Rift of the Necrodancer, Afterlove EP e i mille volti dei giochi musicali
Per scovare le origini del filone dei giochi musicali bisogna probabilmente risalire fino alla creazione di Simon nel 1978, magari infilandoci nel mezzo anche un po’ di laser game anni Ottanta, da Dragon’s Lair a Space Ace. Ma la nascita e concretizzazione vera e propria del genere avviene senza dubbio a cavallo del cambio di millennio, con quell’esplosione di giochi che fin da subito mostrano quanto un genere teoricamente statico e molto codificato possa in realtà esprimersi in maniera parecchio versatile, andando dai duelli di Bust A Groove, alla bizzarra fantasia di Vib Ribbon, passando per le fusioni di generi operate da Tetsuya Mizuguchi con Space Channel 5 e Rez (e poi Lumines e Tetris Effect) e, ovviamente, la codificazione del genere nella sua forma più nota, quella dei Bemani e del filone occidentale lanciato da Harmonix. Ed è bello vedere che a oltre vent’anni di distanza non si è ancora finito di sperimentare, al punto che di recente sono usciti praticamente assieme due giochi entrambi categorizzabili come appartenenti al filone musicale ma diversissimi fra loro in una maniera quasi violenta.
Rift of the Necrodancer è un seguito/spin-off di Crypt of the Necrodancer, che già di suo era fierissimo esponente del filone che prova a prendere le meccaniche dei giochi musicali e applicarle in direzioni inedite, direi quasi fusion. In questo senso, Rift è sicuramente un gioco molto più classico, che piglia la sua protagonista, Cadence, e la trasporta, assieme a buona parte del cast originale, in una nuova dimensione, dove le meccaniche di gioco si allineano alla struttura più canonica del genere. I vari livelli chiedono infatti di affrontare pezzi musicali eseguendo le “mosse” che scorrono lungo il solito percorso orizzontale a colonne. Da questo punto di partenza così tradizionale, però, Rift of the Necrodancer prende il largo per spingere in tante direzioni diverse, variando lo sviluppo del gameplay in modi spesso radicali.
Le varie “mosse” che scorrono lungo il percorso sono infatti rappresentate dai mostri che Cadence deve sconfiggere, quindi zombi, demoni e così via, e ciascuno di loro ha un comportamento specifico che va a variarne il posizionamento e la velocità di spostamento. Il risultato è un’esperienza di gioco molto più variegata, sorprendente e, soprattutto, impegnativa, che riesce davvero a dare al tutto un sapore diverso. Dopodiché, intendiamoci, vale sempre il fatto che puoi imparare i pezzi a memoria tramite la ripetizione e a quel punto la sostanza non cambia molto rispetto a quella di un Guitar Hero a caso, ma la componente di gioco “a braccio” e in generale l’affidarsi agli input visivi vengono resi molto più freschi da questa impostazione.
E in più il gioco sconfina anche in altri territori, infilando dei minigiochi di disimpegno che fanno venire in mente roba più à la Space Channel 5 e buttandoci pure dentro delle battaglie coi boss che mescolano le meccaniche da rhythm game a un’impostazione in stile Punch Out. Il risultato di questo gran miscuglio è un gioco delizioso, strapieno di roba da fare e livelli di difficoltà da affrontare, oltre che stilisticamente impeccabile. Ci ho giocato con mia figlia che guardava e tifava, perché lei di affrontare una roba così stressante non ne vuole manco sentir parlare, e ci siamo pure divertiti un bel po’ ad esplorare i contenuti prodotti dagli utenti, con varie canzoni adattate al gioco. APT grande hit qua in casa.
