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Wario World non è un capolavoro ma neanche una devitalizzazione

Il piano era perfetto nella sua semplicità: approfittare di una tre giorni a Bacoli dai miei, tra una devitalizzazione e un viaggio in treno, per recuperare Wario World per GameCube, ovviamente emulato su Steam Deck che ormai è la mia GameCube machine per eccellenza. 

L’idea era davvero allettante, se ci ripenso: l’immagine di un momento di voluta e ricercata regressione nel giocare roba GameCube nella stanza dove sei cresciuto, nella quale proprio la console cubica di Nintendo ha avuto un ruolo importantissimo in pomeriggi e sere, da solo o in compagnia. Nella quale ci sono ancora un GameCube e un Mivar, col primo perfettamente funzionante, per carità, ma non moddato; con tutto l’amore che ho per l’antieroe Nintendo e per il colmare quella che percepivo come una lacuna di gioventù, la voglia di barcamenarsi tra mercatini vari per un disco è tanto quanto quella di farmi devitalizzare i denti di cui sopra. Solo che il trattamento dentistico è decisamente più dovuto. 

Vivo il mio viaggio nel cosiddetto “retrogame” come uno scoprire, con gli occhi di oggi, videogame che all’epoca avrei valutato con uno sguardo diverso, probabilmente meno consapevole. Non è un ritorno nostalgico: anche quando mi concedo il remake di Advance Wars (ottimo, sappiatelo, ne ho pure scritto qui) lo inquadro comunque in un bagaglio di esperienza maggiore, apprezzandolo probabilmente più di quanto lo abbia amato all’epoca: stessa intensità, ma in modo diverso insomma.

A volte la sensazione è simile a quella di uno Streets of Rage, tirando cazzottoni che fanno volar via ogni cosa.


Invece, il progetto di Wario World, incastrando le varie circostanze, era proprio la ricerca di un momento di gioventù, una sorta di vero viaggio nel tempo, facilitato proprio dall’ambiente in cui, idealmente, avrei provato il tutto. Il piano però è naufragato, perché se sono certo che il Giuseppe del liceo avrebbe adorato Wario World, quello nel limbo tra i trentacinque e i quarant’anni anni, invece, lo considera un po’… robetta.

Uno spin-off Nintendo affidato a Treasure sembra l’Eden del giocatore “che se ne intende”, no? Due firme che hanno segnato la storia del videogioco, che hanno pubblicato capolavori e titoli di culto che hanno plasmato immaginari e gusti di molti che ancora oggi hanno un controller in mano. Ma Wario World sembra più un compito non sempre riuscito che uno di quei matrimoni perfetti come fu, sempre tornando al Game Cube e a Nintendo che esternalizza cose, un F-Zero GX.

L’unico gioco che non ha un port HD in un mare di giochi che ha port HD.

Non che manchino buone idee, ci mancherebbe. Wario World non è affatto un brutto gioco.

Piccolo passo indietro, come se fossimo in un Retro Outcast dove partiamo in quarta dimenticando le premesse: Wario World è un platform d’azione che, grazie agli ambienti tridimensionali, prende in prestito un bel po’ di robe dai picchiaduro a scorrimento pur senza mai rinunciare del tutto all’essenza della serie “Wario”. Tra cazzotti, culate,  prese, piledriver lanci di nemici, infatti, non si rinuncia mai del tutto alla voglia di esplorare, alla ricerca di tesori nascosti, anfratti segreti e bonus vari. Wario non è mai stato così manesco (escluso Smash Bros. ovviamente), ma il gioco Treasure non tradisce assolutamente il capisaldo della serie “Wario”, quello che lo contraddistingue in particolar modo da Wario Land 2 in poi e che rende questi giochi profondamente diversi dai vari platform mariosi: utilizzare gli avversari come strumento di esplorazione dell’ambiente.

Se Wario Land (3 e 4 in particolare) danno pieno sfogo alla fantasia degli sviluppatori Nintendo, creando tante simpatiche situazioni in cui le collisioni tra Wario e i nemici sbloccano di fatto dei superpoteri, Treasure preferisce un approccio diverso ma simile, molto più “fisico”.

