Post Mortem #44: Le origini di Civilization
Post Mortem è una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori sull’esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.
Fra le rosicate più grosse della Game Developers Conference 2017, ci fu quella mattina in cui ci svegliammo tardi, il ginocchio fece contatto col gomito, Camilleri e Dellepiane ci fecero perdere tempo, c’era traffico, pioveva, il cane mi aveva mangiato i compiti e insomma, io e Fabio arrivammo tardi al Moscone Center e il Classic Post Mortem di Civilization registrava il tutto esaurito. Non mi è capitato spesso di rimanere chiuso fuori dalle stanze della GDC, ma quando mi è capitato, beh, ho sempre sofferto. Ricordo ancora con affetto la prima volta, alla mia prima GDC, nel lontano 2009, per il post mortem di Crayon Physics Deluxe. Ah, altri tempi… Ma non divaghiamo, che tanto ho recuperato su internet.
Dicevamo, alla GDC 2017 si sono presentati i mitici Sid Meier e Bruce Shelley, i co-creatori di Civilization, per chiacchierare dell’esperienza di sviluppo di quel gioco così fondamentale, appoggiandosi sul senno di poi dato dai venticinque anni di successi trascorsi nel frattempo. All’epoca, si parla del 1990, i due erano giovani e audaci, pronti a lanciarsi in un progetto a dir poco ambizioso. L’idea era di provare a comprimere l’intera storia della civiltà in un singolo gioco, e non solo la “vera” storia della civiltà, no, volevano infilarci qualsiasi possibile storia della civiltà. Avevano appena pubblicato Railroad Tycoon, arrivavano anche da Pirates! (“Uno dei primi open world!”) e stavano lavorando su Covert Action. Erano giovani e onnipotenti, pensavano di poter fare tutto. Anche infilare seimila anni di storia in appena 640K di memoria.
Entrambi erano degli appassionati di storia ed erano molto intrigati da tutto l’aspetto che faceva da sfondo ai wargame. Inoltre, si erano divertiti parecchio a sviluppare Railroad Tycoon, un gioco in cui avevi un controllo da divinità, potevi gestire tutto in maniera creativa e raccontare storie diverse ad ogni partita grazie all’interazione fra i sistemi. Già allora, il motto di Sid Meier sul creare giochi che proponessero una serie di decisioni interessanti dominava il suo lavoro. Insomma, volevano creare una nuova variante sul modello dei “god game” e incentrarla sullo sviluppo dell’intera civiltà umana, beh, sarebbe stata forse la massima espressione di quel modello. I due si divertivano a sparare idee anche un po’ a caso e Sid, fra l’altro, cazzeggiava con quelle idee sviluppando continuamente prototipi che accumulava sul suo computer.
Tra le fonti d’ispirazione che Meier e Shelley si sentono in dovere di menzionare c’è Empire, un wargame ideato negli anni Settanta da Walter Bright e Mark Baldwin, apparso su una quantità notevole di computer. Entrambi lo apprezzavano parecchio e Sid chiese a Bruce di trovare dieci cose che avrebbe voluto cambiare o migliorare in quel gioco: ne trovò dodici. Meier si mise al lavoro e dopo un po’ consegnò a Shelley un dischetto, che conteneva sostanzialmente la prima versione giocabile di Civilization (“Ce l’ho ancora! Non ho conservato quella di Railroad Tycoon, purtroppo.”). Ma tra le fonti d’ispirazione c’erano anche SimCity, il capolavoro di Will Wright pubblicato nel 1989, e un boardgame chiamato proprio Civilization (“Di sicuro sapevamo cosa rubare dagli altri giochi.”). Tutte queste idee, tutti questi spunti, vennero mescolati assieme inseguendo un’idea di base, un tema che sicuramente era molto azzeccato, adatto a quelle idee di gioco e incredibilmente forte nel colpire l’immaginario popolare.
“Quando inizi a lavorare su un videogioco, potenzialmente ti rivolgi a tutti quelli che possiedono la piattaforma per cui lo sviluppi, ma quando scegli il tema, beh, restringi il campo. Utilizzare come tema la civiltà umana, però, mantiene il target molto ampio. È un tema forte, interessante per chiunque.”
