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Pleasantville e la libertà di vivere come vogliamo

Pleasantville e la libertà di vivere come vogliamo

Ci sono film che, nonostante abbiano alle spalle più di venticinque anni, trattano tematiche talmente attuali che sembra siano stati scritti e girati di questi tempi. Uno di questi è Pleasantville.

David e Jennifer, fratelli gemelli, non potrebbero essere più diversi e più stereotipati.

Lui è un emarginato sociale, impacciatissimo con l’altro sesso, lei odia lo studio e preferisce passare il tempo con i ragazzi, ed è, diciamo così, piuttosto libertina. Figli di genitori separati, entrambi danno l’idea di essere infelici, anche se quello che sembra risentire più della situazione è David (tra l’altro lo stesso ambiente scolastico, che preannuncia loro difficoltà nel trovare lavoro stabile dopo la laurea e il cambiamento climatico, non li aiuta di certo a sentirsi meglio), il quale trova conforto e svago rifugiandosi nella quotidiana visione di Pleasantville, una sitcom in bianco e nero ambientata negli anni cinquanta che ricorda, per certi versi, le atmosfere di Happy Days.

Approfittando dell’assenza della madre, via per il weekend con in nuovo toy boy, David e Jennifer pensano di godersi un po' di libertà. Lei invita a casa il ragazzo di turno per guardare un concerto su MTV (no, non ce la faccio, troppo ricordi). Lui, invece, pensa di piazzarsi davanti alla televisione tutta la notte per godersi la maratona di Pleasantville. La guerra per accaparrarsi un posto sul divano davanti alla TV li porta a litigare, distruggendo il telecomando. Grazie al sospetto e tempestivo intervento di un bizzarro tecnico della TV, entrano in possesso di uno strano telecomando che li catapulta all’interno della stessa sitcom.

Disorientati e spaventati da ciò che è successo, i due fratelli cercano di “stare al gioco” fino a quando non troveranno una soluzione per tornare a casa. David ora è Bud Parker, mentre Jennifer è Mary Sue Parker, sempre due liceali adolescenti, ma degli anni Cinquanta. Ben presto, però, i due capiranno che la cittadina di Pleasantville si regge su un delicato equilibrio, derivato dal fatto che si tratta di una fiction e non della vita reale: tutti seguono un copione prestabilito, dal gestore del diner che continua a pulire il bancone fino a quando non arriva il suo aiutante per preparare l’apertura del locale, al padre di famiglia che ogni sera, tornando a casa dal lavoro esclama “Tesoro, sono a casa!” e si siede a tavola sapendo che ci sarà la cena pronta. Ma, oltre a questo, le cose a Pleasantville sembrano tutto fuorché normali: si tratta di una cittadina che pare sia isolata dal resto del mondo: il sole splende ogni giorno senza che cada mai una goccia di pioggia, i pompieri esistono solo per salvare i gatti che non sanno scendere più dagli alberi, dato che niente va realmente a fuoco, la squadra di basket locale non perde mai una partita, i libri hanno tutti le pagine bianche e il sesso non esiste. Se David/Bud cerca di mantenere le cose come stanno, Jennifer/Mary Sue decide di divertirsi, e alla prima uscita con un ragazzo di Pleasantville, decide di fargli scoprire il sesso.

La cosa innesca una serie di profondi cambiamenti in città: il bianco e nero vengono gradualmente sostituiti dai colori e la gente comincia a rifiutare di seguire il copione prestabilito imposto al loro personaggio e a pensare liberamente. Così Bill, il proprietario del diner, scopre di detestare il proprio lavoro e di amare la pittura, mentre Betty, la madre di Bud e Mary Sue, capisce che il ruolo di moglie di George impostogli non fa per lei e che in realtà comincia a provare un forte sentimento per Bill. Gli adolescenti (ma anche gli adulti) scoprono il sesso e il mite clima cittadino viene spezzato dal primo vero temporale.

Il sindaco di Pleasantville e una serie di cittadini “conservatori” non accettano i cambiamenti in corso e decidono di intraprendere una sorta di guerra ideologica (non privi di episodi di violenza) contro i “ribelli colorati”, mettendo al bando qualunque elemento in contrapposizione con la precedente “vita tradizionale”.

Pur essendo di base una commedia, Pleasantville è un film profondo e ricco di ideologie. L’ambientazione degli anni Cinquanta serve in realtà solo come cornice dei valori tradizionali (americani e non): la casa con lo steccato bianco, il padre di famiglia stimato professionista, la madre di famiglia che non lavora e bada alla casa e alle faccende domestiche e tutta una serie di dettagli che denotano quanto la felicità sia fittizia e non veritiera: a Pleasantville nessuno litiga, nessuno piange o è infelice, nessuno è senza lavoro o in difficoltà economica, e nessuno è solo. La scoperta da parte degli abitanti della loro interiorità, dei loro sentimenti e delle loro emozioni, li rende liberi: liberi di non fare un lavoro che a loro non piace, liberi di non essere intrappolati in un matrimonio che gli sta stretto, liberi di amare chi vogliono, liberi di leggere, dipingere, e pensare con la loro testa.

La libertà, però, ha un prezzo: la piacevolezza della precedente vita fittizia viene sgretolata di fronte all’intolleranza di quei conservatori che vogliono continuare a recitare il copione a loro imposto, rimanendo nella loro “comfort zone”. Ciò li porta alla scoperta della violenza e del razzismo (si vedono più di una volta cartelli esposti fuori dai negozi con scritto “No Coloreds”), oltre alla manifestazione di una profonda ignoranza e arretratezza intellettuale.

Come ho scritto in apertura del pezzo, pur essendo Pleasantville un film uscito ben ventisei anni fa, tratta tematiche purtroppo ancora attuali ma spinge lo spettatore a lottare per la libertà di pensiero e a ribellarsi contro le ingiustizie sociali. I protagonisti, David/Bud e Jennifer/Mary Sue affrontano un percorso di cambiamento ed evoluzione esattamente come gli altri personaggi della sitcom: lei scopre l’interesse per i libri e per lo studio e lui capisce che la famiglia perfetta non esiste e che la felicità non dipende da una situazione esterna quanto da ciò che ci fa stare bene, oltre al fatto che le cose non devono per forza seguire un percorso prestabilito ma possono sempre cambiare.

Pleasantville vanta nel cast attori di primissimo livello come Tobey Maguire (all’epoca non ancora Spiderman), Reese Witherspoon, William H. Macy, Jeff Daniels e un giovane Paul Walker, e all’epoca la pellicola scritta e diretta da Gary Ross si portò a casa diversi premi, pur non diventando mai un cult, anzi, qui in Italia passò, purtroppo, abbastanza in sordina.

Pleasantville è disponibile su Prime Video e Apple TV.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a viaggi nel tempo e paradossi temporali, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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