Outcazzari

Outcast GOTY 2018

Outcast GOTY 2018

E anche questa volta è andata: si conclude oggi la rassegna di OTY accazzodecane: dopo le nostre serie TV preferite e i nostri film preferiti del 2018, si passa ai videogiochi, sempre messi in fila un po’ come capita.

Buona lettura e buon anno!

Stanlio Kubrick

̶C̶e̶r̶t̶o̶,̶ ̶i̶l̶ ̶2̶0̶1̶8̶ ̶è̶ ̶s̶t̶a̶t̶o̶ ̶l̶’̶a̶n̶n̶o̶ ̶d̶i̶ ̶R̶e̶d̶ ̶D̶e̶a̶d̶ ̶R̶e̶d̶e̶m̶p̶t̶i̶o̶n̶ ̶2̶.̶ ̶D̶i̶ ̶G̶o̶d̶ ̶o̶f̶ ̶W̶a̶r̶.̶ ̶D̶i̶ ̶S̶p̶i̶d̶e̶r̶-̶M̶a̶n̶ ̶e̶ ̶I̶n̶t̶o̶ ̶t̶h̶e̶ ̶B̶r̶e̶a̶c̶h̶,̶ ̶d̶i̶ ̶S̶a̶s̶s̶i̶ ̶C̶r̶e̶e̶d̶ ̶O̶d̶i̶s̶s̶e̶a̶,̶ ̶d̶i̶ ̶u̶n̶ ̶s̶a̶c̶c̶o̶ ̶d̶i̶ ̶g̶i̶o̶c̶h̶i̶n̶i̶ ̶g̶r̶a̶n̶d̶i̶ ̶e̶ ̶p̶i̶c̶c̶i̶n̶i̶ ̶d̶e̶i̶ ̶q̶u̶a̶l̶i̶ ̶v̶a̶l̶e̶ ̶l̶a̶ ̶p̶e̶n̶a̶ ̶p̶a̶r̶l̶a̶r̶e̶,̶ ̶m̶a̶ ̶n̶o̶n̶ ̶q̶u̶i̶.̶ ̶P̶e̶r̶c̶h̶é̶ ̶q̶u̶i̶ ̶d̶o̶v̶e̶ ̶l̶o̶ ̶s̶p̶a̶z̶i̶o̶ ̶è̶ ̶p̶e̶r̶s̶o̶n̶a̶l̶e̶ ̶e̶ ̶s̶i̶ ̶p̶u̶ò̶ ̶s̶c̶r̶i̶v̶e̶r̶e̶ ̶q̶u̶e̶l̶l̶o̶ ̶c̶h̶e̶ ̶s̶i̶ ̶v̶u̶o̶l̶e̶ ̶e̶ ̶n̶o̶n̶ ̶q̶u̶e̶l̶l̶o̶ ̶c̶h̶e̶ ̶è̶ ̶B̶E̶L̶L̶I̶S̶S̶I̶M̶O̶ ̶O̶T̶Y̶ ̶d̶a̶v̶v̶e̶r̶o̶ ̶i̶o̶ ̶c̶i̶ ̶m̶e̶t̶t̶o̶ ̶q̶u̶e̶l̶l̶o̶ ̶c̶h̶e̶ ̶v̶o̶g̶l̶i̶o̶,̶ ̶e̶ ̶c̶i̶o̶è̶:̶ ̶l̶a̶ ̶n̶u̶o̶v̶a̶ ̶v̶e̶r̶s̶i̶o̶n̶e̶ ̶c̶o̶n̶ ̶l̶e̶ ̶t̶e̶x̶t̶u̶r̶e̶ ̶i̶n̶f̶i̶g̶h̶e̶t̶t̶a̶t̶e̶ ̶d̶i̶ ̶u̶n̶ ̶g̶i̶o̶c̶o̶ ̶d̶e̶l̶ ̶2̶0̶1̶1̶,̶ ̶r̶i̶p̶r̶e̶s̶e̶n̶t̶a̶t̶o̶ ̶s̶o̶s̶t̶a̶n̶z̶i̶a̶l̶m̶e̶n̶t̶e̶ ̶i̶d̶e̶n̶t̶i̶c̶o̶ ̶a̶ ̶s̶e̶ ̶s̶t̶e̶s̶s̶o̶ ̶s̶u̶ ̶c̶o̶n̶s̶o̶l̶e̶ ̶p̶i̶ù̶ ̶n̶u̶o̶v̶e̶ ̶d̶i̶ ̶q̶u̶e̶l̶l̶e̶ ̶s̶u̶ ̶c̶u̶i̶ ̶e̶r̶a̶ ̶u̶s̶c̶i̶t̶o̶ ̶i̶n̶ ̶o̶r̶i̶g̶i̶n̶e̶.