È, però, anche un tema complesso da affrontare, perché vasto, enorme. Per Meier e Shelley funzionò molto bene la decisione di partire in piccolo. Un tema così ampio può intimidire il giocatore, certo, ma se fai iniziare la partita da un piccolo insediamento, per poi far crescere la situazione con una città, un popolo e via dicendo, le cose si fanno più accessibili. C’era una vera e propria “piramide decisionale capovolta”: all’inizio hai poco, puoi fare pochissimo, ma mano a mano che procedi, le opportunità si moltiplicano. Inoltre, col senno di poi, i due trovano affascinantissimo quel mix di umorismo e serietà estrema, che funzionò in effetti molto bene per rendere il tutto meno intimidatorio. Non solo: la decisione di inserire la Civilopedia fu un’altra grande idea, perché trasmetteva la sensazione di essere di fronte a un gioco profondo, importante, a cui potessero giocare tanto i bambini quanto i genitori. E ancora, furono molto bravi nel comunicare costantemente al giocatore quanto si stesse comportando bene, con le parate, le notizie e vari tipi di feedback. Cercarono di rendere tutto il più chiaro possibile, per esempio anche nelle fasi di combattimento, con ciascuna unità caratterizzata da fattori, numeri, messi bene in evidenza, leggibili. Non doveva essere necessario perdere tempo cercando di decifrare il sistema, era tutto comprensibile e lo sforzo mentale verteva sul decidere come utilizzarlo.
In un gioco tanto complesso, la leggibilità era importantissima.
I due andarono avanti a lungo gettando carne sul fuoco, cercando di capire bene cosa fare, e ci misero un bel po’, prima di cominciare a sviluppare sul serio il gioco. D’altra parte, iniziavano da una base concreta: già il primissimo prototipo era molto divertente, quindi erano convinti di essere sulla strada giusta. E in fondo, il taglio umoristico è un po’ una testimonianza di quanto fossero indecisi sulla via da seguire, su quanto i giocatori avrebbero preso sul serio il gioco. Non è forse un caso se la serie abbandonò poi mano a mano quell’impostazione.
In tutto questo, c’era un problema che oggi pare ovvio ma a cui inizialmente non avevano pensato: non potevamo intitolare il gioco Civilization. Era il nome in codice che usavano internamente, ma davano per scontato che non sarebbe potuto essere il titolo ufficiale, perché esisteva appunto il boardgame omonimo, oltretutto pubblicato da Avalon Hill, che pubblicava videogiochi. Era la concorrenza, insomma. Provarono a inventarsi altri nomi (“Call to Power, Rise of Nations, Age of Empires… ”, dicono i due, non si sa quanto seriamente) ma Civilization sembrava davvero l’unico appropriato. Per fortuna riuscirono a trovare un accordo con Avalon Hill, che del resto stava abbandonando il mercato dei computer. E fu un bene, perché era un titolo davvero perfetto, che creava un’immagine forte ed immediata. A margine, va comunque detto che il Civilization videoludico non duplicava assolutamente il boardgame, limitato a un’area geografica e un’epoca molto specifiche. Però, poter utilizzare quel titolo fu comunque una gran vittoria.
In maniera quasi poetica, tra l’altro, negli anni Novanta venne messo in vendita il boardgame ispirato al videogioco, secondo Meier interessante per come si incentrava sul multiplayer e sulla componente sociale.
La percezione classica di Civilization nell’immaginario collettivo dei videogiocatori, è quella di un gioco a turni. “Ne faccio un altro e poi smetto… oddio, un altro… oddio, non riesco a smettere.” Ma la prima versione, quella del dischetto, era in stile SimCity. Solo quando i due decisero di passare ai turni, solo allora, le cose iniziarono a funzionare davvero e il gioco iniziò a diventare Civilization. Del resto, con quella struttura e quelle meccaniche, serviva tempo per valutare davvero quello che si stava facendo. Il bello di Civilization, spiega Sid Meier, sta nel fatto che ragioni sempre in ottica futura. E ti scatta l’ansia da “Un altro turno e poi smetto”. Venne anche inserito un sistema di replay per dare al giocatore una buona idea su cosa aveva fatto. C'erano grossi limiti tecnici, ma faceva il suo dovere alla grande.
