Outcazzari

Non sto piangendo, mi è entrata una scheggia di osso di dino nell'occhio

Non sto piangendo, mi è entrata una scheggia di osso di dino nell'occhio

Scrivo sempre più di rado in quel di Outcast, non perché non ne abbia voglia o perché abbia litigato con qualcuno; è il tempo che stringe. La quantità di momenti liberi nella giornata è inversamente proporzionata all'avanzare dell'età e tra lavoro e famiglia, è un bel bordello trovare la quadra a tutto. Ho dovuto sacrificare qualche hobby, tagliuzzare un po' di tempo di qua e un po' di là per riuscire a ottimizzare il mio tempo libero per far collimare alla perfezione videogiochi, famiglia e lavoro.

Forse il sacrificio è un po' il significato di essere adulti ed è qualcosa che un videogioco ha cercato di comunicarmi in passato, anche se non avevo colto il suo messaggio finché un evento ha scosso la mia vita nel profondo. Ero un baldo giovane che emulava Game Boy Advance su PSP e ascoltava i Savatage durante le ore di scuola al liceo quando per la prima volta Mother 3 è stato fantradotto nella lingua d'albione: fresco da un Earthbound che mi era piaciuto tantissimo, inizio ad approcciarmi al gioco.

La grafica ipercolorata e la colonna sonora mi colpiscono sin da subito in positivo ma, tra una lezione di educazione tecnica e l'altra, non dò molto peso a ciò che accade all'inizio, complice anche magari un inglese scolastico che ho avuto modo di approfondire in seconda battuta. Lo finisco e lo apprezzo, anche molto per via del finale che un po' mi ricorda Evangelion.

Non so quanto posso o, meglio, voglio spoilerare ma tenete presente che sul finale le vostre azioni porteranno a far “rinascere” il mondo.

Ero un metallaro sedicenne che si sfondava di anime su Megavideo, ancora poco avvezzo nel capire a fondo cosa volesse dire sacrificare del tempo libero per degli impegni imprescindibili; come può un sedicenne con una vita tutto sommato tranquilla e serena capire una storia fondata sulla perdita e sul sacrificio? Non può: infatti non ne parlai più di tanto, di quel gioco, perché sì, mi era piaciuto ma non è che mi avesse colpito tanto quanto Metal Gear Solid 2, che tra memini e memucci ha previsto il futuro.
Più passavano gli anni e più mi rendevo conto che, inconsciamente, il gioco mi era entrato sotto pelle. Sicuramente era diventato uno dei miei giochi preferiti, l’ho studiato, amato, ho persino studiato le fonti da cui Itoi ha attinto per la scrittura, ma sinceramente, fino al 2020 non mi sono mai reso conto di quanto la scena che chiude il prologo, dando il là a tutto il gioco, mi avesse profondamente segnato.

Il 2020 è stato un anno particolare per tutto il mondo, doptutto ancora oggi ci portiamo dietro gli strascichi della pandemia globale che ci ha portato quasi al collasso. Dovessi essere sincero con voi, però: il covid mi è scivolato sopra: ero abituato a starmene in casa a giocare ai videogiochi e a sfondarmi di serie TV, le restrizioni non hanno avuto effetto su quella che era la mia vita all'epoca. Però, l’inizio del secondo decennio degli anni 2000 è stato duro anche per me: il padre della sorella della mia compagna è morto per un male incurabile.

Ricorderò per sempre il giorno della sua morte, anche perché la ragazzina in questione, quando ha ricevuto la notizia, era con me e sua sorella, proprio a casa nostra. Vi risparmio i dettagli: trovo che dolori del genere siano molto privati e non mi va di tradire la fiducia di una persona a me così vicina, ma potete ben immaginare il dolore di una situazione del genere, specialmente se vissuta in piena adolescenza.

Tornando a noi, in quei giorni avevo comprato da poco un Game Boy Player e una cartuccia bootleg di Mother 3, e così ho deciso di pancia di rigiocarci in diretta: l’effetto è stato devastante.

la morte di Hinawa e la reazione di Flint, compagno e padre di Lucas e Claus, non mi è più apparsa grottesca e impossibile, ma umana e concreta, riportandomi alla mente immagini che lì per lì non mi fecero crollare. Ma gli choc, si sa, vengono a galla anche in momenti random della vita: il sibillio di quell’esplosione di disperazione stava aspettando solo il momento giusto per essere detonato e quale momento migliore se non quello di brillare in live streaming, mentre Flint reagisce in maniera quasi paragonabile al lutto a cui avevo assistito poco prima? Sono riuscito a trattenere le lacrime a stento e, sinceramente, non ricordo cosa ho fatto dopo: forse ho cambiato gioco, o interrotto la diretta, non ricordo.
Ricordo, però, che mi ha infilzato il cuore con uno stiletto ben appuntito.

Ogni volta che mi ricapita di giocare a Mother 3, ultimamente molto spesso, ho la pelle d'oca: il ricordo di quel dolore è vivo e vegeto nella mia memoria. Il gioco, ovviamente non finisce lì, anzi: l'"adattamento" della Trilogia della città di K. di A.Kristoff per mano di Itoi non è soltanto quel momento. Con grazia e armonia, lo showman giapponese è riuscito a creare un gioco che ti prende per mano, facendoti divertire ma anche comprendere cosa vogliano dire sacrificio, rinuncia e perdono. Gli attimi finali, che prima apprezzavo per il lato filosofico, mi risultano ora molto più umani: un padre spezzato da una faida familiare tra fratelli ammette la sua assenza nella loro crescita e si addossa le colpe di uno sfaldamento che dalla morte della madre sembrava inevitabile. Pochi giochi hanno il potere di narrarti una storia del genere senza fartelo pesare, rimanendo godibili anche per chi non ha ancora gli occhi per capire certe sfumature della vita.

Mother 3 è un inno alla vita da adulto, un bilanciamento perfetto tra la spassosità dei dialoghi ed eventi che, a ben pensarci, butterebbero giù anche l'uomo più imperturbabile del mondo.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai "Momenti memorabili", che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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