Io, il mio amico e Wonder Boy in Monster World | Racconti dall'Ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Ve l’ho già raccontata, la storia di Giampaolo e i suoi amici, no? No, non dico Marco, dico Giampaolo, non dico Duarte e Krunic, dico Lucinda e Posato (con Artemanno hanno litigato). E ve l’ho già raccontata, la storia mia e del mio amico Amico, con il quale ci facevamo la Sega negli oziosi pomeriggi d’estate. Ecco, ora vi racconto un altro capitolo di queste affascinanti vicende, un prequel: quella volta che, anni prima di conoscere Amico, avevo stretto un sodalizio con il mio sodale Sodale, anch’egli proprietario di un Sega Mega Drive e di svariati giochi da utilizzarci dentro.
OK sì lo ammetto, non ho mai posseduto un Mega Drive, ero un nintendaro, ho recuperato un botto di roba al liceo grazie agli emulatori e tutti i miei ricordi d’infanzia relativi ai giochi Sega sono presi in prestito dalle camerette di qualcun altro. Cosa volete fare, ora, calpestare la mia anima e farmi sentire fuori posto in questa Cover Story? Sucate forte, io ho da raccontarvi la storia mia e di Sodale.
Dunque, io e Sodale. Devo qui confessare un’altra cosa: siccome all’epoca ero un bambino di merda che non capiva nulla, praticavo un certo razzismo nei confronti di alcuni prodotti videoludici. Vedete, per me il videogioco era sinonimo di magia nell’accezione più ampia del termine, e di fantasy, se vogliamo invece aggrapparci ai generi; era quella cosa per cui c’è un vecchio in una caverna che ti dà una spada e da lì puoi andare dove vuoi e fare quello che vuoi. I giochi che aveva Sodale mi sembravano un po’ da sfigati, perché erano tutti “vai da sinistra a destra, dal punto A al punto B, e ogni tanto salta per non morire”, non c’era l’avventura, non c’era quell’incredibile sensazione di essere in controllo ma anche in presenza di un circo di possibilità che solo un inventario con gli slot per le armi e l’armatura può trasmettere.
Voglio dire che OK, bello il Mega Drive e Sonic e tutto quanto, ma io a casa avevo già tutti gli Zelda e Secret of Mana e Secret of Evermore, e tutto quello con cui Sodale poteva ribattere erano un paio di JRPG oscurissimi e incomprensibili per dei decenni (nel senso di “bambini di dieci anni” ma anche di “non ci ho capito nulla per altri dieci anni”) tipo Shining in the Darkness o Phantasy Star, regolarmente approcciati con entusiasmo e abbandonati scuotendo la testa, nient’altro che un gigantesco potenziale inespresso. Le cose fighe, insomma, ce le avevo IO, beccati questa, Sodale!
Come in ogni storia che si rispetti, ora arriva il colpo di scena: Sodale era in possesso di un artefatto che ho bramato per anni, finché non ne sono venuto in possesso sotto forma di ROM. Si chiamava Wonder Boy in Monster World ed era (ai miei occhi di bambino dall’orizzonte limitato) come se Zelda e Faxanadu avessero fatto all’amore nei prati e ne fosse nato un bambino meraviglioso e pucciosissimo, che sotto una bella passata di tenerezza nascondeva un animo crudele e un certo gusto per il mistero e il non detto.
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Monster World è il quinto capitolo di una saga nata in sala giochi, con protagonista un bambino con il pannolone che corre e salta con lo skate, ed è il primo uscito per Mega Drive, o Genesis, lui, insomma. È anche il primo che riprende l’intuizione migliore di Monster Land (il secondo, uscito in sala giochi e per Master System), cioè iniettare elementi da RPG – o da avventura alla Zelda se non vi piace applicare quell’acronimo in questo contesto – in una struttura da platform. Che è poi il motivo per cui io, al tempo, arrivandoci un po’ in ritardo e dal lato Nintendo, ci ho visto gli Zelda e i Faxanadu e ne sono rimasto piacevolmente stupito. In Monster World potevi comprare le armi e le armature! Non so cosa dica di me il fatto che attribuisco da sempre un valore simbolico enorme alla possibilità di fare shopping in un videogioco; forse è la compulsione a possedere tutto quello che è possibile possedere all’interno del limitato spazio di un videogioco per riempire almeno temporaneamente l’horror vacui che è la nostra esistenza quotidiana, o forse sono sempre stato schiavo del capitalismo senza saperlo.
