Puella Magi Madoka Magica: la disobbedienza creatrice
Per questo pezzo avevo inizialmente concepito tutto un raffinato dialogo diretto con il lettore che non conosce Puella Magi Madoka Magica in cui, sagacemente, lo invitavo a vedere l’anime e non proseguire nella lettura di un articolo dove il sottoscritto racconta quanto sia un cacchio di capolavoro; tutto questo spoilerando abbestia mentre voialtri assentite a intervalli regolari.
Poi ho deciso che era una palla e che era meglio farla più breve: se vi piace l’animazione giapponese vi piacerà Puella Magi Madoka Magica ANCHE se come il sottoscritto avete visto, forse, uno o due anime di maghette da ragazzini e il genere vi ha detto sempre poco o niente.
Per cui se non lo avete visto vi conviene vederlo e poi tornare qua e bearvi di un po’ di sano bias confirmatorio.
Se ancora non vi fidate potete tornare dopo la pubblicità, per qualche considerazione spoiler-free.
Quando devo descrivere in poche parole Puella Magi Madoka Magica, la definisco la serie che “ha fatto agli anime di maghette quello che Evangelion ha fatto agli anime di robot”. Con i due bonus non da poco di averlo fatto in sole dodici puntate invece che in ventisette, e non avere come protagonista un ragazzetto che quando il padre, per riallacciare un rapporto interrotto per inseguire la carriera, gli regala non un motorino ma un fottuto robot gigante, lui ancora fa l’offeso! A Shinji ma vatteneunpoaffancuoreva!
Er… scusate.
Tornando a questa serie andata in onda esattamente 10 anni fa, il merito di tanta “compattezza” va innanzitutto alla sceneggiatura di ferro di un mostro orribile uno scrittore talentuoso che risponde al nome di Gen Urobuchi (amichevolmente chiamato “Urobutcher” dal fandom) che con la naturalezza di un amico che non vedi da tempo, ti pianta un montante alla bocca dello stomaco (terza puntata), ti abbatte con un colpo di taglio alla nuca mentre sei piegato (ottava puntata) e ti tempesta di calci mentre sei inerme a terra (puntate dalla nove alla dodici).
Poi se ne va dicendoti “e domani ti do il resto, stronzo!” e tu non vedi l’ora che sia già domani (la metafora mi è sfuggita di mano, ma meno di quanto potreste pensare).
Se poi vogliamo perderci nel blabla che interessa poco, la storia è quella di Madoka Kaname, una Normale studentessa giapponese, non particolarmente attraente, né particolarmente atletica o sveglia, che soccorre un misterioso animale magico inseguito da quella che sembra in tutto e per tutto una giovane maga nera.
Da quel momento entrerà a contatto con i labirinti creati dalle streghe, abomini surreali che rapiscono gli umani per cibarsene, e con le ragazze magiche (per brevità: maghette) che le combattono assistite dall’animaletto magico Kyubei. Non sorprenderà nessuno che yubei proporrà ripetutamente a Madoka di diventare la più potente tra le maghette.
Questo incipit e poi la storia, prende vita grazie alla capacità visionaria dello Studio Shaft, già presentato parlando di Bakemonogatari, che riesce letteralmente a fare “nozze con i fichi secchi” caratterizzando con pochi tratti personaggi estremamente iconici ed archetipici e poi conduce i labirinti e le streghe con un mix di animazione, computer grafica e suggestioni “materiche” stile collage, che paiono omaggiare il genio dadaista di Gianini e Luzzati.
Chiuderei qui l’introduzione, con un estratto di paragone a prova di quanto affermo che è anche utile quale linea dello SPOILER.
Chi prosegue, come detto, lo faccia perché ha visto Madoka Magica e vuole sentirsi ricordare quanto sia un cacchio di capolavoro.
Volendo iniziare dall’elemento più attinente alla Cover Story, parliamo del soggetto: Madoka Magica innanzitutto è una storia di disobbedienza.
Secondo la “ricetta” del genere “maghette”, la Normale e Banale Studentessa Giapponese Prescelta (NSGP per brevità), appena riceve “la chiamata” a compiere un bene superiore, accetta senza pensarci ed ottiene in cambio una seconda vita di avventure straordinarie e atti di eroismo altruista trovando infine anche l’amore.
Madoka Kaname, invece, nicchia e si sottrae.
Questa “ribellione” che in fondo è quanto di più normale si possa pensare diventa rapidamente un’epifania ribadita e sottolineata. Una vita di battaglie la puoi scegliere come Mami perché il mondo non ti ha dato un’alternativa, e il destino che ti attende è quasi sicuramente quello di crepare (se ti va bene) in un istante di paura congelata prima che il tuo corpo, freddamente ed asetticamente, si lasci andare come un burattino a cui hanno tagliato i fili.
Ma se la scegli per passione amorosa, amore figliale o addirittura amicizia, giustificandoti razionalmente con lo zuccherino di “un bene superiore, sei un’incosciente e quello che ti attende e la morte molto peggiore di ogni illusione fino a che, di tua volontà, uccidi anche la speranza.
Fino a prima di scrivere questo articolo il fatto che la disperazione delle maghette fosse la fonte di energia che la razza di Kyubei raccoglie per garantire l’eternità dell’universo contro l’entropia, lo criticavo come grossolano artificio per perpetuare la tradizione della narrativa moderna per ragazzi per cui “in fondo nessuno è cattivo: tutti hanno le loro ragioni”.
Ora invece mi chiedo se il vero punto non fosse questa metafora (a grana spessissima) per cui un potere immortale e sempre uguale a sè stesso (i singoli Kyubei non sono altro che infiniti cloni di una stessa volontà) instaura un ordine che riduce a cadaveri giovani e vitali ragazze e ne rinchiude l’anima a fermentare in un graziosissimo barattolo per consumarla quando è bella frolla.