̶ ̶P̶e̶r̶c̶h̶é̶?̶ ̶P̶e̶r̶c̶h̶é̶ ̶m̶i̶ ̶p̶i̶a̶c̶c̶i̶o̶n̶o̶ ̶u̶n̶ ̶s̶a̶c̶c̶o̶ ̶i̶ ̶v̶i̶d̶e̶o̶g̶i̶o̶c̶h̶i̶ ̶e̶ ̶i̶l̶ ̶l̶o̶r̶o̶ ̶m̶o̶d̶o̶ ̶d̶i̶ ̶f̶a̶r̶ ̶c̶o̶n̶v̶i̶v̶e̶r̶e̶ ̶i̶s̶t̶a̶n̶z̶e̶ ̶n̶a̶r̶r̶a̶t̶i̶v̶e̶ ̶c̶l̶a̶s̶s̶i̶c̶h̶e̶ ̶c̶o̶n̶ ̶n̶e̶c̶e̶s̶s̶i̶t̶à̶ ̶m̶e̶c̶c̶a̶n̶i̶c̶h̶e̶ ̶e̶ ̶u̶n̶o̶ ̶s̶p̶a̶z̶i̶o̶ ̶d̶’̶e̶s̶p̶r̶e̶s̶s̶i̶o̶n̶e̶ ̶d̶i̶v̶e̶r̶s̶o̶ ̶d̶a̶ ̶q̶u̶e̶l̶l̶o̶ ̶d̶e̶i̶ ̶f̶i̶l̶m̶,̶ ̶d̶e̶l̶l̶a̶ ̶T̶V̶ ̶e̶ ̶d̶e̶i̶ ̶l̶i̶b̶r̶i̶.̶ ̶E̶ ̶D̶a̶r̶k̶ ̶S̶o̶u̶l̶s̶,̶ ̶i̶n̶ ̶q̶u̶e̶s̶t̶o̶ ̶s̶e̶n̶s̶o̶,̶ ̶è̶ ̶a̶n̶c̶o̶r̶a̶ ̶o̶g̶g̶i̶ ̶i̶l̶ ̶v̶i̶d̶e̶o̶g̶i̶o̶c̶o̶ ̶p̶e̶r̶f̶e̶t̶t̶o̶,̶ ̶o̶ ̶q̶u̶a̶l̶c̶o̶s̶a̶ ̶c̶h̶e̶ ̶c̶i̶ ̶s̶i̶ ̶a̶v̶v̶i̶c̶i̶n̶a̶ ̶m̶o̶l̶t̶o̶:̶ ̶p̶e̶r̶ ̶c̶o̶m̶e̶ ̶i̶g̶n̶o̶r̶a̶ ̶a̶ ̶b̶e̶l̶l̶a̶ ̶p̶o̶s̶t̶a̶ ̶q̶u̶a̶l̶s̶i̶a̶s̶i̶ ̶t̶e̶n̶t̶a̶z̶i̶o̶n̶e̶ ̶c̶i̶n̶e̶m̶a̶t̶o̶g̶r̶a̶f̶i̶c̶a̶,̶ ̶d̶i̶ ̶r̶e̶a̶l̶i̶s̶m̶o̶,̶ ̶d̶i̶ ̶a̶v̶v̶i̶c̶i̶n̶a̶m̶e̶n̶t̶o̶ ̶d̶e̶i̶ ̶m̶e̶z̶z̶i̶,̶ ̶e̶ ̶s̶i̶ ̶a̶b̶b̶a̶n̶d̶o̶n̶a̶ ̶a̶n̶i̶m̶a̶ ̶e̶ ̶c̶o̶r̶p̶o̶ ̶a̶ ̶q̶u̶e̶l̶l̶o̶ ̶c̶h̶e̶ ̶r̶e̶n̶d̶e̶ ̶g̶r̶a̶n̶d̶i̶ ̶i̶ ̶v̶i̶d̶e̶o̶g̶i̶o̶c̶h̶i̶,̶ ̶n̶o̶n̶ ̶a̶ ̶q̶u̶e̶l̶l̶o̶ ̶c̶h̶e̶ ̶r̶e̶n̶d̶e̶ ̶g̶r̶a̶n̶d̶i̶ ̶l̶e̶ ̶s̶t̶o̶r̶i̶e̶ ̶o̶ ̶i̶ ̶r̶a̶c̶c̶o̶n̶t̶i̶ ̶o̶ ̶l̶e̶ ̶n̶a̶r̶r̶a̶z̶i̶o̶n̶i̶.