Racconti dall'ospizio #174: Tra la via Emilia e il West, dietro a uno schermo
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
C’era una volta il west. Ed era fatto di pixel grossi così.
Prima che Rockstar esplorasse nuove frontiere, i confini erano quelli del buon vecchio sparatutto: prendi la mira e scarica il piombo su tutto ciò che si muove. Semplice, lineare, come il western più classico di John Ford, dove i buoni fanno i buoni, i cattivi fanno i cattivi e gli indiani vanno a cavallo coperti di piume, mica le robe tipo Django Unchained e Westworld (che poi si rischia di finire fuori tema).
E questo è un viaggio ragionato per arrivare fino là. Un veloce excursus che non ha la pretesa di essere completo ma solo di indicare le tappe più interessanti che hanno portato ai canoni attuali. È la storia di alcuni pionieri e delle frontiere che hanno cercato di superare tramite un immaginario, quello del western, che ben si adatta a una delle meccaniche più collaudate in ambito videoludico.
Duello 1: diseducativo vs. educativo
Tuttavia, questo viaggio parte da una frontiera molto più ardita, in cui i colpi in canna non sono quelli che ci si potrebbe aspettare… È infatti il 1982 quando viene pubblicato per Atari 2600 il diseducativo (sotto molteplici punti di vista) Custer’s Revenge di Mystique, uno dei primi giochi soft porno a raggiungere una console domestica. Armato solo di una consistente erezione, il comandante che perse la vita nella battaglia di Little Bighorn deve superare una selva di frecce prima di vendicarsi stuprando una nativa americana legata ad un palo. Roba che a John Wayne sarebbe potuto prendere un colpo, se solo non fosse stato già bello che sepolto.
In realtà, uno dei primi esempi a fare la storia del West in formato digitale è stato The Oregon Trail, gioco volutamente educativo per computer, sviluppato nel 1971 per insegnare agli studenti delle elementari la vita dei pionieri del XIX secolo. Nel ruolo di capocomitiva di una carovana del 1848, il giocatore deve guidare un gruppo di coloni da Independence, nel Missouri, alla Willamette Valley dell'Oregon. Scritto in BASIC da Don Rawitsch su un HP 2100 Minicomputer, il gioco venne cancellato alla fine del semestre. Tuttavia, Rawitsch si fece una stampa del codice e tre anni dopo venne riproposto, riveduto e corretto, dal Minnesota Educational Computing Consortium, per la gioia degli studenti più giovani, riscuotendo un grandissimo successo. Un po’ come sarebbe potuto accadere al nostro Gioventù Ribelle, se solo fosse stato un prodotto interessante.
Però, però, però, nella nostra timeline questi due esempi rappresentano solo gli estremi (decisamente inconciliabili, non fosse per il tema di fondo) di un gruppo molto più compatto di esponenti dalle meccaniche tradizionali: sparatutto a scorrimento o con prospettiva centrale. Differenza che si è manifestata soprattutto nel sistema di controllo che, nel secondo caso, specialmente in sala giochi, ricorreva all’impiego di periferiche ad hoc, come carabine e pistole più o meno ancorate al cabinato.
Duello 2: Midway vs. Atari
Uno dei primi esempi è Gun Fight, pubblicato originariamente in Giappone nel 1975 da Taito, con il nome di Western Gun e importato in Nordamerica da Midway. Il gioco vede sfidarsi due pistoleri in duello: sei colpi a testa. Vince chi rimane in vita. Pensato per due giocatori, è il primo titolo della storia a usare un microprocessore e a rappresentare un combattimento tra esseri umani. Come in Robotron, si controllava con due stick, uno per il movimento e uno per la direzione dello sparo. La traiettoria dei proiettili poteva essere interrotta da oggetti come cactus e diligenze posizionate in mezzo allo schermo.
Wow, al punto che Atari, per controbattere il successo di Midway, l’anno seguente pubblicherà Outlaw (da non confondere con la versione al plurale di LucasArts, del 1997), sviluppato da David Crane (l’autore di Pitfall! nonché uno dei tre fondatori di Activision). In questa versione, portata in sala giochi con tanto di pistola ottica da sfoderare dal cabinato, si gioca da soli, a caccia di banditi. Il primo che estrae l’arma e fa fuoco abbatte l’avversario. Il giocatore può scegliere tra due personaggi distinti. Nella variante domestica per Atari 2600, l’uso della light gun è rimpiazzato dal duello in multiplayer con il joystick, e il cerchio si chiude.
E l’interfaccia non ha più la stessa faccia.
Duello 3: Nintendo vs. SEGA
Cambia infatti l’inquadratura che, invece di essere laterale, diventa frontale: è il 1984 e Gunpei Yokoi (che di lì a cinque anni sfornerà il Game Boy) realizza per Nintendo Wild Gunman, subito un successo. Un gioco così famoso all’epoca da comparire in una scena iconica di Ritorno al Futuro Parte II (“Si devono usare le mani?”, “Allora è un gioco da bambini!”). Anche in questo caso, la meccanica è molto semplice e si risolve in una questione di riflessi: il primo pistolero che estrae e prende la mira correttamente vince. La versione per NES usava la Zapper gun.
