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Vampyr ha il fascino del vampiro da cui ti fai mordere, ma con reticenza

Io mi sono innamorato di Dontnod Entertainment. Nella scorsa generazione c'è stato Remember Me, che aveva un look bellissimo ed era divertente da giocare, pur con tutti i limiti di una produzione non enorme. A livello tecnico aveva dei momenti per me pure straordinari, ma la mano di Capcom (il portafoglio sicuramente) ha fatto il suo. L'amore è proseguito a cavallo tra la vecchia e l'attuale generazione, con Life is Strange, avventura a puntate a cui, come da (mia) tradizione, ho giocato solo una volta finita. Pure in edizione scatolata con qualche stronzata bellissima da limited, come la colonna sonora. Un po' una mezza fregatura, la cosa delle scelte che influiscono relativamente, ma ho adorato il lato visivo e l'atmosfera generale da tramonto perenne. Sì, l'impatto è quello dei quarantenni che scrivono come dei quindicenni che poi scopri non si esprimono nemmeno così, ma già dal secondo capitolo le cose migliorano, perché con la tragedia che impera c'è meno spazio per i “bella zio”. E va detto che la traduzione italiana ha pure limato certe brutture, paradossalmente.

E arriviamo così a Vampyr. Hai capito, i Dontnod? Un action adventure, un'avventura testuale a bivi e adesso un action RPG sui vampiri.

Poliedrici, quindi. E infatti l'amore resta, anche se stavolta un po' si è incrinato. Il gioco è ambientato nel 1918, in una putrida Londra dilaniata dalla malattia e dai criminali. Il dottore si risveglia affamato di sangue e coi ricordi offuscati. Si capirà presto che è stato vampirizzato, anzi, abbracciato, come dicono i vampiri. Tutto Vampyr pesca a piene mani dai classici del vampirismo, dalla letteratura ai giochi di ruolo della serie Vampire: The Masquerade. La trama del gioco ruota attorno al prendere coscienza della propria neo-identità di vampiro; trama costellata di scelte, dialoghi, personaggi non giocanti con cui interagire. Qualcosa di così curato da far pensare che il gioco sia nato come GdR molto classico, quasi di puro roleplay, con la parte dei combattimenti in tempo reale incollata solo dopo. Il protagonista si finge un importante medico, trovando come rifugio principale un ospedale, che divide con altri vampiri e il dottor Swansea, vampirologo e alleato cruciale per non farsi sopraffare dalla bestialità che comporta l'essere una creatura della notte.

Una buona parte di Londra è esplorabile e ogni quartiere ha una sorta di contatore del degrado, che può variare in base al nostro comportamento. Sta a noi decidere se nutrirci come cani rabbiosi di qualsiasi cosa ci passi vicino e contenga sangue nel corpo, oppure se condurre un'esistenza morigerata e integrata nella società, finendo col nutrirci di topi per non morire. Interessante, in quest'ottica, il sistema sociale ad albero, che si arricchisce grazie a quello che scopriamo sugli abitanti della città. Per chi decide di banchettare con gli abitanti, è quindi importante sapere con chi farlo: togliere la vita a un importante e stimato nobiluomo desterebbe molti sospetti, a differenza di un povero senzatetto che vive sotto un ponte a Whitechapel e nessuno conosce. La difficoltà ruota attorno a queste scelte, che cambiano il mondo intorno a noi, anche se di fatto il tutto si riduce alla scomparsa o interruzione di quest secondarie o all'inasprirsi di nemici umani, piuttosto che mostruosi (in caso di svuotamento totale della popolazione del quartiere, questo si riempirà di creature della notte). Il nostro modo di giocare influenza anche la gestione del personaggio, che ruota attorno al sangue consumato e ai punti esperienza ottenuti uccidendo persone. Il bilanciamento non è riuscitissimo, perché se si cerca un approccio più cauto, si finisce con l'essere puniti dai pochi punti distribuibili.

I personaggi che incontreremo sono il cuore della vita di Londra, ma anche un ottimo menù se avremo fame.

