La fantascienza brutale di Appleseed
Tra i tanti anime di stampo cyberpunk che esistono, il mio preferito è relativamente di nicchia. Non che sia sconosciuto, e ha anche avuto un suo film piuttosto recentemente, ma non è un peso massimo come Evangelion o Ghost In The Shell. Di quale anime sto parlando? Appleseed.
Come anime, ha alcuni punti di contatto stilistici con Ghost in The Shell (questo non deve stupire, l’autore del manga originale è lo stesso), ma la sua trama è più ancorata nel mondo materiale e vi sono meno digressioni di stampo morale su ciò che rende vivo un corpo robotico. La protagonista è una soldatessa/agente speciale di nome Deunan Knute, un personaggio decisamente meno tormentato da quesiti interiori rispetto al Maggiore Kusanagi. Non si deve pensare che questo la renda bidimensionale, però: semplicemente, il focus della sua evoluzione è incentrato sul suo compagno cyborg Briareos, che prima di diventare per tre quarti una macchina, era qualcuno a cui si sentiva emotivamente vicina. L’evoluzione del loro rapporto mi è sempre parsa molto umana, senza mai sfociare nello sdolcinato.
Con quattro film usciti in un arco di tempo che va dal 1988 al 2014, si tratta di una produzione che ha visto una costante evoluzione nella sua qualità artistica e stilistica, passando da esordi interamente disegnati in maniera tradizionale a scene gestite al computer per i film successivi. L’azione si svolge spesso all’interno di una utopica città chiamata Olympus e i due protagonisti sono membri della squadra speciale ESWAT delle forze di polizia locali (di nuovo un punto di contatto col Maggiore, se ci si pensa) e sono impegnati a gestire minacce interne ed esterne alla loro nuova casa.
Appleseed sfiora di rado argomenti realmente profondi. Vi sono alcune digressioni sul diritto di cloni umani a vivere più a lungo e potersi riprodurre, ma non si dilunga all’inverosimile su disquisizioni parzialmente oniriche al riguardo e lascia la formazione di una propria interpretazione morale allo spettatore. Appleseed è, fondamentalmente, una serie d’azione con un pizzico di ironia e dramma messi nei punti giusti e, in quello che si prefigge di fare, agisce alla perfezione: i combattimenti sono ben gestiti e il design delle armi e dei mezzi convince completamente. Difficile aspettarsi qualcosa di diverso, considerando che al secondo film, Ex Machina, ha collaborato nientemeno che John Woo.
Per qualche motivo, fra i tanti anime sul mercato, Appleseed è uno di quelli più vicini alle mie corde; sarà per la mancanza di filippiche adolescenziali, sarà per il design dei protagonisti, è un anime che consiglio anche a chi non ama gli anime. Non ci sono mocciosi dotati di superpoteri, la violenza viene trattata come qualcosa di reale e pericoloso e i sentimenti dei personaggi sono perlopiù plausibili, non l’accozzaglia improponibile che talvolta si vede nelle produzioni giapponesi.
Dovendo trovare dei difetti, forse, sono più che altro sul lato tecnico. Nel 2004, l’animazione in CGI non era di certo al suo apice e il risultato è che l’intero film ne soffre, con animazioni e un aspetto che risultano più artificiali del dovuto. Ex Machina migliora leggermente la qualità visiva, che raggiunge livelli effettivamente buoni con Appleseed Alpha, il film uscito nel 2014. Considerata l’eccellenza visiva raggiunta dalla tecnica DGA (Digitally Generated Animation) usata per l’animazione di Ghost in The Shell, è un peccato che non sia stata utilizzata degnamente anche per Appleseed.
Nonostante questo difetto, si tratta di una fra le serie che più mi sento di consigliare a un pubblico magari interessato a vedere Alita al cinema.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ad Alita e alla fantascienza giapponese moderna, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.