̶ ̶E̶ ̶q̶u̶i̶n̶d̶i̶:̶ ̶u̶n̶ ̶m̶o̶n̶d̶o̶ ̶d̶i̶s̶e̶g̶n̶a̶t̶o̶ ̶e̶ ̶p̶e̶s̶a̶t̶o̶ ̶a̶l̶l̶a̶ ̶p̶e̶r̶f̶e̶z̶i̶o̶n̶e̶,̶ ̶i̶n̶t̶r̶i̶c̶a̶t̶o̶ ̶e̶ ̶m̶i̶s̶t̶e̶r̶i̶o̶s̶o̶,̶ ̶d̶a̶ ̶m̶a̶n̶d̶a̶r̶e̶ ̶a̶ ̶m̶e̶m̶o̶r̶i̶a̶ ̶e̶ ̶i̶n̶ ̶c̶u̶i̶ ̶i̶m̶p̶a̶r̶a̶r̶e̶ ̶a̶d̶ ̶a̶b̶i̶t̶a̶r̶e̶,̶ ̶l̶a̶ ̶c̶u̶i̶ ̶s̶t̶o̶r̶i̶a̶ ̶è̶ ̶s̶c̶r̶i̶t̶t̶a̶ ̶n̶e̶i̶ ̶r̶u̶d̶e̶r̶i̶ ̶e̶ ̶n̶e̶i̶ ̶c̶a̶d̶a̶v̶e̶r̶i̶ ̶e̶ ̶n̶e̶l̶l̶e̶ ̶f̶a̶z̶z̶e̶ ̶d̶e̶i̶ ̶n̶e̶m̶i̶c̶i̶ ̶e̶ ̶d̶e̶g̶l̶i̶ ̶a̶m̶i̶c̶i̶,̶ ̶n̶o̶n̶ ̶n̶e̶i̶ ̶s̶o̶t̶t̶o̶t̶i̶t̶o̶l̶i̶ ̶d̶i̶ ̶q̶u̶e̶s̶t̶a̶ ̶o̶ ̶q̶u̶e̶l̶l̶a̶ ̶c̶u̶t̶s̶c̶e̶n̶e̶.̶ ̶Q̶u̶a̶n̶d̶o̶ ̶u̶s̶c̶ì̶ ̶m̶e̶ ̶n̶e̶ ̶i̶n̶n̶a̶m̶o̶r̶a̶i̶ ̶a̶l̶ ̶v̶o̶l̶o̶,̶ ̶e̶ ̶c̶i̶o̶n̶o̶n̶o̶s̶t̶a̶n̶t̶e̶ ̶p̶a̶s̶s̶a̶i̶ ̶q̶u̶a̶l̶c̶h̶e̶ ̶m̶i̶n̶u̶t̶o̶ ̶a̶ ̶c̶h̶i̶e̶d̶e̶r̶m̶i̶ ̶«̶p̶o̶s̶s̶i̶b̶i̶l̶e̶ ̶c̶h̶e̶ ̶t̶i̶ ̶p̶i̶a̶c̶c̶i̶a̶ ̶u̶n̶ ̶g̶i̶o̶c̶o̶ ̶c̶o̶s̶ì̶ ̶r̶u̶d̶i̶m̶e̶n̶t̶a̶l̶e̶,̶ ̶i̶n̶ ̶c̶u̶i̶ ̶n̶o̶n̶ ̶f̶a̶i̶ ̶a̶l̶t̶r̶o̶ ̶c̶h̶e̶ ̶a̶n̶d̶a̶r̶e̶ ̶i̶n̶ ̶g̶i̶r̶o̶ ̶a̶ ̶u̶c̶c̶i̶d̶e̶r̶e̶ ̶m̶o̶s̶t̶r̶i̶?̶»̶.̶ ̶R̶i̶s̶p̶o̶s̶t̶a̶ ̶s̶e̶t̶t̶e̶ ̶a̶n̶n̶i̶ ̶d̶o̶p̶o̶:̶ ̶s̶ì̶,̶ ̶p̶e̶r̶c̶h̶é̶ ̶u̶c̶c̶i̶d̶e̶r̶e̶ ̶m̶o̶s̶t̶r̶i̶ ̶i̶n̶ ̶D̶a̶r̶k̶ ̶S̶o̶u̶l̶s̶ ̶è̶ ̶p̶e̶r̶ ̶m̶e̶ ̶l̶a̶ ̶r̶i̶s̶p̶o̶s̶t̶a̶ ̶p̶e̶r̶f̶e̶t̶t̶a̶ ̶a̶l̶l̶a̶ ̶d̶o̶m̶a̶n̶d̶a̶ ̶«̶p̶e̶r̶c̶h̶é̶ ̶t̶i̶ ̶p̶i̶a̶c̶c̶i̶o̶n̶o̶ ̶i̶ ̶v̶i̶d̶e̶o̶g̶i̶o̶c̶h̶i̶?̶»̶.̶