E poi c’erano le armi, le magie e i segreti, in quella che oggi riconosceremmo come una struttura archetipica e che all’epoca, facendo due conti con le date, visto che i miei ricordi non seguono l’ordine cronologico delle uscite, immagino fosse rivoluzionaria. Voglio dire che in Monster World c’è un’OCARINA MAGICA che fa LE MAGIE se suoni le note nell’ordine giusto e sapete quand’è che lo strumento di Zelda è stato promosso da “flauto” a “ocarina”? Esatto, DOPO Monster World, e non me ne frega nulla che l’ocarina di fatto è un flauto e che già in A Link to the Past (tre anni prima) lo sprite avesse assunto l’ormai arcinota forma a ocarina, nella mia mente di bambino resta che Monster World era un gioco con l’ocarina magica before it was cool, una nozione che mi faceva sentire tutto sporco e mi spingeva a chiedere scusa allo SNES ogni volta che tornavo a casa.
Ci sono infiniti altri flash che associo a Monster World, ricordi o frammenti di ricordi o ricordi di seconda mano acquisiti via MAME. La meraviglia del livello sott’acqua e della libertà di muoversi in tutte le direzioni cardinali. La possibilità di parare i proiettili dei nemici roteando la lancia (il tridente?). I pinguini. Le bestemmie, prima ancora di sapere cosa fossero, perché ovviamente Monster World era un gioco difficilissimo, ma lo era davvero? C’è quest’idea che invecchiando si perdano i riflessi e giocare ai videogiochi diventi sempre più difficile, io sono convinto del contrario: anni, lustri e decenni ad allenare la coordinazione occhio-mano, e soprattutto la capacità di riconoscere pattern e sfruttarli a proprio favore, aiutano a sollevare la nebbia che ricopre anche i giochi più notoriamente difficilissimi (da Ninja Gaiden a Battletoads, ve l’ho detto che ero un nintendaro), a mettere in mostra gli ingranaggi che ci stanno dietro e a retrocederli da incubo a 8 bit a sistemi meccanici facilmente leggibili e aggirabili. La conoscenza è potere e saper comprendere in anticipo le intenzioni di un marchingegno tutto sommato prevedibile conta più dei riflessi, e quello che succedeva quando eravamo piccoli e giocavamo ai videogiochi era che non capivamo del tutto quello che stava accadendo; ci si lasciava trascinare senza troppe tentazioni di controllo, ed è chiaro che, in uno stato d’animo simile, gli uccellacci sui pozzi senza fondo di Ninja Gaiden sembrano uno strumento di tortura inventato dal demonio, invece di uno sprite che si muove secondo un pattern facilissimo da memorizzare.
Perché sono finito a parlare di questo? La nebbia dei ricordi, i giochi difficili di una volta, ah, e Monster World. Non so se Monster World fosse davvero difficile, certo che Monster World era difficile, è che non credo sia questo il punto. Me lo ricorderò (chiunque ci abbia giocato se lo ricorderà) come una pietra miliare, un momento decisivo, una svolta; uno di quei videogiochi che mi hanno insegnato, senza che me ne accorgessi, ovviamente, che un altro videogioco è possibile, che entro i limiti di una cartuccia è possibile infilare non solo un sistema di carrucole e pulegge ma un intero mondo, con le sue regole e i suoi misteri e le sue avventure. Qualcosa sul tutto che è più della somma delle parti, immagino.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al Sega Mega Drive (Mini e non), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.