Post Mortem #42: West of Loathing, ovvero “Come creare un gioco con tool vecchi di 15 anni”
Una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori, da parte dei membri del team di sviluppo, sulla loro esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.
Considerando che West of Loathing è un gioco che si prende ben poco sul serio, mi sarei aspettato tutto fuorché un post mortem compassato ed effettivamente informativo sulla sua genesi. Come a volersi contrapporre all’indole di un titolo che nei primi dieci minuti di gioco costringe il giocatore a prendere a cazzotti mucche demoniache e che smantella e rimonta al contrario tutti i topoi del genere western (e non solo), Zack Johnson, creatore di West of Loathing e Kingdom of Loathing, è salito sul palco della GDC 2018 e ha parlato in maniera sorprendentemente seria dello sviluppo della sua ultima creazione, regalando molti meno siparietti di quanto mi sarei aspettato.
Per chi non lo sapesse, Kingdom of Loathing, il papà fantasy e browser-based di West of Loathing, è uscito ben quindici anni fa ed è ancora supportato da una folta community di giocatori, oltre ad avere un flusso costante di nuovi contenuti che va avanti da allora. Potete provarlo gratuitamente cliccando qui, se volete avere un’idea del genere di demente umorismo “troperiffico” che propone. Si sa che la mela non cade mai troppo lontano dall’albero, e infatti West of Loathing è, senza troppe sorprese, nato proprio come reinterpretazione in chiave Western delle assurde vicende di Kingdom, stavolta impacchettate in un gioco vero e proprio, disponibile su PC e console, e non più come “antiquata” avventura testuale da browser.
Zack Johnson ha raccontato che alla base dello sviluppo c’era l’idea di costruire un RPG, ovviamente satirico e non-sense, ma che fosse una sorta di avventura à la Bethesda al contrario, in cui l’enfasi fosse posta su decine di missioni secondarie ben scritte, piuttosto che su una trama principale. Il risultato finale è che la quest principale è, di fatto, solo una scusa per dare al giocatore un senso di falsa progressione, che aggiunge ben poco alla narrazione del gioco. Le tre fasi in cui è divisa la struttura principale sono state create fin da subito, già complete di gran parte dei luoghi presenti nel gioco finito. Nella lista originale che Johnson ha mostrato, fa capolino anche un’area chiamata “Culo di Cthulhu”, ma lui giura e spergiura di non sapere niente a riguardo.
Il motore grafico Unity si rivela da subito un formidabile alleato e, grazie anche alla semplicità artistica del gioco, che ha sostanzialmente l’aspetto di un diorama bidimensionale, Zack e i suoi riescono ad avere un prototipo funzionante assumendo uno sviluppatore per una sola giornata di lavoro. Nel frattempo, prosegue il lavoro sugli oggetti di gioco, che Zack disegna personalmente con un semplice pennarello su carta fotografica e poi scansiona uno ad uno usando lo scanner più economico che trova su Amazon in quel momento. Scanner che puntualmente si rompe dopo qualche settimana di utilizzo. Ben tremilaquattrocento sprite vengono importati a mano nel gioco nella sua versione finale. Le immagini prodotte dallo scanner economico vengono importate in Paintshop Pro 9, lo stesso software che Zack usa da quindici anni e che definisce come “I cento dollari meglio spesi della mia vita”.
Zack ha poi mostrato come i tool usati per sviluppare il gioco siano molto rudimentali. Ad esempio, per tenere traccia di cosa fatta e di cosa dovesse invece essere fatto ancora per ogni area di gioco, gli è bastato creare un banale foglio di calcolo condiviso con una serie di caselline da spuntare, tra cui una dedicata all’assicurarsi di avere almeno una battuta nonsense per area di gioco. Come quella in cui un tizio che sta spiegando al protagonista come funzionano le miniere (mine in inglese) afferma che sta facendo “minesplaining”.
Col procedere dello sviluppo, il combattimento e il suo bilanciamento sono diventati sempre meno importanti ai fini dell’economia del gioco e il ristretto numero di sviluppatori ha preferito concentrarsi sulle cose veramente importanti e peculiari, fra cui, ovviamente, le battute stupide e le situazioni completamente surreali che si incontrano nelle quest secondarie. Un enorme database di sprite, ambientazioni, script e testi è stato creato lentamente e condiviso fra gli sviluppatori, permettendo di aggiungere valanghe di contenuti senza andare a modificare la programmazione del gioco stesso e rischiare di rompere qualcosa.
L’utilizzo di mezzi semplici, unito a un pizzico di sana pigrizia, è il segreto del successo di West of Loathing, perlomeno secondo Zack Johnson. E certo, le idee hanno cominciato a scarseggiare un po’ nella fase finale dello sviluppo (e si vede) ma è niente di fronte all’incoscienza che Zack ha dimostrato nel fornire all’autore della colonna sonora, che gli chiedeva possibili ispirazioni, solo una canzone di Sheryl Crow. “Fai tu.”
Questo articolo fa parte della Cover Story più veloce del West, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.