3D Space Harrier, o dell’insostenibile leggerezza del turboblasto
Perfino quelli di M2, ovvero il team Sega da oltre un decennio deputato al retrogaming, erano stufi di rifare Space Harrier. Nel senso: pensavano che già l’edizione PS2, pubblicata sotto l’egida SEGA Ages nel solo Giappone, avesse detto tutto quanto andava detto su questo sparatutto in 3D. Mettici chili e chili di opzioni, girala come vuoi, ma resta il fatto che Space Harrier, fin dai suoi albori (1985), rappresenta il trionfo made in Sega di stile che trascende la sostanza. Perfino Galaga, in termini di gameplay, è più evoluto. Qui dovete solo sparare come dannati a ciò che va sparato, e schivare come dannati ciò che va schivato. Niente power up, niente variazioni alla struttura di gioco se non in un raro bonus stage a cavallo della versione vermiforme di Falkor il Fortunadrago.
Ma c’è qualcosa che rendeva Space Harrier, negli anni del suo debutto originale, unico. Era quel satanasso di cabinato infarcito di meccanismi idraulici. Vi sedevate sulla comoda poltrona, vi facevate sballottare su e giù per un po’ come sulle montagne russe, vi sentivate perfettamente parte del gioco, salutavate un sacco di gettoni perché il gioco era (è) duro come il ferro e via, tutti a far merenda. Una Sega tutta improntata alla sensorialità.
Ecco, la magia indiscutibile di Space Harrier era che sì, il gameplay era limitatissimo, ma tutto lo spazio contenutistico lasciato vuoto veniva colmato dallo stile e dai sensi, che diventavano la sostanza stessa. Lo stile che si fa sostanza. La transustanziazione dell’arcade. Un dio che va a monetine e ci redime dalla frustrazione dell’esistenza e del campo dell’oratorio sempre occupato da bulli che si scambiano i Le Ore. Ma sì, svuotato del cabinato, Space Harrier adempie principalmente alla funzione storica di far lamentare i recensori per la pochezza del gameplay. Povero Chris Butler, quanto gli hanno rotto le sfere su Zzap! per la sua conversione, che poi era abbastanza incredibile, a ben pensarci, anche se quella di Chris Hutt per Atari XL/XE realizzata nel 2011 è ancora più sconcertante, ma grazie al razzo, con 20 anni in più di conoscenza dell’hardware.
Ma non divaghiamo. Space Harrier ha bisogno del gimmick, del marchingegno, della protesi sensoriale.
Ed eccotelo qua, il gimmick, quasi trent’anni dopo. Non ti regalano il cabinato papercraft da costruirti in cameretta. No, non ti regalano assieme al gioco un Xonix Multisystem. Il gimmick, stavolta, è il 3D del Nintendo 3DS. Inutile, dannoso in mani sbagliate. Ma quanto mai perfetto per aggiungere un “qualcosa di più” a Space Harrier orfano del cabinato. È come andare a Disneyworld e sbagliare attrazione: invece che sulle montagne russe de indianagions, finite nel coso col film in 3D der thrilleraro. I sensi comunque ringraziano (e a dirla tutta l’idea era già stata utilizzata da SEGA su Master System per gli occhialini treddì così così).
E allora fatevi schizzare via gli occhi a 60 fotogrammi al secondo in stereoscopia, dai. Cinque euro. Cinque caffè in meno nella vostra misera vita per trovare un po’ di sollievo nell’effimero. Perché Space Harrier è uno dei giochi che più mi hanno stupito una volta tridimensionalizzati. Intanto massimo rispetto per l’adattamento dell’originale: M2 è partita dall’emulazione, mimando sopra il codice originale una nuova struttura di codice che potesse ricostruire la grafica e il gameplay dell’originale in stereoscopia e in 16:9. A guardarla oggi, l’originale tecnologia Superscaler sembrerebbe esser stata sviluppata negli anni Ottanta in previsione dell’arrivo della stereoscopia del 3DS! L’effetto visivo cialtrone per lo sparatutto caciarone. Addirittura, un 3D che ha una rilevanza funzionale, perché il gioco è talmente veloce e selvaggio che sì, poter stabilire in un sessantesimo di secondo anche solo circum circa quanto sia lontana quella colonna fallica di marmo impenetrabile fa la differenza. Sì, sono realmente qui a dirvi che la stereoscopia migliora la dinamica di gioco. Proprio io, luddista che rifugge miti e mode del presente per darsi un tono. E a dirla tutta, anche il coso analogico del 3DS funziona molto meglio della lunghissima leva dell’originale. Girava voce che questa versione avrebbe avuto il controllo giroscopico, ma grazie a dio era una menghiata, perché sarebbe stato come controllare l’originale dando colpi di culo al seggiolone del cabinato, concettualmente parlando. Potete usare però il touch screen per muovere Harrier, e l’effetto è interessante, ma analogico for teh win.