Subnautica, amici, amiche! Subnautica! (lo so che non è un’esperienza nuova fresca 2018 e che esiste dal 2014, ma è nel gennaio 2018 che è uscito dall’Accesso Anticipato, e poi guardate qua sopra qual era la mia prima scelta, non rompete). Subnautica è il miglior survival game in circolazione, e ne ho giocati tanti. Le fa tutte giuste, a partire dall’ambientazione subbaqqua, che è utile a coprire tutto lo spettro emotivo possibile, dalla sorpresa allo stupore alla meraviglia di fronte ai mille colori dei pescetti colorati al terrore puro del rimanere intrappolati in una grotta senza possibilità di raggiungere la superficie per respirare alla curiosità di scoprire la sorte degli altri passeggeri dell’astronave con la quale ci si schianta sul pianeta 4546B ai jump scare ai PESCI GIGANTI LEVIATANI a tutto, è un’immersione (ah ah) costante in un mondo alieno, terribile maestosa e disorientante tanto che ho perso di vista la struttura del periodo che stavo costruendo quindi facciamo che metto un punto e via.

Ricominciamo.

C’è un ritmo perfetto, che è un dettaglio difficilissimo da azzeccare in un gioco del genere e ha tutto a che fare con il dualismo tra micromanagement – ho fame ho sete mi servono tre pezzi di quel sassetto mi servono i semi di quella pianta ho ancora fame ho ancora sete – e spinta all’esplorazione – voglio scendere sotto i 100 metri voglio entrare in quelle grotte voglio scendere sotto i 300 metri. E anche con un sistema di crafting che è complesso e profondo ma fa la scelta giustissima di funzionare con poco: nei giochi della sopravvivenza, spesso, succedono cose tipo che il crafting ti richiede 100 pezzi di legno e 50 rocce per fare una panchina, mentre qui bastano tre/quattro componenti, raramente in numero superiore a due per volta, per tirare in piedi un sottomarino, il che rende la ricerca di materiale utile una gioia e non un lavoraccio.

Ci sono gli alieni! Strutture ipertecnologiche sommerse piene di tecnologia spaziomisteriosa! PISTOLE ALTE COME UN PALAZZO! Mostri marini! E io ho una base bellissima con una macchinetta del caffè e uno scaffale di giocattoli che ho recuperato nel corso delle mie immersioni. C’è una storia, un’urgenza, un obiettivo finale! C’è tutto, tutto quello che serve, e anche se ogni tanto l’architettura tecnica scricchiola sotto il peso dell’ambizione (la parola d’ordine è “pop in”), chissenefrega, Subnautica è sublime, è il mio gioco dell’anno, compratelo, ora.

Marco Esposto

Marvel's Spider-Man è la mia scelta, l'esclusivona Sony. Come detto in mille altri lidi, God of War e Red Dead Redemption 2 si meritano tutti i voti e i premi che si sono portati a casa, ma poi il cuore punta all'Uomo-Ragno. Perché diverte. Perché mai ho visto un open world in cui fosse così bello spostarsi, dove non si usa mai il fast travel perché è troppo più bello volteggiare. Ha mille cose che non vanno, è quasi un embrione che verrà sicuramente migliorato nei duecento sequel inevitabili, ma che goduria muoversi fra quei palazzi. La bellezza di God of War e Red Dead Redemption 2 sta anche nella loro complessità, anche di approccio al gioco. E questo li porta a risultare a volte impegnativi. Quando hai mezz'ora libera, ti viene il mal di testa a pensare di doverci giocare, perché servono almeno un paio d'ore per essere soddisfatti (e sono due ore bellissime, eh). Spider-Man lo metti dieci minuti e rinasci. Il videogioco, secondo me, dovrebbe essere soprattutto questo. Poi io sono fan del personaggio, ma pad alla mano, un sacco di non fan si sono divertiti da matti. Perché quel volteggio lì va provato con mano, è impossibile da percepire solo guardandolo. Ma poi il Photo Mode, di cosa parliamo? Anzi non parliamone, basta che googlate un po'. Comunque, se mi seguite sui social o mi conoscete già, sapevate che era il mio gioco, probabilmente mi avete bloccato ovunque stufi delle immagini che condividevo col tasto Share.

Andrea Peduzzi

Lo scorso giugno, in sede di recensione, avevo temporaneamente designato come mio GOTY Forgotton Anne: un po’ per menarmela e un po’ per davvero, ma soprattutto perché ancora non avevo messo mano a qualche gioco grosso.

