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Toys “R” Us rivive attraverso internet

Toys “R” Us rivive attraverso internet

I don’t wanna grow up, cause baby if I did
I couldn’t be a Toys “R” Us kid
— Alcuni versi della canzone I’m a Toys ‘R’ Us kid , jingle co-creato per Toys “R" Us da Linda Caplan e James Patterson. Sì, quel James Patterson.

Internet è compartimentato, quindi ci si fa un’idea differente di Toys “R” Us a seconda di dove si cerca. Se cerco il nome della catena di negozi di giocattoli fallita su Google, mi tornano indietro molte news di economia. Se entro nel dominio del social, invece, Toys “R” Us è un’altra cosa - quella che racconterò in questo articolo, se mi seguirete fino alla fine: nei reel di Instagram e TikTok, Toys “R” Us è la metafora piuttosto letterale di un passato dorato che non tornerà più.

Immaginate di essere un ragazzino americano. Siete andati a comprare un nuovo videogioco. Passeggiate lungo gli scaffali scintillanti. A mandare bagliori sono le confezioni disposte in fila delle cartucce per Game Boy e Nintendo 64. Scegliete Pokemon Rosso: è l’inizio di un’avventura, forse di una lunga passione. Anni dopo, gli scaffali dove tutto è iniziato sono pieni di ruggine e muffa. Il Toys “R” Us della vostra cittadina è abbandonato.

(PS: per meschine ragioni di coinvolgimento emotivo, quello qui sopra non è un ritratto sempre accurato dell’esperienza dello shopping nei Toys “R” Us. Secondo alcune testimonianze su Reddit e YouTube, le confezioni di videogiochi sugli scaffali erano a volte sostituite, per prevenire i furti, da un tristo cartellino segnaposto).

Mentre scompare nella realtà, Toys “R” Us rivive su internet, compare nei reel che mettono in fila una serie di scatti sghembi, dal taglio amatoriale e a bassa risoluzione. Lo sfondo musicale è un jingle sconsolato che si sovrappone al verso della tortora luttuosa. Conoscete quello che in inglese si chiama mourning dove? È un uccello diffuso in tutti gli Stati Uniti, il cui numero di esemplari sarebbe andato a diminuire nel tempo. Per i nati negli anni Novanta, è inevitabilmente legato al paesaggio sonoro mattutino, quando ci si alzava presto per andare a scuola. È un’altra cosa che sarebbe svanita, proprio come Toys “R” Us, che diventa altro carburante per alimentare l’ossessione di un pezzo di internet per la nostalgia.

Un po’ di storia: nel novembre del 2001, Microsoft presenta Xbox nel Toys “R” Us di Times Square. C’era anche Bill Gates, che qui potete osservare stringere la mano a un’incredibile quantità di maschi con il pizzetto e la giacca come quella di Neo in Matrix. Ciò che nelle immagini non si vede è il tirannosauro gigante al terzo piano del megastore e un’intera ruota panoramica costruita al coperto con le cabine su licenza. Tutto quello che c’è da sapere sul flagship store newyorkese di Toys “R” Us lo trovate nel video di YouTube: @Defunctland, che vi lascio qui sotto.

Il costosissimo e mai profittevole Toys “R” Us di Times Square fu una parte importante di un progetto di rilancio messo in campo a cavallo degli ultimi due secoli. Nel 1998, Toys “R” Us era stato superato da Walmart, perdendo il primato di più grande rivenditore di giocattoli degli Stati Uniti. Nel 2005, complice l’acquisto con i soldi delle banche da parte di tre compagnie, Toys “R” Us appariva indebitato per cinque miliardi di dollari. Nessuna iniziativa riuscì a riportarlo sopra Walmart, ma non era più questo il problema. Quel che successe potete immaginarlo da soli, perché si tratta della stessa cosa che è capitata al vostro amichevole negozio di giocattoli di quartiere: il cambiamento delle abitudini dei consumatori, il boom dei videogiochi, il commercio online, etc. distrussero il business di Toys “R” Us, che nel 2017 e nel 2018 presentò istanza di fallimento.

A differenza del vostro amichevole negozio di giocattoli di quartiere, quella di Toys “R” Us è una storia molto americana, almeno per come immagino io l’America: imperi che nascono e crollano, store con giri di affari milionari che si trasformano in capannoni decrepiti nel giro di pochi mesi, cicli di distruzione e ricreazione enormi e rapidissimi che dettano la standardizzazione delle esperienze e poi la perdita netta della loro riproducibilità a causa della scomparsa dei luoghi. Il capitalismo x 100. Guardate questa clip:

Non so quanto sia affidabile, ma rende abbastanza bene l’idea di una cosa che prima c’era, per tutti, e poi ha improvvisamente smesso di esistere. I Toys “R” Us erano i luoghi in cui essere felici da piccoli, ma adesso sono vuoti o profanati (a volte, leggo su Reddit, sono stati sostituiti da negozi di alcolici). Alcuni utenti di TikTok hanno ripercorso questa trasformazione grazie a Google Maps, che se non lo sapete consente di esplorare non solo geograficamente ma anche cronologicamente le mappe:

Ho provato a fare la stessa cosa. È stato semplice, ho trovato su internet l’indirizzo di un Toys “R” Us a La Mirada, una città della California, e ho scoperto che, dal 2011 al 2019, si è trasformato in una palestra di arti marziali miste.

In America ci sono altri negozi di giocattoli, certo, ma da qualche anno manca quel tempio specifico in cui venerare la sensazione, comune a molti i bambini cresciuti nel Primo Mondo, di entrare in un posto gigantesco, attrezzatissimo e colorato, sapendo di uscirne con un regalo nuovo fiammante. Su internet però le linee temporali si accavallano in un eterno presente, quindi i Toys “R” Us sono in un certo senso ancora vivi.

In alcune foto sono nel massimo del loro splendore:

Ci sono poi fotografie che sembrano rielaborazioni espressioniste e che, per la loro natura alterata, incrociano alcune estetiche di internet:

Nel secondo caso, Toys “R” Us sembra uno spazio solitamente frequentato ritratto nel momento in cui è vuoto, proprio come quelli di cui si parla tanto a partire da poco prima del lockdown e che sono pieni di ombre, che forse nascondono qualche mostro. L’immagine è anche la materializzazione di quell’adagio che mi è capitato di leggere una volta sul web, mentre mi trovavo nel loop dei contenuti nostalgici. Faceva più o meno così: “Sono tornato nel passato ma non c’era nessuno lì”.

Non so se vi fa effetto guardare l’immagine dell’ultimo Toys “R” Us, ora che ne conoscete la storia, e pensare di aver viaggiato nel passato e non averci trovato anima viva. A me capita di sentire l’immagine e la frase nella pancia, ma devo fare uno sforzo di razionalizzazione per mettere per iscritto l’aura che si sprigiona dalla loro combinazione. Tutto sommato, credo abbia a che fare con l’impossibilità di un ricongiungimento. In un certo senso è proprio questa la chiave dolceamara della nostalgia, in cui il ricordo dei tempi migliori si accompagna alla consapevolezza che non torneranno più.

Mi dispiace avervi intristito, ma c’è davvero troppa nostalgia su internet per riuscire a starne alla larga. Vi saluto come ha fatto Geoffrey the Giraffe, la mascotte di Toys “R” Us. A sinistra, nello screenshot qui sotto, compare con una valigia a mano tra gli scaffali vuoti. A destra sbuca in un cartello che annuncia una chiusura: “Suppongo che tutti siano cresciuti, Toys “R” Us non c’è più, ragazzi”.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a viaggi nel tempo e paradossi temporali, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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