da Bitmap Books. È una miniera di informazioni preziose!

Il team responsabile dello sviluppo del gioco aveva il cuore ardente e la mente libera. Guidati da Takashi Nishiyama, papà di Street Fighter e Fatal Fury, Masanori Kuwasashi, Toyohisa Tanabe, Shinichi Shimizu e altri pezzi storici di SNK lavorarono al progetto, dopo essere stati reclutati tramite un mix di headhunting presso altre aziende e, come spesso accadeva all’epoca, con la partecipazione attiva agli eventi scolastici in cui venivano presentate agli studenti potenziali carriere lavorative. In quegli anni la pratica dell’headhunting tra le case di sviluppo era piuttosto diffusa (ecco perché i riconoscimenti alla fine dei giochi erano pieni di soprannomi, a discapito dei nomi reali degli sviluppatori) e, senza troppi scrupoli, dopo aver lasciato Capcom, Nishiyama si affacciò in diverse aziende per reclutare gli sviluppatori che per anni avrebbero lavorato ai più importanti titoli Neo Geo: fu proprio questo comportamento a innescare la profonda rivalità tra Capcom e SNK, successivamente trasformata in una sorprendente collaborazione che, a giudicare dai segnali inviati dal mercato, potrebbe ripetersi a breve (Capcom Vs SNK 3?).

Il team a cui venne affidato lo sviluppo di ciò che sarebbe diventato KoF 94 era pieno di giovani teste calde e non era visto di buon occhio da molti colleghi. Tuttavia, la fiducia nei loro confronti, almeno inizialmente, era tale da spingere i piani alti ad affidargli lo sviluppo di un picchiaduro a scorrimento nello stile di Final Fight di Capcom. Quando il gioco era già a una fase di sviluppo relativamente avanzata, però, la compagnia decise di trasformare il progetto in un picchiaduro a incontri, nel tentativo di sfruttare l’immensa popolarità di Street Fighter II.

Quando era ancora un picchiaduro a scorrimento con il nome in codice Survivor, il gioco prevedeva già un approccio basato su una squadra di tre personaggi. Il team trasferito in blocco nel picchiaduro a incontri era quello sportivo americano!

Il titolo, “The King of Fighters”, venne ripreso direttamente dal nome del torneo presente sia in Fatal Fury che in Art of Fighting, con il preciso intento di creare un punto d’incontro tra le celebri saghe SNK. Dopo aver deciso in quale direzione far muovere il progetto, il team affrontò un’impresa titanica, realizzando ben 24 personaggi, tra volti noti e nuove conoscenze, divisi in 8 team associati ad altrettante nazioni. Un numero spropositato, per i titoli dell’epoca. In KoF 94 non era ancora possibile creare il proprio team personalizzato (opzione aggiunta solo nel capitolo seguente) e si doveva accettare l’intero terzetto associato al paese selezionato. L’idea di limitarsi al team inedito capitanato da Kyo Kusanagi e ad altre squadre composte dai personaggi di Fatal Fury e Art of Fighting lasciò presto spazio alla versione finale, aperta anche a vecchi successi SNK come Psycho Soldier e Ikari Warriors.

Lo sviluppo fu abbastanza travagliato, con diversi problemi difficili da risolvere. L’ossessione per i dettagli spinse gli sviluppatori a spremere al massimo le capacità del Neo Geo in quel preciso momento storico, facendo apparire costantemente su schermo TUTTI i personaggi delle squadre coinvolte nello scontro, gravando in modo importante sulla gestione della memoria.

In KoF 94 i membri dei team che non combattevano attivamente assistevano allo scontro stando in disparte, facendo il tifo se non erano già stati sconfitti e intervenendo nei momenti di difficoltà, come durante il classico stordimento (anche detto “stelline”, usando il vecchio gergo di Street Fighter II).

Nonostante la qualità del lavoro fosse indiscutibile, il gioco rischiò di essere cancellato a un passo dalla pubblicazione. I dirigenti di SNK temevano che l’intero progetto si sarebbe rivelato un flop, quindi organizzarono una serie di location test in varie sale giochi, per sondare le reazioni dei giocatori e per raccogliere eventuali feedback. L’accoglienza da parte di chi provò personalmente il gioco fu estremamente positiva, con code chilometriche per giocare e con aspettative sempre più gonfiate per l’imminente uscita ufficiale. Il resto, è storia. Dopo il successo planetario di The King of Fighters 94, quello che inizialmente era stato immaginato come un singolo titolo si trasformò in una serie annuale che, tra capolavori e passi falsi, è giunta viva e vegeta ai giorni nostri.

Per il ritorno della saga dopo una pausa di diversi anni, con The King of Fighters XII e il ben più rifinito The King of Fighters XIII, SNK puntò ancora tutto su una realizzazione in 2D. Sfruttando una tecnica costosa e impegnativa riuscì a trasportare nel mondo dell’alta risoluzione i propri personaggi storici, dotandoli di animazioni eccellenti e di un nuovo design volutamente esagerato. KoF XII era praticamente una brutta beta venduta a prezzo pieno, ma contribuì alla nascita dello splendido The King of Fighters XIII, un titolo artisticamente fuori scala e dal gameplay ricco e stratificato. Sfortunatamente, nonostante l’indiscutibile qualità dell’opera il gioco non registrò numeri sufficienti per rientrare dei costi monumentali, finendo quasi col trascinare (di nuovo) SNK nell’abisso della bancarotta. Fu così, che l’azienda decise di spostarsi definitivamente sull’impostazione 2.5D già usata da Capcom per Street Fighter IV.

Per i fan irriducibili della serie, The King of Fighters XIV è stato una cocente delusione. SNK ha aggiustato il tiro con KoF XV, ma c’è ancora molta strada da fare.

Non disponendo delle conoscenze tecniche necessarie per un simile salto, tuttavia, portò negli scaffali dei negozi un The King of Fighters XIV visivamente datato e del tutto incapace di catturare un pubblico ormai abituati a livelli ben più alti. Nonostante tutto, però, la compagnia ha continuato a lavorare per aumentare il livello qualitativo dei suoi nuovi prodotti, sfornando prima un convincente reboot di Samurai Shodown, seguito poi da The King of Fighters XV, capitolo della serie su cui sta attualmente concentrando i propri sforzi.

Di passi avanti ne sono stati fatti molti, ma affiancando The King of Fighters ’94 a The King of Fighters XV è difficile non pensare alla citazione dal film Compagni di Scuola, di Carlo Verdone: “Guardate com'eri... guardate come sei... me pari tu zio!”