Ma ancora una volta, il vero duello si combatte tra i colossi dell’intrattenimento digitale. Sempre lo stesso anno di Wild Gunman, infatti, esce in sala giochi Bank Panic di Sega. In questo caso, la modalità prendi la mira e spara è leggermente più articolata. Il giocatore è un pistolero assoldato da una banca e deve fare la spola tra dodici sportelli che si aprono di colpo per rivelare gli ospiti. Non tutti, però, sono intenzionati a depositare i propri soldi e il giocatore deve colpire i banditi prima che questi aprano il fuoco, stando attento contemporaneamente a non sparare ai clienti. La peculiarità è che il gioco non usa una pistola ottica ma solo uno stick per far scrollare le porte a destra e a sinistra e tre pulsanti, che corrispondono ciascuno ad uno degli sportelli inquadrati sullo schermo.
Duello 4: Capcom vs. Konami
È poi la volta di Capcom, che nel 1985 pubblica un altro classico del genere, quel Gun.Smoke (davvero, con il punto in mezzo, per distinguersi dall’omonima serie TV americana) che altro non è che l’ennesimo clone di 1942, quindi uno sparatutto a scorrimento verticale, in cui l’azione avanza senza il volere del giocatore, che può solo spostare avanti e indietro il pistolero e ha tre pulsanti per sparare in diverse direzioni (frontalmente, a destra e a sinistra). Premendo due pulsanti contemporaneamente, è invece possibile sparare in diagonale. Se vi sembra uno schema inutilmente complesso, beh… è perché effettivamente lo è. Al punto che Gun.Smoke rappresenta uno di quei rari casi in cui la versione per console, ragionevolmente semplificata, si rivela l’edizione migliore.
E se è vero che di lì a poco Capcom pubblicherà Commando, ambientato in uno scenario di guerra più contemporaneo, che surclasserà in termini di vendite e di popolarità Gun.Smoke, l’inverso sembrò accadere in casa Konami, che prima pubblicò Green Beret (sempre nel 1985) e l’anno successivo (che purtroppo non significa più successo) arrivò in sala giochi con Iron Horse. In questo caso, l’ambientazione militare cede il posto alla fuga tra i vagoni di un treno ma, se non fosse per la possibilità di spostarsi in profondità, i due titoli potrebbero considerarsi identici in termini di meccaniche, con la pugnalata sostituita da un colpo di frusta.
Duello 5: Sprite vs. Full Motion Video
Cinque anni più tardi, Konami tornerà ad affrontare il western con uno dei migliori esponenti del genere, Sunset Riders. Sparatutto a scorrimento laterale, permette a quattro cowboy molto dandy di affrontare contemporaneamente la curva di difficoltà, eliminando nemici che spuntano da ogni dove, spostandosi per lo scenario come in Rolling Thunder (Namco, 1986). In realtà, il gioco offre moltissima varietà d’azione, dalla corsa sul dorso di tori inferociti alle sfide a cavallo contro locomotive che trainano convogli zeppi di brutti ceffi e modalità in cui il tiro al bersaglio passa in prima persona. L’azione è davvero tanta e terribilmente frenetica, ma il mondo sembra già viaggiare ad un’altra velocità.
È infatti già cominciata l’era del multimediale e da almeno un anno in sala giochi imperversa Mad Dog McCree, il western di American Laser Games che utilizza la tecnologia del laser disc per rendere interattivo un live action che fa [male] il verso alle produzioni di serie B di stampo hollywoodiano. La meccanica è sempre quella del prendi la mira e spara ma il cabinato è dotato di una pistola ottica che rileva se il giocatore la sta tenendo abbassata o meno all'inizio di un duello, e questo rende la sfida più tesa ed emozionante, completata dalla necessità di ricaricare l’arma ed evitare di sparare agli innocenti.
In realtà, chi fosse stato alla ricerca di divertimento puro, sempre nel 1990 sarebbe potuto entrare in sala giochi e cercare Blood Bros. della TAD Corporation. Seguito spirituale di Cabal, il gioco propone una collaborazione tra un cowboy e un nativo americano, per debellare la feccia del West in scenari che vanno in frantumi e nemici che si fanno sempre più agguerriti. È un must anche per chi si avvicina all’emulazione e, come nel caso di Sunset Riders, non è l’effetto nostalgia a renderlo più bello.
Erano semplicemente i tempi che stavano cambiando, togliendo spazio alla fantasiosa ingenuità del pixel king size, per aprire le porte a nuove immagini in movimento, più sofisticate ma meno attraenti. Finiva un’epoca e ne iniziava un’altra, fortunatamente dalla vita molto breve.
E il film interattivo di allora, sbagliato nell’interpretazione della tecnologia, torna oggi più potente e visionario che mai, sotto forma di universi poligonali, capaci di ridisegnare l’immaginario come un tempo solo il cinema sembrava poter fare. Il bisonte, l’uomo a cavallo, la locomotiva. E un drone che li segue dall’alto. Ci sarà il tempo per ascoltare anche questa storia, seduti sui sassi di un bivacco, mentre i fagioli cuociono sulla fiamma. Soddisfatti al pensiero che almeno questo non sia un paese per vecchi.
Questo articolo fa parte della Cover Story più veloce del West, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.