Successivamente, Shelley andò a sviluppare Age of Empires, che è un gioco in tempo reale e, secondo Meier, è proprio in quello – oltre che sul suo focalizzarsi su un periodo specifico – che si differenziano davvero i due titoli. Poi, certo, Age of Empires è successivo di diversi anni, durante i quali erano usciti Command and Conquer e Warcraft, quindi l’idea di un Civilization in tempo reale era anche figlia dei tempi. Ma tant’è, una partita di Age of Empires poteva durare anche un’ora, mentre una a Civilization, beh… E del resto, non si può giocare per venti ore consecutive a un RTS, è troppo intenso, ma allo stesso tempo è dura trarre soddisfazione in venti minuti di gioco a turni.
Però, all’epoca, confessa Meier, non si rendevano conto di quanto fosse importante quella scelta di design, quanto sarebbe stato decisivo l’effetto di assuefazione. L’idea nasceva solo dal desiderio di coinvolgere il giocatore e dare il tempo di riflettere sulle decisioni da prendere. Chiaramente, da lì nacquero poi a catena tante altre scelte di design. Fra l’altro, potrebbe venire spontaneo pensare che la decisione di optare per i turni fosse figlia del background da giocatori di wargame dei due, ma in realtà, spiegano, all’epoca i wargame erano una nicchia molto ridotta e di certo non potevi basare su quello una scelta mirata all’accontentare più pubblico possibile. L’ironia sta nel fatto che un paio d’anni dopo il genere esplose.
Un aspetto che stupì abbastanza la coppia fu la reazione al comportamento di Gandhi nel gioco. Come leader, non era assolutamente programmato per comportarsi in maniera più aggressiva rispetto agli altri, ma siccome un Gandhi guerrafondaio era completamente fuori dal personaggio, la gente ne rimaneva molto colpita. Ed era una cosa importante, perché aiutava a far capire che Civilization non riproduceva la storia, permetteva di giocarci. In questo senso va inquadrata anche la natura dell’elemento storico inserito nel gioco: il lavoro di ricerca venne fatto su libri per bambini (da lì arriva l’idea di usare tante illustrazioni), al fine di proporre concetti semplici, familiari, leggibili, che facessero sentire a proprio agio senza smettere di essere interessanti. Civilization doveva essere un gioco accessibile, in cui divertirsi nel ruolo di una specie di dio ma allo stesso tempo un leader umano, che interagisce con i grandi condottieri del passato.
Dal punto di vista tecnologico, chiaramente, era un’altra epoca, con mezzi molto ridotti e ambizioni basse. Ma da un certo punto di vista, spiegano i due, questo fu un vantaggio, perché permetteva di concentrarsi sul game design e lasciare spazio all’immaginazione del giocatore. Era dura accalappiare i giocatori con la potenza grafica, bisognava tirar fuori giochi davvero interessanti, ma il rovescio della medaglia è che sviluppare un capolavoro complesso come Civilization costava relativamente poco e poteva richiedere anche solo un anno. Poi sarebbero arrivate le schede VGA e sarebbe cambiato tutto. Shelley ricorda bene che il suo primo gioco aveva appena quattro colori. Molti meno di quanti avrebbero iniziato a usarne negli anni Novanta (o di quanti se ne usino oggi). Per fare un esempio, Railroad Tycoon, nel 1989, costò centosessantasettemila dollari. Civilization non andò particolarmente lontano, come budget. Oggi, con quei soldi, non ci paghi un programmatore di alto livello per un anno.
