Dieci anni di Bloodborne
Bloodborne è uno dei giochi più belli a cui abbia mai giocato e anche uno dei più importanti nella mia vita. Eh, lo so, sono parole pesanti, ma è così. E faccio fatica anche a capire da dove cominciare a parlarvi di questo mio fantastico rapporto col gioco in questione, ora che sono passati dieci anni dalla sua uscita. Facciamo così, procediamo seguendo un ordine, come dire, alla cazzo di cane.
Dunque, partiamo da qualche anno prima, rispetto all’uscita di Bloodborne. Partiamo, più precisamente, dal 2009. Esce Demon’s Souls in Giappone, il gioco è sviluppato da From Software, diretto da Hidetaka Miyazaki e prodotto/pubblicato nientepopodimeno che da Sony stessa, che ovviamente ne fa un’esclusiva per PS3, la sua console di riferimento all’epoca. Alla stessa Sony, però, il gioco sembra – senza giri di parole – una vera monnezza. Difficilissimo e con un’interfaccia scomoda e a tratti incomprensibile. Tant’è che della pubblicazione in America e in Europa i vertici della casa di PlayStation non ne vogliono neanche sapere. Che lo facciano Atlus (per gli States) e Bandai Namco (per il vecchio continente). Tanto ‘sta roba non andrà da nessuna parte.
Io stesso, vi confesso, sarei stato d’accordo con Shuei Yoshida e gli altri dirigenti di Sony dell’epoca. Quando Demon’s Souls arrivò nella redazione di PSM, infatti, ne fui discretamente affascinato, ma lo bocciai abbastanza velocemente: troppo difficile, sia da capire, sia da giocare. È oggi evidente, la storia lo ha ampiamente dimostrato, che né io né Sony avevamo capito una beneamata mazza. Tant’è che, negli anni successivi, prova e riprova (assecondando anche un po’ le spinte e gli stimoli che arrivavano da alcuni amici e colleghi), alla fine finisco per innamorarmi follemente di Demon’s Souls e del suo seguito spirituale, Dark Souls. Questo processo quasi mistico di conversione si compie in particolare nel 2014, quando arrivo addirittura a recensire Dark Souls II (per IGN Italia), perché ormai ero diventato il più scimmiato per il genere in redazione.
Quello stesso anno, all’E3, viene presentato ufficialmente Bloodborne, nuovo gioco di From Software, nuovo gioco diretto da Hidetaka Miyazaki (che comincia a diventare uno dei personaggi più rilevanti dell’industry) e, attenzione, gioco che vede di nuovo Sony impegnata nella produzione. Come a dire: non è solo Ualone ad aver cambiato idea su questa roba degli Action RPG difficilissimi-ma-in-grado-di-dare-grandi-soddisfazioni, anche noi ci siamo ravveduti! E niente, proprio nel corso della (compianta) fiera losangelina di quell’anno, ho il piacere di vedere in azione l’erede spirituale di Demon’s Souls e Dark Souls, ed è amore a prima vista. Le atmosfere dark fantasy che avevano caratterizzato i giochi precedenti lasciano il posto a un nuovo angosciante mood lovecraftiano, con l’avventura che sembra ambientata in una copia un po’ horror della Londra vittoriana (Yharnam). Il tutto con le stesse fantastiche meccaniche che stavano facendo breccia nel cuore di sempre più giocatori in quegli anni, solo un po’ snellite e presentate in una salsa più “action oriented”.
L’anno dopo, a marzo 2015, arriva il gioco definitivo e io scrivo una delle recensioni a cui sono maggiormente affezionato, oltre che emotivamente legato. Tra le altre cose, è la recensione in cui propongo un po’ a tutti gli addetti ai lavori, di usare il termine soulslike per riferirsi a quel particolare sottogenere degli action RPG, che evidentemente Demon’s Souls, Dark Souls e lo stesso Bloodborne avevano contribuito a definire. Davvero. Andate a recuperare qualunque testo (italiano, almeno) precedente alla mia recensione di Bloodborne e vedrete che il termine soulslike non veniva ancora usato. Nel testo dicevo qualcosa come “non voglio fare altro nella vita che giocare a Bloodborne”. E in effetti Bloodborne è ancora oggi uno dei giochi a cui ho giocato di più su piattaforme PlayStation, stando anche al counter di PS5, che lo mette al primo posto dei giochi a cui ho giocato (su PS4 e PS5) con più di 400 ore consumate. Questo perché, oltre a una campagna principale molto bella, Bloodborne aveva anche una caratteristica per me letale: dei dungeon generabili proceduralmente in cui continuare a giocare praticamente all’infinito, una strana via di mezzo tra i soulslike e una roba alla Diablo.
Non sapete quanto ho sognato, in questi anni, un’espansione di Bloodborne tutta dedicata ai Chalice Dungeon. Più nello specifico (queste cose le dico per chi è molto dentro al gioco, gli altri le leggano semplicemente per quello che sono: il delirio di un pazzo) sognavo, e sogno ancora, l’aggiunta di una sesta profondità per i calici di Pthumeru, Loran e Ysz, oltre a dungeon da tre nuove aree, ovviamente a loro volta con sei profondità. Che poi, questa roba, con un multiplayer fatto bene e un sistema di ricompense più articolato, sarebbe diventata facilmente una buona base per uno strepitoso game as a service, cara Sony, io te lo dico. Altro che Concord. Idea valida ancora oggi, eh. Se serve, chiamami.
Anche perché, sì, sono tra quelli che vorrebbero una gran bella riedizione per Bloodborne. Non necessariamente un remake grafico come quello realizzato da Bluepoint per Demon’s Souls, eh. Mi basterebbe anche una semplice rimasterizzazione, in grado di farci godere su PS5, PS5 Pro e PC, di Bloodborne a 4K e 60fps (se possibile con una lista trofei separata, così, tanto per avere lo stimolo e la soddisfazione di platinare nuovamente il gioco). E in occasione di questa riedizione, ecco, magari ci starebbe bene anche rimettere mano un po’ alla sezione calici per espanderla un pochettino. Sì, lo so, questo probabilmente rimarrà un sogno. Mentre la riedizione prima o poi arriverà, ne sono sicuro. Magari proprio con il remake grafico di Bluepoint. Tipo al lancio di PS6. Nel frattempo, buon decimo anniversario del lancio di Bloodborne a tutti i good hunter all’ascolto!