Outcast

View Original

Yakuza Fiancé: don't you know that you're toxic?

La grande protagonista degli anni 2000: la linguetta!

Ah, l’amore.
Il sentimento che ci sprona a dare il meglio di noi senza neanche prometterci un assegno a fine mese.
Il sentimento che rende tutto bello come un cartone animato Disney: fa fiorire i fiori, ruscellare i ruscelli, cinguettare i cinguettini.
Il sentimento più innocente e puro in un mondo corrotto.
”Amor che a nullo amato amar perdona”.
Ah, l’amore!

Ah… l’amore?

MACHECCAZZ??!!

OK, avete presente il concetto di “relazione tossica?”. Bene: Yakuza Fiancé adattamento animato in 12 episodi a cura dello Studio Deen del manga di Asuka Konishi noto in patria come Raise wa Tanin ga ii (Nella prossima vita preferirei incontrare qualcun’altro) prende questo concetto, lo siringa di steroidi, gli fa pippare una striscia di coca stesa lungo tutto il ponte di Brooklin e senza lasciargli dire “cazzo che botta!” lo carica su una sonda Discovery e lo spedisce fuori dal sistema solare a calci.

Ed è divertente e cretino come pochi.

Divertente e cretino

Do per scontato di avere lettori che non sorvolano sulle parole “adattamento animato” e “manga” e che, quindi, abbiano ben presente che stiamo parlando non di vita vera ma di un’opera di finzione in cui NESSUNO dei protagonisti è neanche lontanamente assimilabile ad un “normale essere umano” (o, come d’abitudine: “un normale studente giapponese”).

Il genere di appartenenza di Yakuza Fiancé sono fin troppo evidentemente i “Reverse Harem”, quella particolare categoria di opere destinate ad un pubblico femminile che mettono al centro degli interessi di un numero di bei ragazzoni superiore all’unità una bella protagonista che, inevitabilmente, eleggerà un suo favorito e altrettanto inevitabilmente verrà osteggiata da una o più antagoniste di varia provenienza e motivazione. Nei videogame, principalmente visual novel o gacha game, si parla esplicitamente di “Otome games” mentre nei manga non credo esista un termine specifico e finisca tutto nel calderone degli “shojo”.

Tema frequente in queste opere è il fatto che l’harem non sia solo costituito da figaccioni ma che almeno uno di loro sia un “cattivo ragazzo”. A volte capita che sia addirittura il protagonista, a volte capita che. Ogni. Singolo. Figaccione. sia una “pericolosa mina vagante”.

Non vorrei ripetermi, ma stiamo parlando di opere di fantasia e, giusto per reiterare, stiamo soprattutto parlando di opere di fantasia in gran parte scritte da donne PER donne. Ognuno fantastica come preferisce, OK?

Ragazzacci (e ragazzacce)

Quindi, in Yakuza Fiancé abbiamo Yoshino Somei, nipote del più prominente boss della Yakuza del Kansai (la regione di Osaka), che si trova a dover condividere un anno della sua vita scolastica con Kirishima Miyama, belloccio suo promesso sposo in quanto nipote di un boss di un certo rilievo del Kanto (la regione di Tokyo), nella residenza della famiglia Miyama.

Da una parte abbiamo quindi la “principessa pura” che pur volendo bene al nonno che l’ha accudita dopo la morte in un incidente del figlio che aveva troncato i legami con “gli affari di famiglia”, non ne vorrebbe sapere mezza di questo mondo oscuro.

Dall’altra, ovviamente, il “principe guerriero” che maschera il volto demoniaco di chi in questo mondo ci si è buttato a pesce fin dalla prima giovinezza dietro un sorriso angelico ed un contegno pubblico inattaccabile.

A seguire amici ed amiche d’infanzia e non, legati a questo mondo ed alle sue logiche di violenza e prevaricazione.

E quanto sopra sarebbe sufficiente ad accontentare il pubblico femminile di riferimento ma, ovviamente, porterà alla domanda: “Luca, ma tu cosa c’entri?”.

C’entro perché l’altra evidente ispirazione di quest’opera è la commedia manzai, ovvero la commedia a due che in Giappone (ed in ogni parte del globo con nomi diversi) vede contrapporsi lo tsukkomi, il “serio”, al boke, “l’idiota”, con Yoshino intrappolata nella parte del primo mentre il sadomasochista Kirishima è perfettamente a suo agio nelle vesti del secondo.

Per buona parte del tempo, quindi, le interazioni tra i due (ma, come detto, inevitabilmente il cast si allarga) sono regolate dalla puntuale azione demenziale/eccessiva/incomprensibile dell’idiota che obbliga il serio a rimetterlo in riga e magari provare, con margini di successo nulli, ad insegnargli a vivere.

Una delle regole della commedia manzai, però, è che “dai e dai” inevitabilmente le parti si invertono e per esasperazione il serio occasionalmente finisce a comportarsi come l’idiota mentre quest’ultimo lo guarda stupito.

Manzai

Queste dinamiche si innescano sul “dramma” e fin dalla prima puntata lo spogliano della sua supposta “tragicità” virando verso un delirio di situazioni surreali che rendono il tutto cretino in maniera divertente e certo ben poco credibile, lasciando quindi lo spettatore libero di apprezzare il carattere (oggettivamente: tremendo!) dei due protagonisti e dei comprimari.

Volendo fare un paragone: è come se nei videogiochi della serie Yakuza, oltre a Kazuma Kiryu e Goro Majima, almeno una delle tante donne rappresentate fosse stata protagonista e non mera tappezzeria.
Questo produce uno sviluppo interessante - non inedito in questa letteratura - per cui, certo, la “principessa pura” non ne vorrebbe sapere mezza di questo mondo oscuro, ma sarà perché è una “figlia di Osaka” fatta e finita, sarà perché è comunque cresciuta in una “associazione di cavalleria”, non è esattamente il tipo che puoi provocare e passarla liscia! Il suo approccio all’abuso è “posso anche morire male, ma mi trascinerò fuori dalla tomba per portarti all’inferno con me”.

Best Girl 2025 e siamo solo a Marzo.

Chiudo con una divertita considerazione su quanto siano diverse le estetiche su cui fantasticano le due metà del cielo in adolescenza: in uno shonen harem abbiamo spesso le “persone di interesse” che esibiscono tratti giovanili se non addirittura infantili (al netto di “dotazioni” che invece dovrebbero svilupparsi più tardi), negli “Otome” (uso il termine impropriamente) abbiamo “liceali” maschi e femmine che raramente dimostrano meno di 20 anni.

A ognuno il suo.

Che c’è? Non avete mai visto dei liceali?