“Gioco grosso” che puntualmente mi è entrato in casa sul finire di ottobre. Lo ammetto: mai prima di quel momento, qualcosa che reputavo - a torto - semplice intrattenimento era riuscito a coinvolgermi in maniera tanto viscerale, al punto da farmi entrare in empatia con la sua stessa natura e facendomi mettere in discussione tutto ciò che credevo di sapere sul game design. E su me stesso.

Ho trascorso lunghe tirate di gioco fino alle tre del mattino come non mi capitava da The Legend of Zelda: Breath of the Wild, per poi alzarmi qualche ora dopo con gli occhi gonfi di sonno ma già in vena di ricominciare. Insomma, a costo di passare per quello mainstream che si fa fregare dai trend sui social, se lo chiedete a me, il GOTY definitivo e totale del 2018 è stata la mia gatta, a proposito della quale ho scritto più approfonditamente in questo pezzo qua.

Se parliamo di videogiochi, invece, lo scettro va a The Hex, l’artefatto metaludico di Daniel Mullins che sto cercando di recensire da settimane senza trovare le parole. Forse perché non ci sono parole per descrivere qualcosa che va soprattutto guardato (pur nella sua consapevole “bruttezza”), ascoltato e giocato. The Hex è un’opera densa, stratificata. Nella manciata di ore che dura, Mullins è riuscito a infilare una lezione di game design, una profonda riflessione sul rapporto tra autore e opera e sull’autonomia linguistica dell’avatar, persino una pertinente analisi dei processi creativi. Più di tutto, però, The Hex porta a un nuovo livello la dialettica tra mito e rito che distingue i videogiochi e i giochi in generale. Ah, ed è pure divertente!

Natale Ciappina

Forse è un po' banale, ma non per questo così scontato, specie dopo un altro anno bello denso com'è stato il 2018 appena trascorso. Eppure, non posso fare a meno che ribadirlo ancora una volta: Red Dead Redemption 2 è stato il gioco che più è riuscito a intrattenermi, sorprendermi, divertirmi ed emozionarmi; tutto in una lunghissima avventura, giocata, cavalcata e goduta d'un fiato, come non mi capitava più da anni, e che traccia una nuova via, seppur difficilmente percorribile da chiunque non sia Rockstar, per quanto riguarda la narrazione nel medium d'appartenenza. La rottura non sarà forse fragorosa come quella che ha apportato The Legend of Zelda: Breath of the Wild nel 2017, ma Red Dead Redemption 2 riesce comunque a imprimere con decisione la propria impronta non solo sul mondo degli open world, ma su quello dei videogiochi per intero.

Vincenzo Aversa

Quest’anno non ho davvero dubbi: il mio GOTY lo vince a mani basse Return of The Obra Dinn.

Dopo più di 1500 ore passate a giocare la qualsiasi (eh, lo so, faceva male la testa... a TUTTE), niente mi è sembrato straordinario e nuovo come questo titolo poco colorato e realizzato da una manciata di uomini. Niente hipsterismo, lo giuro, vostro onore, ho apprezzato il mena mena di God of War e le chiacchierate di Red Dead Redemption 2 ma le avevo pure già viste nella mia vita. Alcune volte meglio, altre peggio, mentre in The Return of Obra Dinn avevo la netta sensazione di fare a pugni con un gioco più grande di me, meccanicamente perfetto, sbalorditivo nei suoi minuscoli ingranaggi nascosti. Pur senza avere il cervello e la pazienza per dominarlo completamente (voglio far credere a me stesso che ci riproverò in futuro, però), ho adorato come questo piccolo pezzo di software si prendesse gioco del mio istinto, delle mie deduzioni e persino della mia vista. Return of The Obra Dinn mi ha umiliato... ma frustami ancora, ancora, ti prego.

Giuseppe Colaneri

La testa dice Into The Breach e i polpastrelli dicono Super Smash Bros: Ultimate ma il cuore dice Celeste. Il nuovo gioco dei creatori di Towerfall (grandissimo giochillo da co-op, se non lo avete già preso, recuperatelo) è un platform di rara bellezza, in cui a una sopraffina colonna sonora e al magnifico level design si accompagna una profondità narrativa inaspettata che, livello dopo livello, cresce sempre più, fino a culminare in uno splendido finale. Certo, la bastardaggine insita nel gioco di Matt Makes Games mi ha un po' fatto desistere dal completarlo al 100% (i livelli "B-Side" sono di una bastardaggine rara, che sfiora quella degli stage più difficili di Super Meat Boy) ma, dopo numerosi mesi e giochi trascorsi dalla sua uscita, Celeste è ancora impresso nella mia mente come uno fra i titoli che più mi hanno rapito in un 2018 comunque ricco di discrete bombette.

