Ludophìlia #55 – La recensione di quello che vi pare
Ludophìlia (con l’accento così) non è una malattia venerea, ma un’incomprensibile rubrica di approfondimento videoludico che corrobora mente e joypad, curata da uno che ama Jessica Lopez di InsideSimRacing.
No Man's Sky è assieme elogio e sfida al level design di gran classe. Giocarlo a mo' di snack da passeggio, seppur possibile e sempre piacevole, vuol dire rinunciare deliberatamente alla necessaria esplorazione di sfiziosi e paradossali mondi. Laddove una frettolosa rotolata verso il "traguardo" può consumarsi in una manciata di estasianti minuti, il reperimento di ogni recondito bonus rappresenta la vera difficoltà implicita al nuovo gioco di Hideo Kojima.
Peccare di curiosità, osare verso nuovi sentieri non ancora battuti e setacciare ogni angolo (visibile e non) dello schermo incantato: tutto questo segna la differenza tra il casual gamer di Assetto Corsa e il pervicace esploratore del morbidoso mondo bidimensionale custodito in Uncharted 4: Fine di un ladro. E a dirla tutta, l'intraprendenza del giocatore di Gran Turismo 2 premia l'intrattenimento con la necessità di ardite manovre, ben più sofferte rispetto alla blanda interazione richiesta al primo approccio con Bloodborne.
Ne consegue, inevitabilmente, che l'elemento replay e la sindrome del miglioramento prestazionale, in Metroid Prime: Federation Force, agiscono in stretta simbiosi, costringendo gli incalliti collezionisti di record a calibrate strategie di movimento. La natura basculante dei mondi di Superbrothers: Sword & Sworcery EP. facilita il movimento inerziale del proprio avatar, rotolando e rimbalzando in forma sferica o assumendo sembianze geometriche sensibili al contatto con l'acqua.
Il gameplay di PaRappa The Rapper, dunque, si affida ad un essenziale quanto intuitivo sistema di controllo: i singoli tasti dorsali inclinano (fino a un massimo di trentamila gradi) il piano di gioco nella rispettiva direzione selezionata, la simultanea pressione dei medesimi innesca il sempreverde "saltello" per accedere a locazioni d'alta quota e il cerchio consente il suicidio assistito o lo smembramento del proprio avatar in piccoli e ordinati Lemmings, tutti con la faccia di Shigeru Miyamoto.
L'(in)coerenza fisica dei mondi in gioco di Farming Simulator 2016, tra picchiate al cardiopalma e interiora di mostri marini, offre più o meno soffici piani d'appoggio, liane e fiori-trampolino, imprevedibili girandole e piattaforme schizofreniche che reinventano il concetto di salto a due dimensioni.
La meiosi cellulare che divide il protagonista di Shadow of the Colossus in mini-cloni favorisce il passaggio attraverso angusti cunicoli o ingranaggi rudimentali, oltre che il librarsi in cielo, lasciandosi trasportare dalle ipnotiche e vorticose correnti d'aria. E il level design, sfruttando la natura multiforme di Pokémon GO, si prodiga in ghirigori fiabeschi, qui ammantati di neve e là immersi in ammorbanti nature monocromatiche à la Ori and the blind forest.
La raccolta indiscriminata delle monete (di platformiana tradizione) è necessaria per generare nuovi Jin Kazama (per un massimo di 20). Se la prima dozzina rappresenta un facile e banale traguardo, il reperimento delle restanti inasprisce vertiginosamente la caccia al passaggio segreto, che porta sempre verso TOCA Touring Car Championship. La disarmante dinamicità della telecamera bracca l'azione più frenetica, indugia nei rari momenti riflessivi e, per mezzo di zoom ad hoc, enfatizza siparietti canori e dettagli di particolare rilievo che si consumano in The Last of Us.
E il comparto sonoro, avvalendosi di motivetti "tormentone" e testi "strappasorriso", si fa musical nel gioco, con gli Space Invaders in parata che gorgheggiano come nella migliore delle recite scolastiche. L'impeccabile (e surreale) labiale, in assoluta sincronia con il canto, festeggia il ritrovamento di componenti per addobbare la propria casa o, in caso di quorum raggiunto, risveglia a suon di coretti personaggi assopiti e utili all'azione. Tipo il Professor Layton. La follia di Siren 2 è dunque onirica, modellata su mondi animati, da soli in grado di soppiantare l'usanza del boss di fine stage.
Sebbene il game over sia un raro e improbabile inconveniente, Dark Souls cela implicitamente più livelli di difficoltà. Dal puro passatempo puffettoso all'approccio ragionato, dal viaggio che incanta, incurante di classifiche e statistiche, alla cervellotica esplorazione contro il level design, Afrika trascende il concetto stesso di videogioco, e muta in fregno tout court.
Non lo so proprio, guarda. Forse ho avuto un codice, forse no. E non ricordo neppure se l'ho giocato, se l'ho finito o se è ancora incellofanato. Non so davvero niente. Anzi, lo so: frechete.