Tutta la nostalgia di Grim Fandango Remastered
Se penso a Grim Fandango, penso al mio Microsoft Sidewinder. Un pad glorioso, con i suoi sei pulsanti disposti orizzontalmente, il collegamento a cascata e una croce direzionale dignitosa. Quante soddisfazioni nei picchiaduro assieme agli amici, quante gioie provando titoli più o meno oscuri sui vari emulatori, prima di violentare il mio magro portafogli. E che emozioni con Grim Fandango, un titolo che mai mi sarei aspettato di giocare con la stessa periferica che usavo per sferrare hadoken e power geyser. Che poi quei controlli così atipici per un'avventura made in LucasArts non mi hanno mai dato fastidio, nemmeno per un attimo. Fa nulla se avevano inizialmente infastidito gli avventurieri più estremisti, quelli con polli di gomma, puntatore e mouse fissi nell'inventario, storici araldi della ormai (quasi) decaduta Sacra Scuola del Punta e Clicca. Perché Grim Fandango non poteva essere un canto del cigno migliore per l'onorata dinastia delle avventure dinamiche della casa di Star Wars; a tal proposito, col senno di poi, appare tanto profetica quanto ironica la gag del golden guy nel logo LucasArts, che per l'occasione assume fattezze scheletriche. Non lo fa per mettere subito le mani avanti, perché già intuisce che il gioco non sarà un grande campione d'incassi, eufemisticamente parlando, bensì per introdurre il giocatore nel mondo dell'ossuto Manuel Calavera. Ma niente ci avrebbe potuto preparare al genio di Schafer, a ruota libera dopo l'arrivederci allo Skywalker Ranch del collega/maestro Ron Gilbert. Dopo il delirante Day of the Tentacle e il breve ma intenso Full Throttle, Tim parte in quarta, forte di un'esperienza formativa irripetibile, attingendo a piene mani alla sua dichiarata passione per il genere noir e per i motori rombanti. La rappresentazione della terra dei morti in Grim Fandango è un capolavoro visionario che da solo varrebbe il prezzo del biglietto, con il suo stile art deco e i personaggi ispirati alle bambole in cartapesta del Dìas del Los Muertos messicano, ma è solo la ciliegina su una torta buonissima. Manny, per i pochi amici, è un agente di viaggio impiegato presso il Dipartimento della Morte: è suo compito assegnare pacchetti più o meno sicuri e celeri ai nuovi defunti per rendere più agevole la loro peregrinazione verso il Nono Aldilà, luogo del riposo eterno. Tuttavia, i clienti che riesce ad accaparrarsi sono mezze tacche dalla condotta terrena discutibile, al contrario del collega Domino Hurley che, chissà perché, pare beccarsi senza troppo sforzo anime di prima qualità a cui destinare le offerte più pregiate.
Quella che segue è un'avventura lunga quattro anni, che accompagnerà il cast di Grim Fandango in un'evoluzione dalle significative sfaccettature, attraverso situazioni e ambientazioni da brivido, passando con nonchalance dai conflitti lavorativi del primo capitolo al più bel noir mai dipinto in un videogioco nel secondo. Un bildungsreise che eleva i personaggi di Grim fandango a un livello superiore, forti di una crescita che molti protagonisti di titoli analoghi si sognano. È un bene che questi siano anche così ben caratterizzati, con un doppiaggio stellare e una personalità studiata a puntino. Prendete il demone Glottis come esempio, corpulenta spalla di Manny innamorata persa dei motori e dell'alta velocità, e vi sembrerà di riconoscere i mostriciattoli a quattro ruote disegnati da Ed Roth, mentre lo vedrete guidare inebriato veicoli ben più piccoli di lui. È Casablanca che incontra Easy Rider, Humphrey Bogart che stringe a sé Ingrid Bergman assistendo a una gara di Hot Rod; è, sopratutto, l'unione tra le due passioni di un Tim straordinariamente vulcanico.
Anche per questo Grim Fandango è un capolavoro di narrativa e intrattenimento, tanto oggi quanto tre lustri fa, anno più, anno meno. È un gioco importante, perché rappresenta il gioiello della corona di una LucasArts ancora regina del genere avventura, alle porte, però, del cambiamento e del nuovo millennio. Il testamento, insomma, delle capacità della sua gloriosa scuderia di creativi.
"Going out in a blaze of glory", cantava Bon Jovi, ispirato dall'addio della LucasArts al genere che l'aveva resa famosa, o così mi pare di ricordare. E no, facciamo finta che Escape from Monkey Island e il suo Monkey Kombat non siano mai esistiti.
Ah, già, la versione rimasterizzata, che è poi il motivo per cui sto scrivendo queste righe. Grim Fandango non ha ingrassato i portafogli di LucasArts nonostante le recensioni positive, complice l'anno d'uscita, quel 1998 in cui i videogiocatori volevano e potevano giocare altro: da Fallout 2 a Baldur's Gate, passando per Ocarina of Time e Half-Life. Dura la scelta quando hai in tasca un budget limitato e sei circondato da un uragano di capolavori. Quindi nessun Tales of Grim Fandango, né luccicanti remake come successo a Monkey Island: Manny e la sua cricca hanno dovuto aspettare in disparte fino a oggi, magari seduti a bere un drink con un pianoforte in sottofondo, lì nel Calavera Cafè. Meglio tardi che mai, comunque: finalmente il gioco è a disposizione di tutti quelli che hanno mancato l'appuntamento la prima volta, su console e PC senza ricorrere agli artifici del ResidualVM.
