Outcazzari

Ode agli sconfitti (e allo SmiloDonte)

Ode agli sconfitti (e allo SmiloDonte)

A questo giro, su Outcast, si celebra quello che, grazie al lancio di Devil May Cry 5 e Sekiro, è a tutti gli effetti diventato il mese degli action (il mio genere prediletto in assoluto, come vi raccontavo tempo fa qui), e così il buon giopep ha pensato bene di coinvolgermi nei festeggiamenti.

«Ti va di scrivere qualcosa?», mi chiede con gentilezza il Maderna. «Certo che mi va, faccio volentieri un pezzo su DmC, un gioco ingiustamente preso di mira, che invece io ho amato tantissimo». «Eh no, quello è già preso». «OK, vado con The Wonderful 101, altro mio grande feticcio. Un capolavoro giocato da pochissimi e forse compreso nella sua sperimentale genialità da ancora meno persone». «Eh no, veramente sarebbe preso pure quello».

E allora sai che c’è, Sior giopep? C’è che il pezzo te lo faccio su entrambi, così sucate sia tu che i due maledetti usurpatori - non so chi siano, ma tant’è - che sono stati più rapidi di me a rispondere, fottendomi sul tempo.

Lo sguardo dell’incompreso.

Dunque, eccoci qui, all’elogio degli incompresi ma assolutamente non degli sfigati. Perché, nonostante le anime radicalmente diverse e i toni quasi agli antipodi, a ben vedere, di cose in comune, DmC: Devil May Cry e The Wonderful 101 ne avrebbero eccome. La più ovvia è certamente il crudele destino che ha unito il controverso reboot marchiato Ninja Theory all’ultimo vero gioco che è possibile associare al 100% a Sua Maestà Hideki Kamiya: una sorte beffarda e ingiusta, che li ha condannati a un’esistenza travagliata. Perché sia Dante - anzi Donte, con la “a” che sfocia in una “o” come nelle sprezzanti prese in giro alla sua compiaciuta anima British - che la buffa ciurma di ometti in stile Super Sentai avrebbero meritato ben altri riscontri da parte del pubblico (e in misura minore anche della critica, che di The Wonderful 101 ci ha capito abbastanza poco, se non addirittura proprio un cazzo).

E invece no: da una parte acredine, infamia e puro disprezzo, fomentati dai pregiudizi del peggio di Internet, quando decide di andare in fissa su una cosa vomitandole addosso merda a prescindere, della serie che già ben prima della sua uscita, DmC era diventato lo zimbello che faceva figo odiare un po’ ad ogni latitudine (preso di mira magari dalla stessa gente che poi ha chiuso entrambi gli occhi sul tedioso gameplay di Hellblade, ma quella è tutta un’altra storia... una storia assai più fortunata per i comunque talentuosi Ninja di Cambridge). Dall'altra, invece, una forse ancor più castrante indifferenza, un oblio che, complice pure la sventura che aleggiava attorno a Wii U, ha immediatamente piagato il povero Wonder-Red e il resto della squillante banda.

Personalmente, delle polemiche sui capelli del protagonista di DmC me ne sono sempre fottuto, anzi, a dirla tutta, le ho proprio apertamente compatite: l'appellativo di "emo Dante" mi è sempre parso di una superficialità avvilente - anche perché tra l’altro vorrei capire come potrebbe essere emo un videogame con la soundtrack dei Combichrist, ma sticazzi - e in generale, una volta superato lo shock della primissima presentazione, mi sono affacciato al titolo made in UK con sincera curiosità. Una curiosità direi estremamente ben riposta, tanto a livello artistico (Talexi, per quanto mi riguarda, è stato abbastanza magistrale, e numerosi aspetti della produzione rimangono ancora oggi dei punti di riferimento in fatto di stile) quanto per sensazioni pad alla mano. Perché il punto è che DmC era un validissimo action, che forse avrebbe ricevuto un riscontro migliore da parte di un certo pubblico se solo si fosse chiamato con un nome diverso. Ma tant'è, ormai è andata così. E io, oltre ad aver sinceramente adorato il gioco - la boss battle con Bob Barbas è un momento che non scorderò mai, così come trovo difficile dimenticare la mutevolezza ambientale di Limbo e la sua innata esplosione di colori - apprezzo e applaudo il coraggio e la voglia di rischiare di Capcom.

A proposito, questo sincero desiderio di mettere in discussione regole affermate, questo osare a prescindere dalle convenzioni e dai dogmi è un'altra delle cose che credo accomunino nell’attitudine DmC e The Wonderful 101. Entrambi i giochi hanno infatti a loro modo provato a fare qualcosa di diverso, a sperimentare arrivando a soluzioni più o meno inedite. Poco importa quindi che si tratti di modificare l’esecuzione della schivata, di cambiare radicalmente registro nelle cutscene o di costruire un intero combat system a partire dal concetto di “disegnare” delle forme in tempo reale sul campo di battaglia: in maniera diversa, sia Ninja Theory che PlatinumGames hanno avuto l’ardire di seguire una via nuova, merito tutt’altro che trascurabile, in un genere spesso dogmaticamente (e cocciutamente) arroccato sulle sue posizioni.

Alla fine, è un peccato che per ragioni paradossalmente più grandi di loro due deliziosi hack’n’ slash non siano comunque riusciti a sfondare, o magari anche solo a diventare nel loro piccolo dei cult per una ristretta cerchia di appassionati (The Wonderful 101, da questo punto di vista, potrebbe certo beneficiare di una seconda giovinezza su Nintendo Switch, a patto però di rinunciare all’immediatezza tattile dei controlli tramite stilo, che erano un po’ il suo bello, specie all’inizio). Forse, però, doveva appunto andare a finire semplicemente così, lasciando questi due controversi esperimenti perennemente in sospeso, in una dimensione tutta loro fatta di incomprensioni, di trovate espresse magari in modo poco appetibile, di incertezze spigolose. Come una specie di ramo evolutivo parallelo che ha avuto la sfortuna di non affermarsi, ma che non per questo merita meno rispetto. Anche perché le tigri dai denti a sciabola si sono rivelate col senno di poi un mezzo arzigogolo in termini di pura evoluzione, ma oh, buttale via.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Devil May Cry e alle pizze in faccia alla giapponese, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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