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Il Dark Souls dei miei momenti memorabili

Il Dark Souls dei miei momenti memorabili

Il mio primo momento memorabile con un gioco di FROM è stato quando ho emulato King’s Field con il MAME, non ci ho capito un cazzo e l’ho mollato dopo mezz’ora. Il mio vero primo momento memorabile con un gioco di FROM è stato quando un amico lungimirante importò una copia di Demon’s Souls dal Giappone e me la fece vedere e giocare e spulciare ma sempre da distanza di sicurezza (cioè a casa sua). Se ne deduce quindi che il mio VERO ma VERO VERO primo momento memorabile con un gioco di FROM è stato Dark Soulstutto Dark Souls.

Dico queste robe perché per un paio di mesi da queste parti si parlerà di momenti memorabili, e sinceramente da videogiocatore non c’è nulla di più memorabile in questi ultimi quindici anni della roba che mi ha regalato FROM Software. Potrei scriverci un libro, se mi pagassero. È la scelta più banale che potessi fare per esordire in questa Cover Story, e non avete ancora idea di quanto diventerà più banale con il passare delle righe! Non ci posso fare nulla. Sono una di quelle persone: quest’anno, dopo aver spulciato il gigantesco DLC di Elden Ring, sono tornato sui miei passi e mi sono rigiocato tutti quei giochi da Demon’s Souls in avanti. E c’è poco da fare: pur essendo per tanti motivi che magari un giorno approfondirò quello più gnucco e meno genuinamente divertente da giocare, il primo Dark Souls è ancora oggi il Dark Souls dei miei momenti memorabili.

Ce n’è uno in particolare che se conoscete il gioco avrete già intuito, ma la verità è che tutto Dark Souls è una collezione di momenti che potrei citare in questo pezzo. E lo dico pur avendoci giocato la prima volta con già l’esperienza Demon’s Souls alle spalle: c’è questa idea molto diffusa nel FANDOM per cui il vero OG sia proprio DeS, e che DaS non abbia fatto altro che recuperare ed espandere le sue idee. È un’idea con la quale non concordo, cioè: è ovvio che entrambi sono action RPG con la barra della stamina e le scorciatoie, ma dove Demon’s Souls era Mega Man, Dark Souls era Metroid, era Castlevania, ancora meglio era Faxanadu. Pigliava tutti quei moduli tutto sommato indipendenti e con un loop esclusivamente interno che erano i livelli del gioco precedente e li pigiava tutti in una massa unica e coerente, un posto insomma. La prima volta che capii di trovarmi in un posto – con la famosa prima scorciatoia sbloccata sotto forma di scaletta che viene calata dall’alto e ti frigge il cervello – è anche la prima volta che Dark Souls mi fece una roba veramente memorabile – e parliamo di un gioco che poco prima mi aveva sbattuto in faccia un grosso drago rosso.

Dopodiché, il bello della sua forma relativamente aperta e senza un ordine prestabilito per fare le cose significa che ci sono tanti modi per esperire i vari MM, che immagino dipendano un po’ anche dai gusti. Cioè: la prima volta che sono uscito dalle classiche rovine del castello per scoprire la foresta con i suoi uomini albero incazzati e il glorious cracked out wall kitten ho emesso uno squittìo, perché non lo sapevo e non me l’aspettavo. Figuratevi quando in quella stessa foresta ho preso a craniate un muro e questo è scomparso, rivelando un preziosissimo falò (= checkpoint)! Ma chi lo sa, magari a voi questa roba non ha fatto, o non farebbe lo stesso effetto. Mi dà però modo di prendere un’altra deviazione a caso e parlare di solitudine.

Quando uscì Dark Souls lo comprai per la versione dell’Xbox che al tempo era in circolazione (era la 360? Non ho voglia di controllare). Era il 2011 e non solo non ero interessato a giocare online ai videogiochi, non connettevo neanche la console a Internet. Tanto c’erano le copie fisiche, non è che dovessi, che ne so, scaricare qualcosa. Tipo una patch di quelle da day 1, che al tempo erano ancora una rarità della quale ci si preoccupava solo in casi estremi di prodotti usciti in una forma impresentabile. Dark Souls uscì in una forma più che presentabile e senza un gran bisogno di patch, almeno all’apparenza. La realtà è che lo giocai tutto, sudando e soffrendo della mia incapacità, nella sua versione 1.01, e solo anni dopo, quando finalmente lo provai in un ambiente online, scoprii l’esistenza della mitologica patch 1.05. Dovete sapere che prima di quella patch… be’, c’erano tante cose diverse, anche in termini di bilanciamento e numerini. La vera differenza, però, sta in quello che noi che non abbiamo una vita chiamiamo “aggro range”, la distanza alla quale i nemici cominciano a notarti ma anche quella dopo la quale smettono di inseguirti se scappi abbastanza velocemente. Nella sua forma originale concepita da Lord Miyazaki in persona, l’aggro range era sostanzialmente infinito. Voi non avete idea della sbatta. E non avevo neanche il sostegno degli utili messaggi di altri giocatori che ti avvisano di questa o quella trappola, né la possibilità di farmi aiutare più direttamente da un volenteroso. Dark Souls rimane a oggi l’unico gioco FROM a cui ho giocato almeno una volta completamente offline, e non mi sono mai più sentito così solo. Vale come momento memorabile?

