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La natura “ludens-centrica” di Horizon: Zero Dawn

La natura “ludens-centrica” di Horizon: Zero Dawn

Siamo a metà gennaio e, con quasi un anno di ritardo dall'uscita, mi trovo a scrivere di Horizon: Zero Dawn, un po’ perché mi va, un po’ perché ho promesso di farlo. Mi tocca. Dall’ormai lontano marzo 2017, sono usciti alcuni aggiornamenti minori e, più recentemente, l’espansione Frozen Wilds, su cui ancora non ho messo mano.

Il gioco sviluppato ad Amsterdam da Guerrilla Games - che ve lo dico a fare - è proprio una bomba: bellissimo da vedere e formidabile da giocare. A dover dire la verità, io sono fermo al punto di non ritorno, quando il gioco ti dice che da quel momento in poi non potrai tornare indietro: per me quella è stata una mazzata, perché mi ha portato a cercare mille tazzine da caffè e settecentocinquanta peluche nascosti sulle montagne. A questo si sono aggiunte altre cinque ore extra passate nel fenomenale Photo Mode, su cui potrei probabilmente scrivere un altro editoriale a parte. La storia di Aloy non mi ha preso quasi per niente, a dire la verità, ma chi se ne frega della storia, quando il mondo in cui sei immerso è così meraviglioso?

È proprio questo mondo ad essere protagonista indiscusso di Horizon: Zero Dawn. Paesaggi inspiegabili e giochi di luce meravigliosi vengono arricchiti da un connubio unico tra natura e tecnologia. Ad abitare in queste lande spesso desolate sono animali selvatici (cinghiali, conigli, volpi e affini), e animali robotici progettati da una graziosa cooperazione tra il ministero della difesa e una mega-corp tipo Tesla, volta a costruire simpaticissime macchine da guerra. Che gioia. Queste macchine sono incredibilmente belle da vedere e ognuna di esse è ispirata ad una controparte animalesca reale. I tall-neck, ad esempio, altro non sono che delle pacifiche giraffone di cavi e latta. A seguire ci sono robo-drilli, pterodattili metallici (ottimo nome per una metal band), mini-velociraptor in realtà non particolarmente veloci, mecha-ragnoni poligonali, e wannabe-tremors-dinoialtri.

Queste animalesche macchine da guerra sono al centro dell’esperienza di gioco: la loro esistenza ha un ruolo fondamentale nello svolgimento della trama e il loop di gameplay fa interamente perno su di esse. Vai a caccia, ottieni componenti, migliora l’equipaggiamento e di nuovo si torna a cacciare. Andando avanti nella storia ed esplorando nuove aree dell’enorme mappa di gioco, si incontrano macchine sempre più difficili da annientare e che richiedono l’utilizzo di specifiche armi per un approccio ottimale. Nonostante l’esplorazione del mondo di gioco sia una componente molto forte di Horizon: Zero Dawn, la caccia (e di conseguenza il combattimento) fa da perno alle azioni del giocatore.

Provando a riflettere un po’ su come i vari sistemi di gioco vanno a connettersi tra di loro, mi è venuto spontaneo soffermarmi sul ruolo degli animali nel gioco. Il modo in cui animali selvatici e macchine esistono e coesistono nel mondo di Horizon: Zero Dawn è tutt’altro che unico: la loro presenza è unicamente funzionale all’esistenza del giocatore. Lo stesso si può spesso dire di qualsiasi aspetto di un gioco, ma soffermarmi nello specifico sulla natura e su come questa si presenta al giocatore è a mio parere interessante.

