I giapponesi amano i loro treni almeno quanto io amo Densha de Go!
Per capire il livello di ossessione che i giapponesi hanno per i loro mezzi di trasporto pubblici su rotaie, basta entrare in uno qualsiasi dei negozi di souvenir che si trovano dentro le stazioni delle metro di Tokyo. Uno qualsiasi, non importa quale, che sia un negozio brandizzato Pokémon oppure Sanrio (il colosso di Hello Kitty, Gudetama e compagnia cantante), troverete in ogni caso una marea di pupazzi di Pikachu ferrotranviere, Hello Kitty capostazione, calzini a forma di shinkansen – il famoso bullet train ad alta velocità –, portachiavi con carrozze di tutti i tipi, trenini in miniatura che si muovono su binarietti precisissimi, portafogli a forma di vagoni della metro, treni antropomorfi e scatoline che, quando aperte, sputano fuori i jingle delle stazioni. Sì, perché anche questa è da raccontare: ogni stazione ha il suo jingle musicale che vi accoglie all’arrivo. Sono per la maggior parte composti da Minoru Mukaiya, autore di oltre duecento melodie sparate fuori migliaia di volte ogni santo giorno che il signore manda in terra, in tutto il Giappone. Questo lo rende, tecnicamente, uno dei musicisti più suonati al mondo.
C’è anche dell’altro, sì. Tale è l’amore per i treni e le metro in Giappone, che una delle storie romantiche più famose in patria, ovvero Densha Otoko (il ragazzo del treno), racconta proprio la storia d’amore nata tra un otaku e una ragazza a bordo di un vagone. Oltre che simbolo dell’amore, i treni giapponesi sono anche da sempre simbolo di una tecnologia quasi futuristica, e di assoluta efficienza. Capaci di fungere da allegoria per un popolo precisissimo, questi cazzo di treni spaccano il secondo e, se sei in ritardo di un solo minuto, ti lasciano a piedi. Quando arrivano in stazione, una squadra di signore e signori con mascherina e grembiule salgono a bordo per pulirli a fondo, armati di piccole aspirapolveri capaci di succhiare ogni granello di sporcizia, e poi girano i sedili – che sono basculanti – per allinearli alla direzione del viaggio.
E le metro? Sono silenziose come templi e, a volte, altrettanto sacre. Mi è capitato di salire su carrozze con il parquet a terra. I giapponesi viaggiano composti, dritti come fusi, con lo sguardo indefinitamente discreto o perso negli schermi dei loro smartphone. C’è sempre qualche turista che si guarda attorno stralunato, sorpreso da quella estrema civiltà, specialmente per chi, come me, viene dalle grandi città caciarone come Roma. I treni giapponesi sono lo specchio di una società il cui massimo traguardo è rendere sopportabili le ore e ore di spostamenti a cui le persone si sottopongono giornalmente.
E poi ci sono le carrozze riservate alle donne, pensate per evitare i chikan – i maniaci che tentano di fotografare sotto le gonne delle studentesse. In Giappone, un paese dove la vergogna è una questione collettiva, si combatte questo fenomeno con pene severe e misure incredibili, come l’obbligo per tutti i cellulari di emettere un suono inconfondibile quando si scattano foto, così da segnalare il gesto. Oppure sono i treni stessi i soggetti degli scatti, visto che è facile trovare moltissime persone sulle banchine, con macchine fotografiche supersoniche, pronti a immortalare l’arrivo dello shinkansen con una devozione negli occhi purissima. Insomma, i giapponesi amano i loro treni e le loro metro. Li amano così tanto che è difficile non restare coinvolti in questo sentimento di ammirazione.
