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Aladdin, A XXX Parody

Aladdin, A XXX Parody

Metto subito le mani avanti: ho fatto una fatica della madonna a inquadrare questo nuovo Aladdin in live-action, e fino a dieci minuti fa non sapevo bene come scriverne. Oddio, in realtà non lo so nemmeno adesso, solo che ho la consegna tra un’ora e da qualche parte bisognerà pur cominciare, oh.

Fatica della madonna, dicevo, principalmente per la direzione intrapresa da Guy Ritchie, che è diametralmente opposta a quella di Tim Burton. Se l’adattamento di Dumbo, infatti, era una roba quasi completamente avulsa dall’originale animato, Aladdin, al contrario, insegue pedissequamente la struttura, l’estetica e persino le canzoni dell’opera di riferimento: un po’ tipo il Watchmen di Snyder, ma musical.

È anche vero, come mi faceva notare qualche giorno fa il buon Di Romolo, che i classici Disney degli anni Quaranta e Cinquanta erano quasi dei mediometraggi, duravano poco più di un’ora e poggiavano su una scrittura estremamente più asciutta. Volendoli rispolverare oggi, il lavoro di rielaborazione e addizione è quasi obbligatorio, immagino, sia esso poco invasivo, come nel caso della Cenerentola di Branagh, o più rilevante come, appunto, in Dumbo.

I cosiddetti film del rinascimento degli anni Novanta, di contro, oltre ad essere un po’ più lunghi (in media, si assestano sull’ora e mezza), portano avanti delle narrazioni contestualmente più complesse, già tagliate per gli standard cinematografici di oggi e belle che disposte, volendo, alla semplice “rimasterizzazione”. Eh, beh, evidentemente Guy Ritchie e compagnia volevano, oppure dovevano, vai a sapere. Resta che qui siamo un po’ oltre la faccenda del “In fondo l’umanità si racconta sempre le stesse storie, eccetera eccetera”. Qui siamo nel campo da gioco dello scimmiottamento, e per buona parte della visione, mi sono interrogato non tanto sulla liceità dell’operazione, quanto piuttosto sulla sua necessità.

Aladdin e Jasmine non sono male, al netto dell'effetto cosplay.

Me lo sono chiesto davanti alla Caverna delle meraviglie, oppure attraversando le strade di Agrabah, praticamente le versione 1:1 di quella animate. Ancora, durante l’entrata in scena dei protagonisti interpretati da Mena Massoud e Naomi Scott, che nonostante siano pure bravini, in particolare lei, non riescono mai a schiodarsi di dosso l’effetto cosplay, mentre il genio di Will Smith è talmente camp da andare a braccetto con alcune celebri “XXX Parody”. Soprattutto quella dei puffi, dato il colore.

A emergere un pochino sono l’ancella della regina (Nasim Pedrad), che serve la storia d’amore parallela come facevano certe maschere della Commedia dell’arte, e lo Jafar interpreto da Marwan Kenzari che, nonostante non sia un mostro di carisma, azzarda perlomeno una rilettura interessante del personaggio, facendone un negativo di Aladdin.

La caratterizzazione di Jafar è sul classico “Io ti conosco, vengo dalla strada come te” e via dicendo.

Per il resto, siamo davvero davanti a un compitino poco coraggioso, da sufficienza tirata. Aladdin è sicuramente un film costruito con mestiere - ché Ritchie a me non dispiace nemmeno quando si impegna per fare male - con una buona colonna sonora e qualche coreografia azzeccata. Tuttavia, se avete già visto l’originale del 1992, probabilmente passerete buona parte della proiezione a pensare “Oh, guarda, è quasi uguale”, tipo Bohemian Rhapsody (e magari la cosa potrebbe pure piacervi, vai a sapere). Se invece non lo avete visto, però, tanto vale recuperare direttamente quello e bon.

Ho avuto la possibilità di guardare Aladdin in anteprima grazie a una proiezione stampa alla quale siamo stati gentilmente invitati. L’ho visto - più che altro ascoltato - in italiano, con le canzoni interpretate (bene) da Manuel Meli, Naomi Rivieccio e Marco Manca. Ah, tra le voci c’è pure quella di Proietti, che nel 1992 doppiava il genio mentre qui è stato abbinato al Sultano. Ah, l’età!

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