Volevo però arrivare altrove. Dicevo prima di quando, rotolando in giro con la grazia che solo un protagonista di Dark Souls, l’unico gioco al mondo a far sembrare sensata questa roba di andare in giro facendo capriole che ti rendono invincibile, è in grado di dimostrare, andai a finire contro un muro che scomparve, in quella che con gli anni è diventata una signature move di FROM Software, al punto che un giocatore esperto passerà tra il 27 e il 32% del suo primo playthrough di un loro nuovo gioco a prendere a spadate ogni superficie verticale nella speranza di vederla svanire. Ai tempi di Dark Souls questa roba degli illusory wall era ancora tutto sommato una simpatica novità, e mi aspettavo di trovarne due o tre in giro per tutto il gioco (in Demon’s Souls ce ne sono due in totale, mi pare). Ce ne sono in realtà una dozzina, e ce n’è uno in particolare che non è per forza semplicissimo da trovare, e richiede una certa sintonia con il modo di pensare obliquo della gente che fa questi giochi.

Si trova in basso, molto in basso seppur non al massimo del basso che raggiunge il mondo di Dark Souls. È nascosto nell’incavo di un tronco a caso in mezzo a una palude, subito dietro un cadavere con un po’ di luccicante loot. Per cui tu vai lì, raccogli il luccicante loot e pensi “che bizzarra e tutto sommato inutile deviazione”. E magari ti scappa di pigiare R1 e scopri che dietro il cadavere c’è questo.

È un bel momento eh, ma memorabile? Quello succede dopo. Perché un’altra regola che Dark Souls ti insegna è non fidarti delle casse del tesoro, che come ogni giocatore di D&D sa bene possono essere in realtà dei Mimic. Certo: te la insegna per la prima volta dopo che sei passato da queste parti. Ma magari sei paranoico. Magari sei tornato in zona per controllare di non esserti perso nulla, e scopri questa cassa nascosta e pensi “è esattamente il posto dove Miyazaki nasconderebbe una trappola!”. E quindi la prendi a spadate. E questa stanza segreta nella quale eri convinto che avresti trovato la tua fine si rivela in realtà solo come l’anticamera di un’altra stanza segreta, nascosta dietro un altro finto muro, e che non è neanche un’altra stanza ma un corridoio e poi un gigantesco albero cavo e infestato da funghi e infine, dopo una discesa perigliosa e spesso fastidiosa, una colossale caverna che ospita un lago di dimensioni altrettanto ciclopiche, e che si trova, a una prima ma anche a una seconda occhiata, nelle fondamenta stessa del mondo.

L’impatto della discesa e del paesaggio che poi ti si para davanti è già di per sé uno dei MM più M dell’intera storia di FROM, ma io ricordo che rimasi colpito anche se non soprattutto dalla voglia di sperimentare e di infrangere quelle regole stabilite all’interno del videogioco stesso. C’è un muro, ora non c’è più, dietro c’è un tesoro. Eppure per giungere ad Ash Lake devi superare questa convinzione che le ricompense vengano distribuite una per volta. Un finto muro nascosto dietro un finto muro è una specie di autovaffanculo che Dark Souls rivolge a se stesso, ed è di fatto la base per una serie di sperimentazioni sempre più estreme sulla formula Souls e i suoi piccoli grandi prevedibili segreti che raggiunge il suo apice con ogni probabilità in The Ringed City, il secondo DLC di Dark Souls III nel quale si trova un TRIPLO illusory wall. Direte: cosa vieta di farne uno quadruplo (che c’è in una qualche forma in un piccolo dungeon di Elden Ring), quintuplo, infinituplo? Credo che la risposta sia “il senso della misura”, o “il salto dello squalo”: un MM ripetuto allo sfinimento smette di essere M e rimane solo un M. e con tutti i suoi difetti e legnetti, Dark Souls rimane ancora oggi il più misurato dei giochi FROM, e quindi quello più M. Che non significa “il migliore” o “il più bello” o “quello che rigioco più volentieri”: semplicemente quello grazie al quale c’è un prima e un dopo, per merito anche di uno stupido doppio muro finto.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai "Momenti memorabili", che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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