Un aspetto interessante del design di Civilization, dice Meier, è nella tensione fra le sue due componenti principali. Da una parte, la visione del mondo basata sul grande leader che costruisce, esplora, governa, dall'altra un sistema di combattimento molto dettagliato. Sono due ambiti che vanno in contrasto, creando una tensione. E la presenza di un sistema di combattimento, fra l'altro, diede all'epoca vita a una fra le controversie più buffe, nata dal fatto che nel gioco poteva capitare che un lanciere sconfiggesse una nave da guerra. Non capitava sempre, era molto raro ma poteva accadere, semplicemente perché era un risultato possibile sulla base delle meccaniche. Le battaglie erano basate sul semplice confronto fra i numeri, due per un lanciere e sedici per una nave da guerra. Quindi, la vittoria dello sfavorito, per così dire, poteva verificarsi. Solo che, esattamente come per la faccenda di Ghandi, una cosa rarissima, ma così particolare, colpiva e i giocatori la prendevano come norma, la giudicavano un'assurdità e si incazzavano. Bruce, fra l'altro, aveva sollevato la questione durante lo sviluppo, ma Sid riuscì a imporre la sua visione. “In fondo, è come con gli scacchi: la pedina può uccidere la regina. Non importa, è un gioco, non un documentario. Certo, poi spiegalo ai giocatori.”
Negli anni e coi diversi seguiti, il sistema di combattimento venne poi fatto evolvere in molti modi, per esempio cambiando la gestione della mappa o passando all'utilizzo di una singola unità per esagono e, sul tema della controversia in questione, aggiungendo i punti ferita e i turni di battaglia. Nel gioco originale, tra l'altro, inserirono (sbagliando, secondo Meier) l'idea delle zone di controllo, presa di peso dal mondo dei wargame, provando a fare in modo che si creassero linee di unità, secondo un'idea di battaglia tipica della Seconda Guerra Mondiale. Ma i giocatori si limitarono ad ammassare unità e muoverle tutte assieme. Detto questo, il sistema funzionò: era semplice e funzionava permettendo di concentrarsi anche sul resto.
Un'altra idea fondamentale di Civilization che oggi sembra ovvia ma all'epoca non lo era fu quella dell'albero della tecnologia. Meier non si ricorda nemmeno di preciso come nacque, anche se ha ben chiara la memoria di un libro che conteneva la cronologia della storia umana, organizzata sulla base dei vari eventi, legati alle diverse epoche. Forse, l'idea del tech tree, con gli sviluppi collegati fra di loro, venne da lì. In generale, oltre ad essere un'idea molto funzionale, era tematicamente perfetta per il gioco, che non era solo un wargame ma poneva grande enfasi sull'aspetto scientifico, utilizzandolo anche come possibile condizione di vittoria finale.
In questo ambito, parte del lavoro di ricerca si focalizzò sul decidere quali fossero le tecnologie importanti da sviluppare, alcune molto ovvie, altre molto meno, ma che dovevano avere cambiato il mondo, anche se magari solo per un breve periodo di tempo. A tal proposito è interessante anche capire come sia cambiata la visione delle cose fra i tempi in cui svilupparono il primo Civilization e gli anni successivi. Col passare del tempo, per esempio, si resero conto che la gente analizzava a fondo il tech tree per capire di preciso cosa servisse per ottenere ciò che volevano, come fare per arrivare, ad esempio, alla polvere da sparo. In pratica, i giocatori fecero ingegneria inversa sul tech tree. Ma era esattamente il contrario dell'idea originale di Sid Meier.
Nel primo Civilization, per esempio, poteva capitare che avessi i requisiti per la creazione della polvere da sparo ma non si rendesse comunque disponibile la scelta. L'idea, all'interno della simulazione, è che all'epoca non sapevano di “dover” inventare la polvere da sparo. Stavano esplorando le opportunità scientifiche e non era detto che ci avrebbero pensato. Ma la gente, di nuovo, si incazzò. Il fatto è che Meier e Shelley non si aspettavano quel livello di gioco, di impegno intenso e analitico, da parte dei giocatori. Tant'è che nei Civilization successivi ne tennero conto. In alcuni giochi, addirittura, si vedono indicazioni tipo “Se vuoi la polvere da sparo, sviluppa questo ramo dell'albero della tecnologia”. Meier lo trova sbagliato ma, ehi, che ci dobbiamo fare? Il fatto, spiega Meier, è che secondo lui questo approccio così analitico e meccanico toglie un po' di gusto all'esperienza. Gli piacciono i giochi che lo sorprendono e lo sfidano. L'idea, in Civilization, era di sfruttare la casualità per garantire rigiocabilità e profondità. Da lì anche l'idea delle mappe generate casualmente, che piace molto a Shelley “Altrimenti finisce come in Starcraft, dove se sposto la tal cosa di un pixel nella posizione giusta, so che non perderò mai.”