Certo, chi si aspettava una nuova edizione completamente rimaneggiata potrebbe avere da ridire. I fondali sono sempre quelli di una volta, adattati ovviamente alle risoluzioni attuali, con un paio di barre ai lati per mantenere l'aspect ratio corretto. È possibile abilitare una deludente visualizzazione a 16:9 che non fa altro che stiracchiare l'immagine: brutta cosa davvero, molto meglio le bande laterali, a questo punto. Piuttosto, i modelli poligonali hanno beneficiato maggiormente dell'opera di restauro e sono ora visualizzabili in alta risoluzione e con illuminazione dinamica. Oppure no: è possibile alternare le due risoluzioni con la pressione di un tasto, un po' come avveniva nella versione Anniversary di Halo, utile per quei momenti in cui hai bisogno urgente di una iniezione di ricordi a base di adorabili texture pixellose. Un discreto inizio, ma l'audio ruba decisamente la scena. Alternare a piacimento lo stupendo doppiaggio originale a quello italiano, localizzato dalla buona vecchia CTO con la voce, tra gli altri, del talentuoso Renato Cecchetto, è cosa buona e giusta, così come ascoltare le storiche tracce suonate dalla Melbourne Symphony Orchestra, raggiungendo nuove vette di libidine. Ancora meglio, è possibile richiamare in determinate scene il commento di quattordici membri del team creativo originale, tra cui ovviamente Tim: una testimonianza storica preziosissima che varrebbe da sola i quindici euro richiesti dal gioco.
E poi sì, volendo vi potete giocare Grim Fandango con 'sto benedetto mouse senza neppure toccare joypad o tastiera, grazie a un'interfaccia simile a quella di Full Throttle. Crepi l'avarizia, su PS Vita si gioca anche con i comandi touch, nel caso abbiate proprio un odio viscerale per lo schema di controllo classico. Per il resto, la navigazione dell'inventario è sempre un attimo legnosa ma comunque sopportabilissima, gli enigmi sono gli stessi di allora (mi dispiace generazione Telltale, stavolta vi tocca usare il cervello per davvero) e le inquadrature fisse, per quanto anacronistiche, hanno ancora stile da vendere. L'unico vero problema sta nell'assenza del salvataggio automatico, una cosa che oggi diamo per scontata e che può fare la differenza tra una seccatura e una bestemmia di quelle hardcore, qualora il gioco si piantasse facendo perdere un'ora o più. Perché a quanto pare qualche magagna c'è, dai freeze ai ritorni al desktop per direttissima, almeno in base a quanto si legge in giro; da parte mia ho "solo" avuto a che fare con qualche filmato d'intermezzo a singhiozzo nella versione PC, con successiva desincronizzazione dell'audio. Fastidioso, ma nulla che non sia a portata di patch; nel dubbio e nel frattempo salvate spesso.
Parafrasando un film a base di pipistrelli atropomorfi, Grim Fandango Remastered non è la riedizione che il capolavoro di Tim Schafer merita, piuttosto quella di cui abbiamo bisogno. Un simile gioco avrebbe meritato un remake in pompa magna bellissimo, con fondali in alta risoluzione, zero bug, inquadrature modificabili e Tim che ti porta a letto cappuccino e cornetto, almeno in un mondo perfetto. Però leggere che anche Jordan Mechner lo sta giocando con gusto per la prima volta sulla sua PS4, come tanti altri, conferma l'utilità di questo ritorno. È sempre un piacere quando un classico si rende disponibile per tutti quelli che non lo hanno giocato al momento dell'uscita, per motivi demografici o perché, semplicemente, avevano preferito sforacchiare alieni nei panni di Gordon Freeman. È sempre il momento giusto per Grim Fandango, oggi come nel 1998.
Ho giocato a Grim Fandango grazie a un codice fornito dagli sviluppatori in versione PC e PS Vita, completando il gioco in una dozzina di ore perché lo conoscevo a memoria, non giriamoci attorno. Su PC è andato tutto a gonfie vele finché la mia macchina non ha tirato le cuoia, ma questo dipende dalla configurazione ormai provata, unita a una notte brava su Heroes of the Storm. Questo mi ha costretto a continuare l'avventura sul computer di mia moglie senza troppi intoppi, a parte qualche filmato singhiozzante. Sulla consolina Sony ho provato principalmente la bontà della conversione, testando il sistema di controllo touch solo per tornare immediatamente allo schema classico, avvertendo qualche rallentamento sporadico tanto ingiustificabile quanto non fastidioso, nel complesso. Ero convinto di assegnare al gioco un 11 accademico perché sì, ma i problemi e i limiti che ho illustrato nella recensione mi costringono a un voto più diplomatico.