E scusate se è poco.

Alessandro De Luca

Purtroppo mi mancano i giochi usciti negli ultimi mesi dell’anno, perché ero via per lavoro (Red Dead Redemption 2 l’ho preso ma, per un motivo o per l’altro non l’ho ancora cominciato seriamente). Il titolo di gioco migliore dell’anno se lo giocano quindi in tre: Monster Hunter World, God of War e Marvel’s Spider-Man. Mi sono piaciuti moltissimo tutti e tre, per motivi diversi, e hanno tutti e tre punti molto forti a loro favore.

Monster Hunter World, oltre ad essere un gioco della madonna di per sé, svecchia la struttura ormai vetusta dei Monster Hunter, portando il gioco finalmente nell’era moderna. Libero da meccaniche lente e francamente obsolete, è uno splendido esempio di come si possa ammodernare un classico e snellirlo senza tradire gli elementi tradizionali della serie e conservando così il suo spirito più puro e i suoi elementi migliori. E il fatto che continui ad essere aggiornato e supportato da Capcom è un ulteriore punto a suo favore.

God of War è un altro esempio di un gioco appartenente a una serie ormai classica che introduce elementi moderni in una struttura consolidata da anni di tradizione e numerosi episodi diversi. La sua struttura open world strizza l’occhio a molti giochi usciti in questi anni ma gli sviluppatori l’hanno adattata in maniera perfetta al mondo di Kratos. La presenza di Atreus, un potenziale scassacazzi di proporzioni bibliche, aggiunge un gradito lato umano a tutta la vicenda, senza risultare invadente o fastidiosa.

Infinte, lo Spider-Man di Insomniac è uno Spider-Man apocrifo, se vogliamo, che non fa parte della continuità narrativa della serie classica, ma è ambientato in un universo parallelo. Conserva però molti degli elementi che fanno dell’Uomo-Ragno l’eroe che tanti di noi adorano (a parte il fatto di essere amico degli sbirri, ma vabbè), e il gioco è ottimo sotto praticamente tutti i punti di vista, nonostante la sua palese mancanza di originalità.

Alla fine, direi che il gioco dell’anno per me è God of War. L’ho adorato e mi ha appassionato per tutta la sua durata. Il suo sistema di combattimento offre il giusto equilibrio tra complessità e accessibilità anche per chi, come me, non è un manico del genere. E senza stare a menarsela troppo col rapporto tra Kratos e Atreus, riesce anche a raccontare una storia con un lato umano (o divino, in questo caso) che non stona mai.

Marco Mottura

Il mio GOTY è senza dubbio God of War, perché ha saputo rilanciare una saga storica (che però, di certo, era andata un po' in affanno nel corso degli anni) con una coraggiosissima sferzata di aria fresca. Anzi, di aria gelida, direi, vista e considerata l'innevata ambientazione. Barlog e Sony si sono presi dei rischi non indifferenti, hanno avuto il coraggio di rimescolare le carte in tavola e alla fine l'operazione ha dannatamente pagato: God of War è un videogioco sensazionale, con valori produttivi fuori di testa, che, nel ridefinire il franchise, ha pure aperto una strada tutta nuova all'interno del genere action - perché la commistione con gli elementi da sparatutto c'è e si vede, per quanto mi riguarda, dall'uso della telecamera alle interazioni alla distanza con l'Ascia del Leviatano. Quella di Kratos e Atreus è un'avventura indimenticabile, un viaggio emozionante che unisce narrazione, tecnica, ispirazione artistica e gameplay: io l'ho davvero amato con tutto il cuore, anche al netto delle esorbitanti aspettative che nutrivo. E quindi, boh, tanto basta, Red Dead stacce, che alla fine ci ho giocato troppo poco per esprimere un giudizio, ma comunque so che avrei preferito l'ex Fantasma di Sparta.

Ah, al solito, mi concedo la paraculata di menzionare almeno un altro gioco, anzi addirittura due. O, meglio, tre, fanculo: Dead Cells è sublime, non posso non nominarlo, e al meccanismo a orologeria di Into The Breach c'è solo da voler bene. Il top indiscusso, però, per me rimane quella meraviglia di ASTRO BOT: una sorpresa continua, una gioia per gli occhi e per l'anima che dimostra quanto possa entusiasmare la VR, anche alle prese con esperienze più tradizionali. Per assurdo, anche se God of War meriterebbe appieno la palma di GOTY, dovessi scegliere un gioco rappresentativo di questo 2018, sceglierei comunque il platform con protagonista il robottino di Sony Japan. Così, come inno alla gioia e a chi crede in soluzioni nuove.