In effetti, quando si torna dal Giappone, una delle cose che ti mancano di più sono proprio i treni e le metro, le musichine che ti abbracciano quando arrivi a destinazione, la cantilena dell’annunciatrice nei vagoni che ti chiede di allontanarti dalle porte in chiusura, o che annuncia l’arrivo presso una stazione. Quel mood indiscriminatamente gioioso di quando sali – e non sei nell’orario di punta, quando anche questi templi del benessere diventano carri bestiame – e ti senti al sicuro. Almeno per me è stato così. Le prime volte che sono rientrato a casa dai miei viaggi a Tokyo, ho passato una quantità di tempo vergognosa attaccato alle playlist di YouTube a guardare video in 4K del sistema ferroviario tokyense, solo per riascoltare i jingle, i “door ga shimarimas, go chui kudasai” (le porte si stanno chiudendo, fate attenzione), i “mamonaku” (stiamo per arrivare…) e quel silenzio d’oro, cadenzato da tutti i rumori cigolanti del vagone che procede senza intoppi. Me li mettevo in sottofondo, come se fossi seduto sul morbido sedile in tessuto, guardando passare un’umanità consumata dal lavoro eppure dignitosissima, capace di ricaricarsi nello spazio sicuro dei treni.
Li ho amati, questi treni, al punto che quando ho scoperto che i giapponesi hanno creato una longeva serie di simulatori ferroviari mai uscita dal giappone, ho cominciato a cercarla spasmodicamente. L’ho trovata, nella sua ultima incarnazione, a un prezzo folle, sul PlayStation Store giapponese. Parliamo ovviamente di Densha de Go! e, in particolare, di Densha de Go! Hashirō Yamanote-sen per PlayStation 4.
Ma cos’è che fai in un videogioco di treni giapponesi che non bisogna nemmeno guidare? È chiaro che per apprezzare Densha de Go! devi essere un po’ matto. Il pad diventa il cruscotto del mezzo e si devono muovere leve, tergicristalli, fari e clacson. Ed è tutto qui. In realtà, al di là della relativa semplicità di quando lo si descrive, il videogioco è un inferno per due motivi: il primo è che al livello di difficoltà più alto sembra un rhythm game, visto che ogni secondo bisogna intervenire per sistemare una piccola cosa, accelerare, rispettare i limiti di velocità o segnalare il passaggio del treno: l’altro è che dovrete sempre sottostare agli strettissimi standard di efficienza giapponese, sia per quanto riguarda il tempo che lo spazio. Se il treno dovrà arrivare tra quattro minuti, non esiste che arriviate dopo, figuratevi prima. Dovrete fermarvi davanti alla banchina spaccando il secondo. E il centimetro. Gli indicatori più importanti del gioco sono questi, anche perché sono quelli che vi assegneranno un punteggio e quindi decreteranno se avrete superato il livello oppure no. La vostra corsa deve essere perfetta: la velocità con cui entrate in stazione, il modo in cui usate il freno (troppo bruscamente e finirete per buttare i passeggeri in terra, e allora addio bei ricordi delle metro giapponesi), il momento esatto in cui cominciare a scalare la velocità, l’allineamento delle porte con le uscite della banchina. Tutto. Deve. Essere. Perfetto.
Nel frattempo, mentre il treno è in movimento, vi godrete lo skyline giapponese, ma soprattutto le voci confortanti degli speaker che sottolineano ogni azione come un mantra. L’unico difetto di questa versione è che mancano i jingle ufficiali delle stazioni per una questione di diritti che francamente non ho capito. Certo, significa rinunciare a tanto nell’esperienza sinestetica di questo pazzo simulatore di treni, ma nel frattempo potete gustarvi la riproposizione fedele di tutte le stazioni, e i suoni rilassanti delle ruote che divorano chilometri di rotaie, sobbalzando dolcemente.
È un gioco complesso, Densha de Go!, non fosse altro per il fatto che non ha uno straccio di traduzione in inglese, e quindi bisogna conoscere il giapponese oppure scaricare una delle tantissime guide comprensibili del gioco. Nulla che sia realmente un ostacolo dal momento che il videogioco si fonda su una serie di gesti e comandi ben precisi che si ripetono nel tempo, le cui indicazioni si imparano in fretta. Ma se siete stati in Giappone e volete un’efficiente macchina dei ricordi, Densha de Go! è un’esperienza fenomenale. Una dolce carezza su occhi e orecchie, col sedere poggiato sul morbido sedile di un treno giapponese. In silenzio e al sicuro.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai "Momenti memorabili", che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.