Ma insomma, ognuno hai suoi gusti.
Un'altra componente fondamentale di Civilization fu quella delle meraviglie. La storia, spiega Meier, è piena di cose meravigliose che si possono sfruttare e l'idea venne praticamente senza sforzo: il concetto di cose che solo una civilizzazione poteva costruire e che ti avrebbe garantito dei vantaggi, del prestigio e via dicendo, offrendo oltretutto, sul piano extradiegetico, una connessione a cose conosciute da chiunque. Per un giocatore, mirare alla costruzione della grande muraglia era emozionante.
Ma al fianco di tutte queste grandi idee e di tutti questi bersagli centrati, Civilization conteneva anche grossi errori. Per esempio, ammettono i due, non presero nemmeno in considerazione l'idea dei mod, poi introdotti da Brian Reynolds a partire da Civilization II e diventati fondamentali per la serie. Ma all'epoca non pensavano proprio che qualcuno potesse mettersi a crearne. Forse c'era anche un pizzico di arroganza, la convinzione che nessuno sarebbe stato alla loro altezza. E invece, quando vennero introdotti, i mod ampliarono ulteriormente il target del gioco. Fra l'altro, molti game designer hanno iniziato proprio creando mod per Civilization. Fatto sta che, ai tempi del primo episodio, la stragrande maggioranza dei suggerimenti arrivati dai giocatori vertevano sulla richiesta di opzioni per i mod.
Come spesso capitava all'epoca, un pezzo importantissimo dell'esperienza venne dal manuale, creato da Bruce. Era un bel mattone, che dava al gioco un tono importante, lo faceva sembrare qualcosa di maturo, intelligente, da mostrare agli amici. Non erano solo istruzioni, c'erano molte informazioni di background, curiosità storiche, perfino letture consigliate. Poi, certo, come detto, dare importanza al manuale non fu certo un'invenzione di Civilization, anzi, lo si faceva spesso, talvolta anche per dare l'impressione di giochi meno limitati di quanto non fossero effettivamente.
Tra l'altro, a proposito di documentazione storica, nel creare il gioco, i due decisero coscientemente di trascurare molti elementi della realtà che non volevano includere. Lo schiavismo, la peste, le guerre religiose e altro ancora fanno parte della storia ma, secondo loro, non avrebbero aggiunto nulla al gioco. L'idea era di far divertire la gente, non di fare i professori. Poi, certo, Civilization è un gioco da cui puoi imparare, ma rimane un gioco, quindi magari, più che usarlo per insegnare, è importante usarlo per stimolare all'apprendimento, per far incuriosire e spingere a documentarsi altrove.
Al di là di questo, nonostante il tema a cui puntarono in partenza fosse quello dell'ascesa e della caduta della civiltà, durante le fasi di playtesting si resero conto che la gente, di fatto, si divertiva con l'ascesa. La peste o altre calamità potevano teoricamente essere interessanti da affrontare e superare, ma i giocatori si limitavano a caricare il salvataggio per evitarle. E in effetti, in questo senso, avevano anche tratto insegnamento da Railroad Tycoon, che includeva elementi casuali come le inondazioni: scoraggiavano e basta. Per questo, nei pochi casi in cui Civilization proponeva eventi simili, offriva anche metodi chiari per cavarsela. C'erano le inondazioni, ma potevi difenderti semplicemente costruendo mura. Era importante offrire soluzioni.