Realizzare un mondo virtuale in cui immergersi e potersi meravigliosamente perdere significa creare un sistema che sia arricchito da sotto-sistemi potenzialmente indipendenti, che non abbiano necessariamente una diretta correlazione con il giocatore. Se andiamo ad analizzare nello specifico i vari ecosistemi di Horizon: Zero Dawn, questo significa anche arricchire il mondo con intelligenze artificiali che siano autonome e per certi versi senzienti. Andando ad osservare gli animali selvatici del gioco Guerrilla, questi interagiscono tra di loro in modo sostanzialmente insignificante: non hanno routine complesse e non svolgono attività specifiche. Unica regola del mondo di gioco, che rende la loro esistenza più interessante, è la loro geolocazione: gli algoritmi che generano il mondo di gioco dispongono diversi animali in base alla loro prossimità d’acqua, e questa regola di generazione conferisce, seppur in modo parecchio limitato, un certo senso di autonomia agli animali. Non li vediamo però mai nutrirsi, migrare, riprodursi, proteggere la prole. Gli animali selvatici, in Horizon: Zero Dawn (così come in parecchi altri giochi), esistono unicamente allo scopo di essere fonte di risorsa del giocatore. Tutto l’equipaggiamento di Aloy è in purissima pelle di [animale selvatico X] e l’unico modo per potenziare la propria bisaccia e la propria faretra consiste, ovviamente, nel far fuori questi animali. Il tutto funziona benissimo dal punto di vista della coerenza del mondo di gioco, visto che la caccia è l’attività predominante delle varie tribu di Horizon: Zero Dawn, ma il fatto che quello sia il loro unico ruolo nel macroscopico sistema di gioco è decisamente limitante, se si vuole creare l’impressione di trovarsi in un mondo vivo e complesso.

Gli animali selvatici hanno probabilmente (e comprensibilmente) ottenuto un ruolo minore per poter enfatizzare quello delle macchine. Anche in questo caso, però, il gioco non si spinge mai nel voler creare un vero e proprio ecosistema non-funzionale. É vero che le macchine hanno interazioni per certi versi più complesse (ogni tanto le vediamo combattere tra di loro) ma queste non fanno altro che supportare un determinato elemento di gameplay, di cui può comodamente far uso il giocatore: hackera una bestia e questa combatterà per te. Anche le cavalcature sono frutto di un hackeraggio delle macchine e i mastodontici tall-neck vengono castrati da routine circolari, per spingere il giocatore a sbloccare nuove aree della mappa. In sostanza, gli animali non sono altro che veicolo di gameplay. Ho vissuto un’esperienza simile giocando a Rise of the Tomb Raider, altro gioco in cui mi ha quasi infastidito la necessità di rendere gli animali selvatici elemento richiesto per la sopravvivenza di Lara (quando nemmeno c’è una vera componente survival nel gioco). Queste povere bestie stanno tranquille per i fatti loro e, al contrario dei vari soldati che passano il loro tempo a lanciarmi granate, non hanno fatto nulla di male. Tranne quella bestia di un orso schifoso che ha provato a divorarmi. R.I.P. orso schifoso.

Ma tornando ad Horizon: Zero Dawn, il vero peccato sta nel fatto che nel lore del gioco viene evidenziato come esistessero anche macchine addomesticate che vivevano in armonia con gli uomini. Di queste, purtroppo, non c’è traccia da nessuna parte. Quanto sarebbe stato bello vedere robo-galline vagare per i campi o gatti di latta passeggiare nei vicoli dei villaggi? E quanto sarebbe stato più bello poter avere interazioni pacifiche con gli animali robotici e selvatici? Scalare montagne e vedere uccellacci robotici che semplicemente migrano da un’area della mappa all’altra, piuttosto che assumere ruolo di vedetta e potenziale preda/predatore. Momenti scriptati come quelli realizzati da Naughty Dog (prima le giraffe, poi gli elefantini) sono un esempio di come la wildlife possa arricchire l’esperienza del giocatore, senza necessariamente diventare pedina del giocatore stesso. Dare la possibilità a chi ha il pad in mano di esplorare un mondo e cercare di capire le regole che lo governano (un po’ come accadeva nel ben più ridotto mondo low-poly di Proteus) non farebbe altro che amplificare un certo senso di complessità e unicità del micro e macro cosmo che non ho purtroppo percepito in Horizon: Zero Dawn.

Troppo spesso, nei giochi open world gli animali non sono attori veri, indipendenti; al contrario, hanno quasi sempre un ruolo non unicamente ludico. Altro non sono, purtroppo, che sistemi di risorsa al servizio del giocatore. Bisogna dare vita e autonomia alle bestie che abitano i nostri mondi virtuali e provare a scollegarsi dalla visione “ludens-centrica” del game design, affinché si possano creare, offrire e vivere momenti di meraviglia e stupore durante l’esplorazione della natura. Horizon: Zero Dawn ha versi, ma non ha poesia.

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Questo articolo fa parte della Cover Story "I (nostri) migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.

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