Apocalisse secondo John
Nella narrativa post apocalittica, il fulcro della storia è spostato dall’evento scatenante alle sue conseguenze. Diversamente, ci sono alcune opere che si interessano sulle situazioni che portano all’apocalisse. E la prima opera che mi viene in mente che tratta questo argomento in maniera pienamente soddisfacente è L’ombra dello scorpione di Stephen King, The Stand per gli anglofoni, ma io sono veramente affezionato alla titolazione italiana, nonostante abbia letto tutto il libro da cima a fondo alcuni anni fa e non abbia trovano nessuna ombra e nessuno scorpione.
Per apocalisse, si intende “rivelazione”, letteralmente dal greco apokálypsis (ἀποκάλυψις), composto da “apó”, un privativo, e “kalýptō”, verbo nascondere.
E quindi rivelazione, ma di cosa?
La rivelazione della vera natura dell’essere umano, che riemerge dalla fine privato delle sovrastrutture imposte della civiltà al collasso. Penso a Mad Max, in cui il mondo è una landa desolata percorsa da predoni che hanno lo stesso comportamento della banda che ha ucciso la moglie e la figlia di Max, solo che, al venir meno della società, quelli che erano comportamenti borderline sono diventati ordinari: un mondo di razzie e violenza solo ad un’apocalisse di distanza dal nostro.
Quindi non è l’evento, è la consapevolezza che l’evento porta.
Il trittico di John Carpenter che viene comunemente conosciuto come Trilogia dell’Apocalisse si preoccupa di indagare l’immediatamente prima del crollo della civiltà. Pone l’attenzione sulla rivelazione, che di volta in volta assume una forma di sconvolgimento diverso dell’ordine naturale e consolidato delle cose.
Un trittico, appunto, più che una trilogia. Del resto, non c’è consequenzialità tra gli eventi (forse), non ci sono gli stessi attori e non è nemmeno certo che gli eventi raccontati dai film si svolgano sulla stessa Terra (forse).
Un trittico, appunto, perché mi ha ricordato l’arte medievale dei dipinti su tavole lignee a gruppi di tre con un tema in comune.
La fine del mondo di Carpenter avviene per la rivelazione di una realtà “esterna” alla Terra, sul piano materiale, sul piano spirituale e sul piano metatestuale.
La cosa rappresenta la distruzione dell’individuo sul piano materiale.
Parte dall’assunto che non siamo soli nell’universo, che la nostra posizione di acquisita superiorità sulla Terra sia, alla fine dei conti, una posizione transitoria, dal momento che l’ignoto è in agguato. Ci sono più cose che non sappiamo che di quelle che sappiamo.
Non è un caso che l’azione si svolga in Antartide, un continente ignoto e vuoto, e non è nemmeno un caso che, pur essendo un adattamento del racconto Who Goes There?, abbia alcuni punti in comune con l’altro, sicuramente più celebre, racconto di esplorazione del Polo Sud, Le montagne della follia di Lovecraft.
La cosa è una creatura parassita proveniente dallo spazio, con la capacità di duplicare qualunque essere con il quale entra in contatto, ma con un’unica grande differenza: mentre noi siamo composti di cellule e tessuti, ogni cellula della Cosa è in potenziale un essere vivente autonomo.
Una creatura aliena compatta nonostante sia plurima, mossa da un maligno desiderio di sopravvivenza, contro un gruppo di esseri umani che non possono vincerla, perché devastati dall’interno dalla paranoia.
E con la paranoia si conclude il film, dato che gli ultimi sopravvissuti muoiono senza la certezza di aver sconfitto il loro avversario.
La cosa fa a pezzi il gruppo come dilaniati sono i corpi delle persone che duplica. Nessuna fiducia, nessuna solidarietà, nessun cameratismo: le basi della convivenza pacifica tra esseri umani completamente spazzate via.
Inoltre, è subdolamente instillato nello spettatore il dubbio della dinamica originale che ha portato la cosa fuori dall’astronave. Nulla ci indica che quella creatura avesse un livello tecnologico tale da costruire una nave o da guidarla ma nel corso del film viene evidenziata la sua capacità di imitazione delle altre forme di vita.
È quindi estremamente probabile che la nave non sia la sua, ma che avesse parassitato l’equipaggio della nave aliena come fatto con il gruppo di scienziati americani e lo schianto sia stato del tutto involontario. La dinamica della fuga dalla navicella è in effetti identica alla fuga del cane dalla base norvegese.
Il principe delle tenebre è la distruzione dell’uomo sul pianto spirituale.
Lo si può inserire nel genere “uomini contro il diavolo” ma la rivelazione della vera natura del principe delle tenebre getta lunghe ombre sul concetto di fede.
Una squallida chiesa di periferia cela nei suoi sotterranei una reliquia maligna: dormiente in una vasca cilindrica, attende di essere risvegliato IL MALE, ma qualcosa non è proprio “limpido”.