A questo bene superiore/ordine Madoka si sottrae per tutte le dodici puntate: prima per titubanza, poi per paura, quindi per rifiuto e, infine, per amicizia. Normale fino ad essere tarda, dubita, ascolta, chiede consiglio e cerca di risolvere le cose con le sue piccole forze e l’aiuto delle persone che le danno fiducia, e non cedendo alla tentazione di “una forza impareggiabile”.
Si prende il tempo di superare il primo, istintivo, timore che prova verso la “Maga Nera”. Timore giustificato dal fatto che Akemi dopo aver ripetuto e ripetuto e ripetuto e ripetuto ancora la storia della sua amicizia sta ormai cedendo sotto il peso del vedere ancora, ancora, e ancora le cose andare in merda, ogni volta peggio della precedente.
Al punto di provare persino insofferenza verso Madoka. Al punto di pensare di “far sparire” la ormai piegata, ma non al punto di non intendere, Sayaka.
E’ un prendere tempo tutt’altro che comodo: vite preziose si spengono di fronte ai suoi occhi mentre rimane immobile, ma alla fine di tutto questo matura, nel senso più proprio del termine, una decisione: si carica sulle spalle le vite delle sue amiche e le migliaia di vite ripetute da Akemi e porta la sua disobbedienza a un livello superiore.
L’ordine esistente viene distrutto e ricostruito in uno in cui le ragazze magiche non saranno bestiame da dissanguare ma, più normalmente, eroine che alla fine della battaglia trovano la serenità di chi ha seguito i propri desideri.
Si compie il miracolo: Madoka si annulla per creare un nuovo ordine, anzi un nuovo universo in cui lei non può più esistere come individuo in quanto è diventata “tutto”, e il motore del miracolo è la sua amica che ha continuato a predicare nel deserto, ancora, ancora e ancora, creando una nuova divinità.
Questa lettura che mescola Feuerbach e la Creazione era probabilmente nelle intenzioni del Magica Quartet, ma se posso dirla tutta penso gli interessasse solo fino ad un certo punto, molto meno di quanto potesse interessare a Hideaki Anno.
Come penso che l’essere riusciti a ribaltare gli assunti di uno dei generi più solari e positivi dell’intrattenimento per ragazzi, rispettandone rigorosamente gli stilemi, con una serie animata il cui risultato finale è ben superiore al mero valore produttivo non sia stato completamente voluto.
E’ solo che coloro che hanno lavorato a Puella Magi Madoka Magica erano tutti dei fottuti geni.
Della capacità dello Studio Shaft da un profilo grafico/registico ho già portato esempi e ne riparleremo. Nell’ambito dell’animazione giapponese sono uno di quei marchi che, piaccia o meno, ha una sua “personalità d’autore” inconfondibile. Come riconosci una animazione Ghibli, Trigger, Kyoani, già dalla sigla, così è impossibile mancare una animazione Shaft. Mi perderei invece un po’ a considerare la cura con cui scelgono le “voci” per le loro animazioni, sia in senso lato che in senso proprio.
In senso lato abbiamo la colonna sonora: mentre per Bakemonogatari si erano affidati allo Studio MONACA e all’eclettismo di Satoru Kousaki, per Madoka Magica sono state chiamate in ballo nientemeno che le Kalafina, il supergruppo fondato dalla veterana del J-Pop Yuki Kaijura.
Il loro stile etereo e algido in quel mix di musica sinfonica e sintetizzatori si adatta alla perfezione tanto al narrato solo apparentemente solare, quanto alla “ordinata follia” dei labirinti
In senso proprio, le voci delle protagoniste sono affidate a pezzi da novanta del settore e per me è sempre un dovere parlarne in quanto Madoka Magica è anche un gioiello di interpretazione.
Aoi Yuki, al tempo appena maggiorenne, era già una veterana con una decina di ruoli da protagonista alle spalle, e riesce a dare a Madoka una voce infantile, ingenua ma con un tono nascosto di inflessibilità.
Forse mi faccio condizionare dal fatto che anni dopo avrebbe interpretato la psicopatica assassina prezzolata Clementine, l’unico personaggio “carne da macello” memorabile di Overlord, nel sentirci pure una nota di fanatismo.
A contrapporsi, seconda voce ma prima nel mio cuore, la superveterana Chiwa Saito che pochi anni prima aveva reso viva la dea delle Tsundere Senjougahara Itagi nell’ossessivamente citato (da me) Bakemonogatari. E’ grazie a lei che fin dal primo istante possiamo intuire una passione irrazionale e un’emozione feroce, contenuta da una lastra di gelido e determinato autocontrollo, nella coprotagonista Akemi Homura; ed è sempre grazie a lei che quando questa passione e questa emozione tracimano, le ultime puntate ne vengono letteralmente colorate.
Uno sceneggiatore bastardo competente e in grado di cogliere il momento, uno studio di animazione capace di curare tutti gli aspetti della produzione spremendo ogni singolo yen, musiciste ed interpreti in stato di grazia realizzarono quello che è stato uno spartiacque del genere.
Dopo Puella Magi Madoka Magica, persino le produzioni “normali” hanno cominciato a dare toni più drammatici al dualismo tra le “maghette opposte”, mentre col tempo sono fiorite le più varie elaborazioni “grim & gritty” sul genere: da cloni sfacciati come Wixoss a interpretazioni “Post Traumatic Stress Disorder” come Magical Girl Spec-Ops Asuka.
Ma per avere qualcosa che ne raggiunga il livello dovremo attendere che “la squadra” scenda nuovamente in campo.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alla dimensione politica nei videogiochi (e non solo), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.