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Perché amare Godzilla

Perché amare Godzilla

Immaginavo Godzilla come la personificazione della violenza e dell’odio per l’umanità, poiché fu creato dall’energia atomica. Portò in sé questa ira a causa delle sue origini. È come un simbolo della complicità umana nella sua propria distruzione. Non ha emozioni, lui è un’emozione.
— Jun Fukuda

Stare qua a spiegare perché dovremmo tutti amare Godzilla può sembrare pleonastico: è un lucertolone gigantesco che spara raggi atomici dalla bocca e fa spesso a botte con altri mostri giganti, non ci dovrebbe essere molto altro da aggiungere in proposito, è come dover spiegare perché si ama la pizza.

Ma se amare la pizza è soprattutto una questione di gusto, l’amore per Godzilla è una sorta di testimone passato di generazione in generazione, la fascinazione di un padre che magari lo ha visto da ragazzo in un cinema che proiettava roba trash, passata a un figlio che magari se lo è visto in una televisione regionale a orari improbabili. Per quanto mi riguarda, è tutto questo e anche di più. Non è solo l’ultimo film che ho visto insieme a mio padre, è anche un favoloso simbolo di ciò che rende speciale e degna di studio la cultura pop.

Godzilla è fondamentalmente un metaforone semovente, una figura che si adatta a una miriade di livelli di lettura.

Quando lo incontri da piccolo è semplicemente un mostro gigante fighissimo che ti si incide nelle sinapsi. Poi cresci, ti documenti, scopri che c’è altro, che Godzilla è la personificazione di ogni possibile disastro generato dall’uomo. È la calamità naturale che si fa carne per colpa dell’uomo e che l’uomo distrugge. È l’elaborazione del trauma di Hiroshima e Nagasaki, di un peschereggio giapponese esposto al vento atomico, per colpa dei calcoli sbagliati dall’esercito americano durante i test nucleari di Bikini. Godzilla ci racconta che l’impossibilità di elaborare qualcosa di enorme può generare mostri giganti.

Ma non ti basta, dunque scavi ancora più a fondo e scopri che Godzilla fu anche uno dei più grandi ambasciatori della cultura giapponese del dopoguerra insieme ad Astro Boy, e che ovviamente generò migliaia di seguii,o che ne annacquarono totalmente la drammatica simbologia iniziale.

Nel corso della sua carriera, questo lucertolone atomico ha cambiato pelle molte volte, trasformandosi da forza della natura in una sorta di spettacolo di wrestling tra mostri, lanciando un genere cinematografico, il Kaiju-Ega, che ha spinto un’intera industria dell’intrattenimento, che è poi sfociata nei Super Sentai, ovvero i Power Ranger.

Lo schema è più o meno sempre quello: uno o più mostri enormi si risvegliano per menarsi con Godzilla, mentre l’umanità assiste impotente alla distruzione di tutto ciò che ha la sfortuna di finire nel raggio d’azione dei mostri. A volte Godzilla vince, a volte perde, ma tendenzialmente salva l’umanità come una sorta di fratello maggiore che ti disprezza, ma che non tollera sia qualcun altro a picchiarti. Nel corso degli anni, Godzilla ha attraversato tre epoche principali, un po’ come le dinastie degli imperatori.

La prima, detta Towa, che va dalla sua nascita negli anni Cinquanta ai Settanta è stata quella che piano piano si è avviluppata in una spirale al ribasso di film a basso budget e soluzioni assurde, che lo hanno trasformato in un pupazzone con gli occhi grandi e la faccia kawaii. Sarà in quest’epoca che nasceranno anche molti dei suoi nemici e compari, come Ghidora, Mothra e MechaGodzilla. Con l’arrivo degli anni Ottanta, si passa all’epoca Heisei, in cui torna ad essere un lucertolone incazzato col mondo e con la vita e i film ruotano molto di più attorno ai suoi simbolismi classici. La terza epoca, denominata Millennium, inizia nel 1999 e traghetta il mostro verso la situazione presente, rimanendo fedele alla tradizione. Nel frattempo, gli Stati Uniti, che hanno sempre ammirato la simbologia di Godzilla, senza però mai afferrarne a pieno il senso (forse perché quelli bombardati non erano loro), tentano di produrre alcuni film. Alcune volte va bene, come nel caso del film di Edwards, altre molto meno, come con l’iguana ipertrofica del 1998, che tutti dimenticheremmo volentieri.

Tuttavia, ci voleva un disastro per tirare fuori nuovamente quello spirito godzilliano che ha reso questa creatura una fra le più importanti del nostro immaginario. Dopo Fukushima, infatti, Hideaki Anno, quello di Evangelion, gira Shin Godzilla, che non solo riporta la creatura alla base, mostrandoci un mostro maestoso, mutevole e distruttivo, non solo cita il First Impact di Evangelion, che evidentemente aveva in testa da anni, ma soprattutto si prende gioco della burocrazia giapponese, ne mostra le debolezze, la sudditanza dagli Stati Uniti e le piccolezze. Un’opera incredibile, che riesce ad emozionare anche solo inquadrando gli spogli interni di un ufficio nipponico.

In tutti questi anni, Godzilla ha fatto il giro, è stato drammatico, trash, simpatico, distruttivo, amico, nemico. È sopravvissuto all’oblio di tanti suoi colleghi ed è diventato uno fra i simboli più forti della cultura mondiale. Scrivendo queste righe, ne ho solo scalfito l’analisi e l’importanza. Ma tutto questo nasce comunque da un lucertolone atomico che ti ha affascinato tanti anni fa e sotto il quale hai scoperto centinaia di informazioni affascinanti che ti hanno arricchito e allargato la mente. Così come una katana è fatta di decine di strati di metallo ripiegati su se stessi, Godzilla è composto da più livelli di lettura, che lo rendono unico, un monumento semovente alla grandezza della cultura pop.

Questo articolo fa parte della Cover Story su Ready Player One, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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