Il Vaticano ignora l’esistenza dell’ordine a cui è affidato il compito di sorvegliare sul MALE. Uno strano libro, tra riscritture e alterazioni del testo, narra nuovamente gli eventi della bibbia in chiave “lovecraftiana”: il Cristo non è un emissario celeste, un profeta di Dio, ma il dio non è quello che ci aspettiamo noi, bensì un essere proveniente da un’altra dimensione, che faceva proseliti tramite il messia per diventare più forte e invadere il nostro mondo.
Il primo compito della Chiesa è stato quello di crocifiggere il messia per impedire l’avvento del MALE. Insomma, un grande ribaltamento fuori di testa, condito da fisica teorica e orrori cosmici.
Bellissimo.
Il principe delle tenebre acquisisce potere man mano che gli scienziati all’interno della chiesa iniziano a credere in lui.
Per questo la Chiesa è così squallida, perché non deve dare all’esterno il senso di importanza sacrale.
Per questo la confraternita del sonno lo tiene prigioniero, nascondendolo anche al Vaticano: meno persone credono alla sua esistenza, meno potere egli ha.
Gli scienziati sono vittime perfette, perché credono nella scienza e nelle prove che vengono fornite loro da fenomeni e apparecchi. Nel momento in cui non trovano una spiegazione razionale, adattano le loro teorie a ciò che vedono e, perciò, credono che ad agire su di loro sia una forza aliena, che così si rafforza.
Sotto questo punto di vista, anche il libro che viene trovato e tradotto può essere stato alterato allo scopo di non fornire prove tangibili dell’esistenza del MALE.
Gli stessi sogni che fanno tutti gli occupanti della chiesa quando si addormentano sono ripetuti messaggi mentali, non provenienti dal futuro ma veri e propri attacchi, che il principe compie dall’altra dimensione, per minare le convinzioni dei personaggi.
Tutto questo parlare di fede, questo potere che Carpenter dà alle convinzioni dei suoi personaggi, innesca l’ultimo film della trilogia, quello che più di tutti ammicca all’opera del solitario di Providence e inscena la distruzione dell’uomo sul piano metatestuale.
Il seme della follia è la storia di un personaggio che cerca con tutte le sue forze di combattere contro l’autore che lo sta scrivendo, che non accetta la parte che è stata scritta per lui.
Un film dalla struttura perfettamente circolare, che trova una ratio solo nel suo funzionare per successivi cortocircuiti narrativi.
Sam Neill è un investigatore assicurativo, viene assoldato per scoprire se sia in corso una frode.
È bravo perché è l’ultimo degli scettici, non crede a niente, cerca caparbiamente l’inganno e molto spesso lo trova.
Va in difficoltà quando viene incaricato di trovare Sutter Cane, uno scrittore horror scomparso prima che possa dare alle stampe l’ultima stesura di un libro anticipatissimo, la cui spasmodica attesa ha scatenato episodi di follia nei lettori più assidui.
Il viaggio che Neill compie è la strada che lo porta alla consapevolezza del suo essere un personaggio di finzione, che pensa e agisce solo in virtù della volontà dell’autore. La situazione nella cittadina di Hobb’s End degenera man mano che il protagonista si rende conto di star assistendo agli eventi descritti dal libro che sta leggendo.
E con questa consapevolezza ci si pone una domanda: Neill può salvare il mondo dalla fine rifiutandosi di assecondare la parte che è stata scritta per lui oppure il mondo è impossibile da salvare, perché vive solamente in virtù della narrazione?
Del resto, la sua opposizione allo svolgersi della storia è inutile, un colpo di macchina da scrivere, una rettifica alla trama e le sue azioni diventano indifferenti per lo svolgimento della storia.
Quello che resta il punto più oscuro è se il mondo del film sia così perché la gente ha iniziato a credere alle storie di Cane o sia semplicemente un mondo fittizio che nasce e muore proprio in virtù di quella storia.
E ancora: le creature lovecraftiane sono vere o sono diventate vere perché i lettori dei libri di Cane hanno iniziato a crederci?
I riferimenti metatestuali si buttano: viene citata La cosa, vengono citati gli Essi di Essi vivono ed entrambi i “mostri” vengono trattati come sintomi di schizofrenia paranoide, come parti di una mente suggestionata. Sempre all’inizio, viene chiaramente detto che è l’inizio della storia e non la fine, si parla inoltre di diritti cinematografici del libro di Cane già ceduti e il film si conclude in un cinema dove Sam Neil riguarda sé stesso, perché protagonista della pellicola che porta lo stesso nome del film che noi stiamo guardando, diretto, appunto, da John Carpenter.
Un film che noi sappiamo non essere l’adattamento di nessun libro ma che, nonostante ciò, su questa perfetta inquietante simmetria, fa correre più di un brivido lungo la schiena.
Questo articolo fa parte della Cover Story (post)apocalittica, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.