La M2 di Yosuke Okunari ci ha abituati a una serie di opzioni da retrogamer freudianamente in fase anale (ricordate lo smanettamento di Wonder Boy in Monster Land impostabile come pulsante a parte nella Monster World Collection per Xbox 360? No? Per forza, ce lo siamo cagati in tre, Giappone incluso). Anche questa volta non deludono, arrivando a fornire un sound test con equalizzazione configurabile (e già quella base vi farà riscoprire la colonna sonora di Hiroshi Kawaguchi) e la possibilità di sentire i click click dei pulsanti e i woom dei movimenti idraulici del cabinato, registrati da quello presente nei magazzini Sega. Certo, sono dettagli da psicotici ma, ehi, state leggendo la recensione di un gioco uscito ventotto anni fa, tanto giusti non siete nemmeno voi. Configurate il gioco secondo i vostri bisogni, serenamente abbassate il livello di difficoltà, mettetevi in una stanza buia con le cuffie e il 3D spider a palla e partite per la Fantasy Zone, fino al finale in cui scoprire che ‘sti pazzi hanno preso il boss finale della conversione Master System, hanno sedicibitizzato lui e il suo tema musicale e l’hanno aggiunto al gioco, così, perché lavorare per M2 è il sogno di ogni retrogamer del mondo, come si evince da questa malatissima intervista in inglese.
Magari ci giocherete “neanche un’oretta di turboblasto”, per citare contemporaneamente Battisti e gli amici di giocagiue.it, i sacerdoti che appunto tramandano gli insegnamenti della bimillenaria scuola del turboblasto di cui, è evidente, Space Harrier è uno dei profeti indiscussi. Ma sarà un’ora veloce e piacevolmente escapista, all’insegna della sorpresa (se siete dei giovinetti) o della memoria (se siete dei vecchietti), in ogni caso all’insegna del 3D stereoscopico spinto, che enfatizza praticamente ogni elemento del gioco originale donando una brillantezza, una solidità, un friccico ner core che renderanno la vostra componente estetico-sensoriale migliore, più forte, più raffinata nella sua tamarraggine.
Insomma, uscirete da questa esperienza con una percezione nuova dei valori iconografici degli anni Ottanta di Sega. O magari no, perché vi siete fatti abbindolare da questo senescente Babich che vi ha indorato la pillola dell’ennesima riedizione invocando concetti come “escapismo” “yusuzuki” e “turboblasto”. La critica principale all’operazione “classici Sega in 3D” è che, per avere tutto il sestetto che viene pubblicato sullo Store da qui a Natale, cinque euro alla botta, alla fine ci si troverà a spendere 30 euro per titoli facilmente già acquistati una, due, tre volte e non tutti così bisognosi di una bella stereoscopata. Ma comunque, a questo prezzo, se siete fan del gioco, se siete un fan SEGA o se siete fan della curiosità per ciò che di bello ci ha lasciato il passato videoludico, be’, potete anche correre il rischio e prender almeno Space Harrier.
Ho scaricato con la bava alla bocca il gioco dall'eShop, l’ho pagato coi miei soldi, l’ho finito su 3DS XL a Medium continuando e ora sai che c’è? Compro pure 3D Super Hang-On, ecco. Seguiranno Sonic, Altered Beast, Ecco the Dolphin, Galaxy Force II, Shinobi III, Streets of Rage.Ma non credo che li compro tutti, chi sono io, Babbo Natale di me stesso?