Outcazzari

Ho fallito l'upgrade di Games Week 2013

Cronaca di una giornata spesa nel casino fieristico - da uno che odia le fiere. Ogni tanto mi scatta il masochismo e devo accontentarlo, facendo quello che detesto in barba ai Pearl Jam (questa la capiscono in due, ma amen). In cima alla lista ci sono il casino in generale e le fiere in particolare, a partire dalla sagra del vino per arrivare all'E3. In mezzo, più vicina alla prima che alla seconda, c'è la principale manifestazione dedicata ai videogiochi in Italia, ossia Games Week.

Già il fatto che si chiami games WEEK e duri invece tre giorni sintetizza perfettamente l'ottima organizzazione e progettazione del tutto.

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Ma andiamo con ordine: schiavo della botta di masochismo di cui sopra, decido di andarci nel giorno più fottutamente incasinato di tutti: la domenica, quando interi eserciti di ragazzini e famiglie non hanno nulla da fare se non riempire qualsiasi spazio vuoto, dai centri commerciali ai giardini pubblici. Purtroppo, a Games Week di spazio vuoto non ne era rimasto molto, grazie alla necstgén (scritto così, come lo dicono tutti). PlayStation 4 e Xbox One, volete mettere? Il divertimento di stare in coda quattro ore per giocare cinque minuti a una beta mentre mille persone vi sudano addosso? Gli sguardi di puro odio delle standiste assalite da orde di nerd? La felicità di pagare l'ira diddio per un panino al prosciutto cotto congelato? Masochismo, appunto.

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Comunque, toccava farlo anche solo per salutare l'allegra banda di pazzi e colleghi dello stand di IGN Italia, impegnati a difendere le vecchie console dai ragazzini di cui sopra e cercare di gestire laggente interessata alla prova di Oculus Rift. Mangiando e bevendo nel mentre, cosa riuscita per un pelo al buon Nabucco in piena full immersion lavorativa e sull'orlo di Michael Douglas in Un Giorno di Ordinaria Follia.

Volendo essere ottimisti, è un bene che ci sia stato così tanto casino, e visitatori, a Games Week perché vuol dire che il videogame è ormai quasi completamente “sdoganato” a livello di massa. C'era veramente di tutto: non solo i meganerd come me e Dypa, ma anche tante ragazze, famiglie e perfino gente di una certa età. Potere della nextgén, sicuramente. O davvero giocare ai videogiochi, perfino nell'Italia medievale, è diventato un passatempo così comune e diffuso da riunire 60.000 persone sotto un capannone in cemento che sembra un carcere di Deus Ex. Magari non erano davvero sessantamila come annunciato dagli organizzatori, ma 59.900 probabilmente sì. Davvero: almeno l'ultimo giorno, c'era gente ovunque, tanto che perfino i buttafuori facevano la coda. Una scena bellissima, peccato non averla filmata, ha visto l'addetto alla sicurezza dello stand di Watch Dogs che cercava di riguadagnare la posizione dopo essersi spostato in mezzo alla folla. Muovendo a spallate decine di persone.

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E i giochi? Non ne ho provato manco uno, ovviamente. Già la semplice vista delle code e della relativa ressa era abbastanza per farmi cambiare idea. Però devo dire che gli stand di Sony e Microsoft erano veramente grossi, censurando la canzone rap usata dalla stessa Microsoft per promuovere la sua nuova console. Provate a cantare “Xbox Uàn!” al Nabacchio e vedete se non vi prende a badilate in faccia.

Quindi, cosa dire? Games Week deve farne di strada, per avvicinare a livello organizzativo (dov'è il giorno per la stampa?) le fiere che si svolgono all'estero, ma l'entusiasmo del pubblico potrebbe farcela arrivare, a pedate nel didietro. Più spazio espositivo, più postazioni di gioco, più segnali per arrivarci (l'entrata era diversa dall'anno scorso e toccava girare intorno allo stabile), meno chioschetti rubasoldi coi panini scaldati via accendino.

Ma c'era gente da tutta Italia e anche da fuori, migliaia di persone che, non importa cosa si facesse, erano state per ore in coda grazie al loro hobby preferito. Una scena che quasi mi vede commosso, non fosse che ho ancora il maledetto panino fermo tra esofago e reni.

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