Tron, dal visionario progetto degli anni Ottanta alla stilosa delusione del nuovo millennio
Dire che Tron è una sorta di feticcio per chi era un ragazzino nerd ad inizio anni Ottanta è come dire che l’acqua è bagnata. Purtroppo, non ricordo il perché, mancai clamorosamente l’uscita al cinema ma posso dire con orgoglio che è stato il primo film che noleggiai in videoteca, da guardare per altro sul videoregistratore di mia zia, perché noi, in casa, al tempo ne eravamo sprovvisti.
Tron esce in un momento molto particolare, sono gli anni in cui Guerre stellari e L’impero colpisce ancora hanno rilanciato la fantascienza, distruggendo i record di incasso ai botteghini, e in cui i videogiochi sono un business miliardario. È il 1982 e Disney, nonostante tre anni prima si fosse scornata con il quasi flop di The Black Hole, decise di produrre questo audace progetto di Steven Lisberger che girò diverse major prima che la casa di Topolino gli desse il via libera.
Per quei due o tre che leggono Outcast e non sanno cosa sia Tron, possiamo dire che si tratta di un film che racconta la storia di Flynn, un programmatore di videogiochi che è stato derubato delle sue IP dal boss della compagnia per cui lavora, la ENCOM, e nel tentativo di accedere a dei database dove trovare le prove del furto, viene “digitalizzato” da un macchinario sperimentale e teletrasportato all’interno del sistema informatico. Lì trova un mondo fatto di programmi che hanno sembianze umane, il cui dittatore è il Master Control Program (MCP), che grazie al suo scagnozzo Sark, opprime tutti gli abitanti di questa bizzarra realtà. Flynn, con il prezioso aiuto di Tron, un programma creato da un collega, deve ovviamente combattere il malvagio MPC e i suoi sgherri.
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Tron, come si diceva, nacque in un periodo molto particolare ma purtroppo, nonostante l’ingente promozione pubblicitaria e i temi comunque molto popolari tra i giovani del tempo, non riuscì ad essere il successo in cui Disney sperava. Non fu un disastro eh, ma sicuramente possiamo dire che l’accoglienza fu tiepida, cosa che fece pensare al gigante americano di abbandonare per un bel po’ i film in live action.
Tron, al contrario di quanto si possa pensare, fu sì uno dei primissimi film ad usare la CGI per diverse scene, ma la maggior parte degli effetti speciali era di vecchia scuola, con sapiente uso di matte painting e rotoscoping. Per esempio, Giochi Stellari (The Last Starfighter), uscito un anno e mezzo dopo, aveva molti più minuti di computer grafica, anche se ovviamente non era ambientato all’interno di una CPU.
Il film di Lisberger, in realtà, ebbe diversi problemi che è difficile immaginare nel 2020, quando la CGI la troviamo anche nei video su Instagram. Al tempo, creare animazioni con computer grafica era una sorta di bestemmia, per una casa di produzione come Disney, che dal 1937 produceva lungometraggi animati. Infatti, molti si rifiutarono di lavorare a Tron o lo fecero con un atteggiamento non proprio collaborativo, mentre chi si occupava veramente della computer grafica doveva impazzire per creare animazioni che ovviamente, vista la potenza di calcolo di allora, dovevano essere renderizzate frame by frame e ci mettevano ore e ore prima che un solo fotogramma fosse visualizzabile.
La grandissima novità in fase produttiva, che invece velocizzò in maniera pazzesca la realizzazione, fu il fatto che con Tron iniziò lo sviluppo delocalizzato: i due studi principali che si occupavano del film erano uno in California e l’altro sulla East Coast, e fu possibile ottimizzare i tempi solo grazie all’invio del materiale girato via modem , cosa che pochi anni prima avrebbe occupato un tempo infinito, in quanto ci si sarebbe dovuti spedire via posta i nastri con il girato.
Tron è stato sicuramente una pietra miliare della fantascienza, anche se il botteghino sembra non dire questo. In realtà, negli anni, con l’home video (e con il videogioco, ma ci arriviamo) è diventato un cult movie, e non solo tra gli appassionati di videogiochi.
Un film visionario e per molti aspetti in mostruoso anticipo sui tempi, basti pensare al concetto di realtà virtuale, lì estremizzato al massimo, visto che si diventa parte fisica dell’informatica stessa, ma che nonostante il mezzo passo falso, ha dato origine negli anni a una serie di prodotti molto apprezzati e anche, nel 2010, a un sequel.
Ovviamente, al tempo di Tron, la cosa più immediata che veniva da pensare una volta visto il film era quanto fossero strepitose le moto che si davano battaglia nell’arena, limitando lo spazio a disposizione in stile Snake. Nei primi anni Ottanta, l’unico modo di vivere una battaglia con le Light Cycle era quello di giocare al coin-op ufficiale del film, sviluppato e prodotto da Bally Midway. In realtà ,il gioco era una sorta di multievento, diviso in quattro livelli ispirati a quattro scene ben precise del film. I giocatore doveva infatti superare quattro sezioni: nella prima, Tron deve raggiungere la torre I/O (Input/Output); nella seconda è necessario irrompere nell’MPC, distruggendo le parti rotanti della struttura; la terza è la famosa scena delle moto; la quarta è l'altrettanto famosa scena dei carri armati virtuali. Certo, questa ultima sezione, più che una versione riarrangiata di Battlezone sembra Pac-Man, ma non ci facciamo caso.