L’anima puzzle di Wario Land 3 è ancora oggi freschissima

Ho già detto come Wario possa picchiare, sollevare, lanciare e far roteare ogni mob che incontra, vero? Ecco, queste movenze non solo servono a rimuovere o gestire le suddette orde di avversari, ma permettono interazioni con l’ambiente altrimenti impossibili per il baffuto e panzuto eroe.

 Lanciando i nemici è possibile attivare interruttori lontani, per esempio. Ancora, il piledriver crea uno schianto a terra in grado di rompere alcune barriere; in aggiunta, la rotazione serve a imprimere forza – appunto rotatoria – a varie strutture in grado di sollevare cancelli, muovere piattaforme e in generale agevolare il passaggio presso ostacoli altrimenti insormontabili. Insomma, Treasure ha trovato un bel modo per sfruttare una maggior propensione all’azione in strumenti in grado di potenziare le capacità esplorative, in piena continuità e fedeltà allo spirito della serie Nintendo.

Ok, certe texture oggi lasciano un bel po’ a desiderare.

Condendo il tutto con alcuni livelli bonus che ricordano, per approccio e dimensioni, i livelli senza Splac 3000 di Mario Sunshine e la necessità – lato level design – di incedere nell’esplorazione per poter sbloccare i bonus di fine livello, si può dire insomma che le idee valide questo Wario Ware le ha e le sa pure sfruttare in maniera tutto sommato coerente.

Ma allora perché “robetta”?

Perché non sono più il Giuseppe di una volta, quello a cui bastava avere una componente platform o action solide (in questo caso entrambe, certamente più la seconda che la prima) per potersi godere al mille per cento un titolo, magari sviscerandolo e portandolo al 100% di completamento. In questa fase della vita preferisco vedere i giochi in maniera un po’ più “organica”, oserei quasi dire a 360 gradi se non fosse un’espressione fin troppo abusata. E Wario World ha purtroppo delle grandi pecche.

 Anzitutto, la profonda ripetitività. Nonostante le estetiche diverse dei livelli e qualche idea aggiuntiva che ogni tanto fa capolino, l’impressione è che il gioco Treasure sia un po’ un compitino a effort ridotto. I nemici in particolare sono sempre gli stessi, cambia solo l’estetica ma senza moveset aggiuntivi; fanno ovviamente eccezione i boss di fine livello, che però lasciano il fianco scoperto a un design (ma proprio di character design prima ancora che di gameplay) veramente opinabile, con alcune schifezze estetiche che sembrano quasi dei placeholder. Di quei boss che ti viene voglia di menarli male per quanto sono brutti e non rivederli mai più, con pattern di attacco fin troppo telefonati per reputarli davvero interessanti: Treasure ci/mi ha abituato a di gran meglio, da questo punto di vista, e forse avere meno boss ma “migliori” avrebbe giovato, perché un paio di sfide restano comunque più che goderecce.

Da buon “cattivone”, Wario affronta ogni boss di petto senza la benché minima paura.

 Ma anche il level design non mi ha pienamente convinto. Se Wario brilla soprattutto nella sua componente esplorativa, le tre dimensioni (comunque su “binari”, non vi aspettate la libertà di Super Mario 64) non giovano alle soluzioni esplorate da Treasure, ancora una volta un po’ altalenanti nel gusto e certamente consistenti nella ripetitività. Ovvio, non è facile bilanciare un platform da questo punto di vista: proporre soluzioni sempre inedite rischia di essere più un peso mentale per i giocatori, a cui dei riferimenti “fissi” servono sempre per poter orientarsi nel proseguimento dei livelli. Ma al contempo la continua reiterazione di alcune soluzioni finisce, ancora una volta, all’idea di un gioco che parte bene ma poi “tira il freno a mano” ogni volta che sembra accelerare grazie alle sue pur presenti buone idee. 

Insomma, forse le mie aspettative hanno tradito il mio approccio a Wario World. Non tanto per la qualità del gioco – ricordo comunque review non entusiaste già all’epoca – quanto proprio per l’esperienza che ho vissuto. Volevo rivestire i panni di un Giuseppe di bocca buona, ricco di riccioli e speranze; sono tornato a essere un Colaneri pesantone, iperrazionalizzante, solo a casa dei suoi genitori come una volta. Ma qui, forse, non è colpa di Treasure né di Nintendo.