Di taglio completamente diverso è invece l’approccio al gioco musicale operato da Afterlove EP, un gioco uscito guarda un po’ nello stesso periodo e che sembra fatto apposta per mostrare, mano nella mano con Rift of the Necrodancer, la versatilità del filone. Afterlove EP è infatti un qualcosa che si posiziona da qualche parte fra l’avventura punta e clicca, la visual novel, il dating simulator e probabilmente anche altro, infilandoci dentro delle meccaniche da gioco musicale legate alla passione del suo protagonista. Rama suona la chitarra e canta, fa parte di un gruppo rock che ha però trascurato (anzi: abbandonato) per un anno, sconvolto dalla morte della sua ragazza, Cinta. Lo troviamo in avvio che cerca di rimettere assieme i pezzi della sua vita dopo essersi lasciato andare a lungo e fatica ancora ad affrontare l’elaborazione del lutto.
Il racconto di Afterlove EP si sviluppa quindi nell’arco di un mese, durante il quale Rama deve provare a ricucire i rapporti con i suoi amici membri del gruppo in previsione di un concerto, ma anche ricostruire la propria vita, stringendo nuove amicizie e relazioni, magari andando anche in terapia e provando ad affrontare la presenza di Cinta, ancora al suo fianco sotto forma di voce interiore con cui intrattiene conversazioni. Afterlove EP parla di elaborazione del lutto e della difficoltà di accettarlo, di lasciar andare qualcuno (o qualcosa) di importantissimo che la vita ci ha strappato via, ma parla anche dell’effetto a cascata che questa cosa può avere su chi ci sta intorno. Lo fa in maniera spezzettata, in certi momenti più efficace che in altri, e anche in quel modo un po’ schizoide che è forse inevitabile quando crei una struttura narrativa ramificata e permetti al giocatore di provare a seguire questa o quella via.
Ci sarebbe poi anche questa cosa brutta brutta per cui un gioco che parla di lutto è uscito postumo, addirittura anni dopo la morte del suo creatore Mohammad Fahmi, a cui dobbiamo anche i due Coffee Talk.
Se non in tutto è impeccabile, però, Afterlove EP mi sembra avere dalla sua una forte sincerità delle emozioni, una bella ricerca estetica e in generale la capacità di trovare piccoli momenti, magari in quei ricordi che è possibile reperire sepolti in giro nelle foto, magari in certi scambi fra i personaggi, che colgono proprio nel segno. Eppoi sì, ha questa sua natura musicale così forte su tanti livelli, fondamentale nel racconto e nei suoi personaggi, nell’onnipresenza di una bella colonna sonora che mi ha fatto venire in mente a più riprese i riff degli Explosions in the Sky e nei momenti rhythm game, in cui Rama si esibisce, a volte da solo, a volte con gli amici, e il giocatore deve affrontare un paio di meccaniche diverse per accompagnare l’esecuzione. In tutti questi sensi, Afterlove EP è senza dubbio un gioco musicale, anche se a conti fatti, volendo fare i pignoli puristi, è difficile considerarlo come reale appartenente al genere. Ma in fondo cos’è il genere dei giochi musicali? Cosa sono i generi videoludici, se non un continuo mutamento e cambio di direzione? Chi sono? Dove vado? Quanto mi resta da vivere? Dove cacchio ho lasciato le chiavi di casa? Oddio, sono le quattro e un quarto, devo andare a prendere mia figlia a scuola!
Ho giocato a entrambi i giochi su PC, grazie a dei codici Steam ricevuti da chi cura le rispettive PR. Completare Rift of the Necrodancer pasticciando anche un po’ con le modalità extra mi ha richiesto sei ore, mentre per Afterlove EP ce ne sono volute sei e mezzo. Entrambi i conteggi potrebbero essere sfalsati dal fatto che ci ho anche giocato un bel po’ offline e in quella situazione a volte Steam fa casino. Li ho iniziati entrambi sul latpop, in vacanza, e giocando quindi con la tastiera, senza particolari problemi. Rientrato a casa, però, per Rift of the Necrodancer sono passato al pad, perché le combo sulle canzoni più difficili con la tastiera mi risultavano ingestibili. Col pad tutto bene, invece.