Il gioco ebbe un successo incredibile, di gran lunga più del film, tanto da pareggiarne praticamente gli incassi. Ma nonostante questo, il franchise di Tron sembrava rimasto azzoppato dalle performance cinematografiche poco lusinghiere.
Saltiamo al 2003, quando esce Tron 2.0, videogioco per PC sviluppato da Monolith, la stessa software house che negli anni futuri si occuperà dei franchise di F.E.A.R. e de La terra di mezzo. Tron 2.0 è uno sparatutto in prima persona, genere che nel 2003 andava per la maggiore, ma la cosa interessante è che, nel progetto iniziale, nasce collegato sia a Tron che al suo sequel, che vedrà la luce solo sette anni dopo, nel 2010. Il regista del primo film, Steven Lisberger, e quello di Tron:Legacy, Joseph Kosinski, hanno poi smentito che Tron 2.0 faccia parte del canone della serie, ma nonostante questo, il gioco di Monolith si fregia di una trama collegata ai due film, potendo anche contare sulle voci degli attori originali, in modo da rendere più coinvolgente il tutto.
Purtroppo, Tron 2.0 non è stato un titolo memorabile. Neanche orrendo, eh, sia chiaro: è uno di quei giochi che se ti piace il brand possono essere apprezzati ma ha avuto il grande pregio di traghettare il mondo futuristico creato da Disney nel nuovo millennio, per arrivare a Tron: Legacy, un film che, con mio grande rammarico, costituisce davvero un’occasione mancata.
Tron: Legacy racconta di come il figlio di Flynn, Sam, testa matta che distribuisce gratuitamente i software creati dalla ENCOM (ormai diventata sua ma controllata dal solito manager avido e crudele), una sorta di hacker etico, si ritrovi anche lui bloccato nel sistema informatico e alla ricerca del padre, scomparso anni prima.
Sam scopre un mondo simile a quello che aveva trovato Kevin quasi trentanni prima, fatto di programmi umanoidi che devono sottostare non più al malvagio MCP ma ad una copia corrotta di Flynn. Quest’ultimo, infatti, era tornato all’interno del sistema proprio per migliorare le cose e dato che non poteva essere contemporaneamente sia nella realtà che nel programma, aveva appunto creato un suo doppio, CLU, che avrebbe dovuto portare avanti le idee del suo creatore. Così non è stato e CLU è diventato un despota che ha come obiettivo quello di recuperare il disco dati in possesso di Flynn e quindi riuscire ad avere il controllo totale sul mondo digitale.
Tron: Legacy costituisce, come accennato prima, un’occasione sprecata, perché a livello audiovisivo è un film bellissimo. Il lavoro fatto sul design è veramente ottimo, riprendendo le forme del film originale ma ovviamente rivedendole e ricostruendole utilizzando le tecniche digitali attuali. Inoltre la colonna sonora dei Daft Punk è incredibilmente ispirata, veramente bella anche per chi non apprezza la musica elettronica del duo francese. Insomma, sarebbe stato davvero un film bellissimo, se non ci fossero state due lacune che, ahimè, non possono essere tollerate: fondamentalmente, Tron: Legacy non ha una trama. Anzi, la trama c’è ma è talmente impalpabile (e con diversi problemi verso la fine) che lo spettatore si chiede: “Ma quindi cos’ho visto?”. La seconda, credo peggiore, è la performance del cast, assolutamente sotto la media, con un protagonista non carismatico, una co-protagonista (Olivia Wilde) tanto bella quanto assente e un Jeff Bridges che probabilmente era lì perché doveva pagare il mutuo. Ridicolo purtroppo il clone digitale di Bridges, CLU, che sfoggia il volto giovane del buon Jeff ma realizzato in maniera troppo posticcia, tanto da sembrare una maschera di plastica. Oggi, probabilmente, si utilizzerebbe la tecnica del deepfake, e il risultato sarebbe sicuramente migliore, considerando anche che, per riprodurre il volto giovane di Bridges, è stato utilizzato come modello il girato di Due vite in gioco.
Personalmente, pur avendo apprezzato la serie animata Tron: Uprising, parzialmente inedita in Italia, e altri prodotti legati al brand, spero sempre in un terzo film che riesca a coniugare un aspetto artistico eccellente con una trama degna di questo nome e in un gioco ufficiale che ci metta alla guida delle Light Cycle, magari con un bel casco virtuale in testa. Chissà.
Questo articolo fa parte della Cover Story "Disney Club", che potete trovare riassunta a questo indirizzo.