Stefano Talarico

Red Dead Redemption 2 non dovrebbe essere il gioco dell’anno di nessuno. Perché, se ci pensi, è un po’ una palla, hai costantemente l’impressione che gli altri lo abbiano fatto meglio, e in più ti è anche costato un pacco di soldi. Un po’ come la vita. Eppure, se ti fermi a guardarlo bene, se ti immergi nei suoi tempi, ti metti a respirare all’unisono con le cose che ti succedono intorno, ti prendi il tempo per legarti alle persone che rendono quel viaggio degno di essere intrapreso, beh, Red Dead Redemption 2 diventa straordinario, mesmerizzante, incapace di essere spiegato davvero a parole nella complessità del caso che lo compone. Un po’ come la vita. E io, onestamente, non avevo mai visto un gioco così grosso, con una spinta narrativa, una visione tale da togliere i diritti umani più basilari alle persone pur di ricreare una vita digitale come non si era mai vista. Se le piramidi fossero un videogioco, sarebbero Red Dead Redemption 2.

Erik Pede

È difficile, per me, scegliere un gioco dell’anno per il 2018. In primis perché non ho giocato a moltissimo (generalmente per mancanza di tempo e, a tratti, anche di voglia), e in secondo luogo perché molti dei titoli che ho atteso e poi affrontato hanno finito per deludermi e non piacermi granché. Cosa che non è successa, fortunatamente, con Dead Cells.

Sono da sempre un fanatico di roguelike e metroidvania e non mi sarei mai aspettato di vedere i due generi in questione fusi con estro e competenza, ma Dead Cells ha davvero ribaltato i miei preconcetti. Prende il meglio di entrambe le correnti di pensiero, mescola tutto con l’aggiunta di ingredienti provenienti da altri generi, aggiunge una grafica in pixel art perfetta per conquistare un vecchiaccio come il sottoscritto e – cosa ancor più importante, nonché quasi impossibile da ottenere – mantiene un perfetto bilanciamento tra tutte le sue componenti dall’inizio alla fine.

È inoltre ancor più incredibile notare come Dead Cells sia in grado di andare addirittura oltre la sua impeccabile fusione tra generi diversissimi, presentandosi come un gioco capace di offrire infiniti stimoli tanto ai neofiti quanto ai veterani e ai virtuosi del controller. Tra tanti sogni infranti, in definitiva, Dead Cells è stato per me una vera ancora di salvezza.

Davide Mancini

Il 2018 è stato un altro bellissimo anno pieno di videogiochi degni di essere ricordati, un filino al di sotto dell’adorato 2017, ma comunque c’è l’imbarazzo della scelta nello scegliere il “migliore”. La logica mi suggerirebbe Return of the Obra Dinn, perché è un dannato capolavoro di forma, contenuti e visione. Il fanboysmo sulla spalla destra, invece, mi ricorda che mi sono perso nell’antica Grecia e ho giurato amore eterno a Kassandra in Assassin’s Creed: Odyssey. Il fegato, invece, mi ricorda The Red Strings Club, e il cellulare direbbe Florence. Il cuore, però, alla fine, vuole premiare Detroit: Become Human di Quantic Dream. È stato il momento dell’anno in cui ho scritto più volte agli amici per confrontarmi sull’esito di una scena, è stato il gioco che, pur facendo leva su alcuni cliché scontati, mi ha coinvolto di più emotivamente e, più di tutto, è il primo esperimento di Quantic Dream privo di buchi, storture e inciampi che lasciano l’amaro in bocca. Partecipare a una rivoluzione non è mai stato così appassionante in un videogioco, e parlare di razzismo e diversità fa sempre benissimo.

Alberto Torgano

Quest’anno è uscito un gioco che mi ha permesso di coniugare due passioni: quella per i videogiochi e quella per… Magic: The Gathering. Mi riferisco chiaramente a Magic: The Gathering Arena, la versione free to play di Magic, per la prima volta sviluppata in-house, dopo il lustro di esperimenti con la serie di Duels of Planeswalkers. So bene che Magic aveva già una versione digitale con MTGO, il primissimo gioco di carte online, estremamente innovativo per il 2002, quando uscì, ma che al giorno d’oggi risulta molto vetusto in termini di interfaccia grafica, usabilità e modello di business. Il grosso vantaggio di Magic Online è che in ogni momento puoi acquistare per valuta reale le carte che ti servono per fare un mazzo, e allo stesso modo puoi vendere le carte che possiedi in cambio di soldi veri. Ma i processi per fare queste cose sono molto macchinosi e richiedono una discreta conoscenza del gioco e dello strumento. Insomma, non è per niente un gioco adatto a tutti. Magic: The Gathering Arena è invece adatto a tutti e, pur perdendo il vantaggio di poter scambiare carte per soldi in modo semi-diretto, offre tutti i pro e i contro dei F2P e, che piaccia o meno, usa lo stesso linguaggio dei giochi del 2018. Grazie ad Arena, ho iniziato a giocare con continuità a Magic anche in formato digitale e non vedo l’ora che il gioco approdi anche su iOS e Android. Quindi, Magic: The Gathering Arena è senz’altro il mio GOTY 2018.