Il gioco dispone di un codex favoloso, pieno di appunti e informazioni da leggere in giro che vendono archiviate e sono sempre consultabili, che siano gli scritti di uno studioso di vampiri o la lettera di un suicida che racconta gli ultimi giorni prima della fine come fossero un piccolo racconto dell'orrore. L'abilità dei Dontnod di raccontare storie, qui, emerge parecchio, così come il lavoro di documentazione sul mondo vampirico, che si dimostra letteralmente uno dei migliori mai fatti nei videogiochi. Ma come già detto, ci si deve confrontare con un lato puramente ludico non all'altezza del mondo costruito dal team. Il sistema di combattimento, per esempio, è a dir poco rotto: movimenti goffi, animazioni monche, intelligenza artificiale nulla. Non c'è il minimo piacere a reiterare di continuo le solitre due/tre mosse, schivando i colpi nemici, spesso comunque imprecisi. La personalizzazione del protagonista, in compenso, è sicuramente ottima e lascia diversa libertà d'azione: i punti sangue possono essere usati liberamente per aumentare parametri come salute o stamina - che si consuma in battaglia a ogni nostra azione - oppure per apprendere le abilità, alcune passive, come il sangue ottenibile mordendo i nemici, o attive (vere e proprie mosse e attacchi speciali, dalle artigliate ai turbini di sangue). Ma questa varietà serve a poco e ci si ritrova a potenziare soprattutto la resistenza del nostro Jonathan, per evitare di dover ripetere eventuali scontri lunghi e noiosi.

Stealth e dialoghi non permettono di evitare i combattimenti. A volte si è costretti ad affrontarli... purtroppo.

Tecnicamente, il gioco è un po' rimasto in quella zona grigia di inter-gen, come Life is Strange, di cui qualche eco grafico rimane. I personaggi sono monoespressivi, con passaggi di stato emotivo a volte un po' goffi. Solo che, arrivati dove siamo nella cavalcata finale di generazione, trovarsi a pensare che il gioco sembra una rimasterizzazione di qualcosa di cinque anni fa almeno non è proprio il massimo. Se Life is Strange se la cava coi colori del tramonto e le texture che sembrano pennellate, Vampyr, nonostante l'atmosfera ben concepita, non riesce a mascherare benissimo certe carenze tecniche, che sembrano infilate a forza in corso d'opera.

Vampyr, insomma, è un po' una montagna russa, fatta di sorrisi che ti portano su e di espressioni dubbiose che ti riportano verso il basso. Se amate l'argomento, troverete colli per i vostri denti, se cercate un'avventura che vi tenga incollati allo schermo, invece, no (la narrazione ha un brusco calo nel mezzo e poi si risolleva nelle battute finali). Se siete pazienti e amate farvi trasportare in un mondo ben costruito, il gioco ha precchie freccie al suo arco, sempre che possiate scendere a patti con alcuni scivoloni di gameplay piuttosto evidenti. In un gioco dove imperano i dubbi, il primo è proprio quello di lasciarsi o meno abbracciare da esso.

Ho giocato a Vampyr su una PlayStation 4 Pro, grazie a un codice per il download fornitomi direttamente dal distributore del gioco, totalizzando una ventina di ore per completare i sei capitoli della trama principale e provando qualche missione secondaria, generalmente prendendo schiaffi un po' dappertutto per colpa del sistema di combattimento legnoso. Cercando di completare il codex e finire tutto il finibile, il monte ore raddoppia tranquillamente e io stesso ho intenzione di tornare a Londra per togliermi qualche sfizio. Vampyr è disponibile anche su PC e Xbox One.  Ah, come al solito, se acquistate il gioco (o qualsiasi altra cosa) su Amazon passando dai seguenti link, una piccola percentuale di quello che spendete andrà a noi, senza alcun sovrapprezzo per voi. Se volete procedere su Amazon Italia dirigetevi qui, se preferite Amazon UK puntate qui. Se invece lo acquistate su Epic Games Store tramite questo link, il 5% di quello che spendete va a noi, senza sovrapprezzi per noi.