Con il filmato introduttivo, i due volevano spingere fin dal primo istante la sensazione di un gioco importante. Si iniziava da lì e funzionava, generava la sensazione di un'esperienza diversa rispetto a quella offerta dagli altri giochi. Sembrava un qualcosa di importante, di significativo, che ti avrebbe parlato del funzionamento del mondo, che ti permetteva di prendere il controllo di un momento fondamentale e ti permetteva di raccontare la tua storia. Volevano davvero convincere il giocatore che si trattasse di un gioco importante ma “certo non ci aspettavamo che venticinque anni dopo ci saremmo ritrovati a parlarne su un palco.”
Bruce, però, era convinto che sarebbe stato un grande gioco. Il mondo non sapeva che, in una cittadina di provincia, due ragazzi stavano sviluppando un videogioco che avrebbe appassionato il mondo intero. Era gasatissimo. Era talmente convinto della bontà di Civilization, che sarebbe stato contento di svilupparlo anche se non fosse stato un lavoro con cui mantenersi, anche se fosse stato un hobby a tempo perso e il suo lavoro fosse stato tutt'altro. Sid non era altrettanto convinto. Era contento ma temeva che non avrebbe funzionato. Quindi, insomma, quando arrivò il successo, la soddisfazione fu enorme.
Prima di arrivare alla pubblicazione sui suoi bei otto dischetti da cinque pollici, però, bisognò passare da una fase di testing problematica. Oltre a Meier e Shelley, al lavoro su Civilization si misero cinque tester. Ma all'epoca, il testing intensivo non era la norma, non era organizzato come oggi, e spesso sfuggivano cose. Civilization era un gioco solido ma vennero individuate un paio di problematiche. La prima: se si costruivano tante città, era molto più facile vincere. La corruzione venne aggiunta proprio per bilanciare questo aspetto. La seconda: i carri erano troppo potenti rispetto a quello che costavano e permettevano davvero di conquistare il mondo. Ma insomma, bastò modificare una variabile per sistemare questa cosa. Del resto, ehi, all'epoca non esistevano mica le patch del day one, bisognava stare attenti.
Insomma, Civilization raccontava lo sviluppo della civiltà umana, sfruttando delle figure storiche riconoscibili per garantire l'immedesimazione e dando loro personalità e abilità per rendere il gioco più vario. Venne portato avanti un lavoro di ricerca approfondito per selezionare e caratterizzare al meglio le civiltà e gli imperi più grandi e significativi. Come detto, bisognò anche fare delle scelte su cosa includere. Per esempio, erano dubbiosi sul voler inserire o meno le religioni e cercarono di stare molto attenti. Nel primo Civilization, si trattava di un sistema molto semplice, basato sulla costruzione di templi e cattedrali per generare felicità. Nei seguiti, questo aspetto venne ampliato, ma sempre cercando di evitare posizioni chiare su quali fossero le religioni migliori. L'idea fondamentale di Civilization, infatti, consiste nel non cercare di imporre una visione su cosa sia giusto o sbagliato. Quando il designer fa una cosa del genere, spiega Meier, toglie iniziativa al giocatore. E non va bene. Devi poter esplorare il tuo punto di vista e optare a piacere fra l'approccio diplomatico, quello militare, le religioni, le culture e via dicendo.
Il valore educativo del gioco, poi, era sicuramente molto apprezzato. Nel tempo è andato un po' perduto, perché negli episodi successivi si è deciso di dare più spazio alla componente ludica e mettere in secondo piano quella più informativa. Intendiamoci, Meier e Shelley non considerano Civilization un gioco educativo, ma ritenevano che fosse molto importante la sua capacità di insegnare qualcosa. Inoltre, ancora oggi, pensano che il livello di complessità, l'equilibrio fra i sistemi, fosse davvero quello giusto. E infatti, anche nei seguiti, per ogni sistema che eliminavano ne aggiungevano uno a compensare. Ancora oggi, Firaxis, lo studio che porta avanti lo sviluppo della serie, considera il lavoro su Civilization sostanzialmente diviso in tre parti: le meccaniche, i turni, le città, le unità, le meraviglie; prendere idee con cui hanno sperimentato in passato e migliorarle sulla base di quello che hanno imparato; inserire cose nuove.
Il tutto, partendo da una base clamorosa, creata da due geni, che si porta quasi trent'anni sulle spalle.