Davide Moretto

È stato un anno di titoli osannati da tutti, e anche io come molti, mi sono divertito non poco con Marvel's Spider-Man, che mi ha fatto un po' riprovare le tante gioie che avevo vissuto con la serie Arkham, ma in una salsa più simpatica e meno opprimente (come è giusto che sia, con l'arrampicamuri come protagonista). Avrei voluto tanto dire God of War ma, a parte le ultime due ore, non è stato il God of War che mi aspettavo.

Alessandro Zampini

Nonostante il gioco a cui ho giocato di più (e di gran lunga) sia Capitan Tsubasa: Dream Team su iPhone, il gioco migliore dell’anno è a mani basse God of War. Per due fondamentali motivi: il primo è che è uno dei pochi che ho finito, quasi platinato e amato alla follia, il secondo perché, ascia-boomerang e mazzate fenomenali a parte, è capace di raccontare un mondo e sopratutto un rapporto tra due persone in maniera sottile e non plateale, lasciando l’evoluzione della loro relazione alle storie e ai discorsi tra padre e figlio mentre si pagaia, e non (sempre e solo) nelle scene di intermezzo.

Le cose che si sanno di loro, o del loro mondo, vanno scoperte e assorbite tra un combattimento e l’altro e non piovono solo addosso come troppo spesso succede. Bonus: ha il finale più anticlimatico (e riuscito) che potesse avere e, per un gioco di mazzate con divinità, è una cosa al limite del clamoroso.

Antonio Bellotta

Il 2018 ha visto una bella sfilza di titoloni in uscita, tuttavia non ci sono stati giochi che mi abbiano fatto gridare al miracolo o al capolavoro com’era successo per la doppietta di classici Nintendo dello scorso anno. Non ho ancora giocato a Red Dead Redemption 2, un po’ per mancanza di tempo, un po’ perché il west duro e puro non è mai stato nelle mie corde, quindi sono abbastanza sicuro che in ogni caso non sarebbe finito qui. Pertanto, il mio GOTY 2018 va a Celestesuper-platformer indie uscito a inizio anno e capace di realizzare una sintesi perfetta fra il platforming preciso e blasfemo di Super Meat Boy e una storia dalla profondità del tutto inaspettata. Ambientazioni, personaggi, animazioni e una spruzzatina di tematiche sociali sono stati realizzati con grandissima cura e delicatezza, oltre che con un approccio fresco e innovativo, nonostante l’estetica sia chiaramente di matrice retro. La scalata di Madeleine (nomen omen?) alla montagna Celeste è anche la nostra scalata (una metafora quasi lapalissiana), al cui termine si esce un po’ più forti e un po’ più tenaci di prima.

Menzione d’onore a Spider-Man, a mani basse il gioco più divertente e spensierato dell’anno. Ancora una volta, quelli di Insomniac dimostrano di aver capito come si realizza un sistema di movimento e combattimento fluido e appagante, affiancandolo a una storia e personaggi di tutto rispetto. Seconda menzione d’onore ad Iconoclastseccellente metroidvania uscito un po’ in sordina e penalizzato dalla saturazione indie del genere. Pixel art e animazioni superbe, ambientazione unica, ottime meccaniche e una storia che non ha paura di toccare temi scottanti senza appesantire il ritmo di gioco. Se Hollow Knight è la (pur bella) processione della Madonna dell’Arco, con tanto di fustigazione dei credenti, Iconoclasts è il colorato trenino di fine anno Brigittebardòbardò pur sempre ammantato dalla stessa malinconia di fondo. Salite a bordo e dategli una chance, ché se la merita.

Andrea Maderna

Nel 2018, di giochi usciti nel 2018, ho giocato solo a roba indie, oltretutto manco a quella più famosa, e ho relegato le grosse produzioni al retrogaming. Il mio preferito è stato Wandersong, una bellissima avventura puzzle/platform/musicale con stile da vendere, una narrazione adorabile e un sacco di idee. Non mi dilungo perché, insomma, ripeterei quel che ho scritto nella recensione, ma davvero, merita. Detto questo, mi sa che il mio gioco preferito del 2018 è Earthbound. Ma, appunto, non è uscito nel 2018.

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