L'immanenza di Flicky nello spaziotempo SEGA | Racconti dall'ospizio
RYO//CASA MIA
È il 29 novembre del 1986. Mi trovo in una piccola sala giochi di Yokosuka, il Game Center You. Ne parlano tutti da giorni, di quello che è successo. Un fatto brutto, povero signor Hazuki, e il figlio poi. Ma non mi interessa poi così tanto. Perché non sono di qui, non sono nemmeno veramente qui, è solo una proiezione mentale, sono finito nei panni di un personaggio secondario di Shenmue e tra un po’ arriverà quel boro scatenato di Ryo a riempirmi di domande - e non certo di legnate, perché per quanto Yu Suzuki se la meni col Full Reactive Eyes Entertainment la verità è che non sono un cattivo e Ryo non può prendermi a mazzate, manco un QTE piccino picciò, niente, nemmeno se lo canzono chiamandolo Ryo Casamia.
Che tanto non lo capirebbe nemmeno, è roba italiana degli anni Ottanta.
Il 29 novembre 1986 sono a Trieste, domani è il mio onomastico e ci sputo sopra, sull’onomastico, che tanto ho dodici anni e nessuno mi fa più regali per l’onomastico. Ma a scuola c’è assemblea sindacale, possiamo uscire, fuga dalla scuola media, giù per le strade del rione tutto in discesa come fosse stato progettato da un danese. Si corre al Bar “Maggio”. C’è Flicky.
Contemporaneamente, nella mia proiezione mentale a Yokosuka, al Game Center You, sono un filo più scocciato perché i giochi sono un po’ troppo fighetti. Space Harrier. Hang-On. Fighissimi, ma non flickyssimi. c’è giusto un posterino di Flicky al muro, che gli costava a Yu Suzuki di essere un filo meno referenziale e metterci anche Flicky giocabile?
Ciò comporta un pericoloso scollamento nel continuum spaziotemporale tra il 29 novembre del 1986 a Yokosuka e quello triestino, ma va anche ricordato che quel 29 novembre del 1986 è in realtà filtrato attraverso la mente di un ambizioso planner a fine anni Novanta, quindi è un bel casino. La riprova è che nei gashapon qui fuori puoi trovarci il pupazzetto di Sonic. nel 1986. Ma per favore, Yu. Come puoi coltivare l’immersività con simili licenze?
Ora Yu potrebbe entrare nella sala - ma anche nel Bar Maggio, in effetti, e dirmi “senti, ma questo è un racconto su Flicky, ma perché mi devi rompere i coglioni a me che manco l’ho fatto, Flicky? Eh? Eh?” e io gli risponderei “ué ciciu, ma ti sei accorto che il riferimento a Rio Casamia di poc’anzi è un anacronismo proprio come il tuo Sonic in Shenmue? Il tormentone è certo posteriore al 1986. Siamo pari”
Yu mi guarda interdetto. Cerca di capire che cazzo sto dicendo. “Yu, lo sai cosa dice John a Yoko se si fermano a dormire in un love motel a Yokosuka?” “Eh?” “Niente, perché non ci sono love motel, a Yokosuka”.
Yu viene sbalzato via dalla freddura, ma mentre viene risucchiato dal continuum mi lancia dei gashapon anacronistici con dentro il pupazzetto di Sonic! Maledetto, lui e il suo giubbotto in vera pelle che sembra un regalo dello zio di Faletti a Drive In. Carletto, da Passerano Marmorito. Passerano. Devo ricordarmi di scrivere che Flicky non è un passero ma una passera, penso, mentre a mia volta vengo catapultato in un’altra epoca.
MEGADERIVE
1991. Sono a casa del mio amico Anon De’ Begnac. Lui non c’è, non c’è nessuno, è notte, che strano essere a casa di qualcun altro di notte e lui non c’è. La camera da letto è illuminata solo dalla luce blu di un televisore di marca indefinita, ma il cinescopio è buono, slot mask, ottimi colori anche in composito. L’inconfondibile title screen di Sonic mi fa venire in mente Jerry Calà che scandisce al rallentatore “O C I O P E R O’ S O N O G I O C H I P R E Z I O S I”.
Comincio a giocare meccanicamente, fino al momento in cui sconfiggo un nemico e libero un Flicky. Un grande flash bianco e torna l’oscurità. Anzi no. Man mano che la vista compensa lo shock ottico, vedo a video un altro gioco. Oh, finalmente. Flicky.
Perché sì, c’è questo fatto bizzarro che SEGA sentì il bisogno di portare Flicky su Genesis americano e Mega Drive europeo nella primavera del 1991. Fanno trent’anni giusti, se mi immagino seduto al PC nella primavera del 2021 mentre sorseggio un whisky giapponese della Suntory che sfoggia il toghissimo nome “Toki”, tempo. Scena non difficilissima da immaginare, visto che corrisponde in effetti alla realtà.
1991. Sei anni dopo il 1984. Ma perché? Quale logica può spingere SEGA a pubblicare un gioco che strilla “8 bit arcade” da tutti i pixel, sulla console che ha reso commercialmente appetibile il concetto di 16 bit? Probabilmente il fatto che Flicky, ancor più di Pengo, è il personaggio più comparsabile di SEGA. Stupendo character design, ma non forte e caratteristico come Alex Kidd, o Sonic stesso, Flicky appare quando meno te l’aspetti in decine di giochi. Dall’easter egg nasce giustamente un volatile. Per non parlare del fatto che Flicky, il coin-o vero e proprio, è stato convertito su diciotto sistemi. Ma non su Dreamcast. Dove appare solo in un flyer del menga dentro al game center di Yokosuka. Flickysuka.
FLICKY REVOLUTION
Flicky è chiaramente nella top ten dei miei coin-op preferiti di tutti i tempi. Chissà come mai un gioco pubblicato in Giappone nel maggio del 1984 fosse ancora tanto potente e attuale al 29 novembre del 1986, ma lo era. Intanto perché era esteticamente e ludicamente avanti, per essere del 1984. Come Bomb Jack, grida 1985 da tutti i pori. Tra il 1984 e il 1985 gli arcade scoprono due cose: il colore (estetica) e la morbidezza (ludus). Si può essere colorati e rinunziare agli sfondi neri, i cinescopi sono ormai maturi quanto i tempi! Si può ottenere un gameplay croccante anche inserendo valori inerziali, analogizzando, moltiplicando gli assi, abbandonando un po’ della Scuola Apollinea Namco-Nintendo a favore di momenti di sovraccarico dionisiaco - ha, it’s a SEGA!
La Flicky Revolution ha un nome - Yoji Ishii. Quindi ne ha due, in effetti: “Flicky Revolution” e “Yoji Ishii”. Ma insomma era una figura retorica per introdurre il nome del lead planner. Yoji Ishii, appunto.
Yoji Ishii prende il puntinismo di Pac-Man, prende il platformismo di Mappy, li spoglia del loro rigore assiale. I puntini? Noiosi, statici. Mettiamoci personaggini che, una volta raccolti, trotterellano dietro al protagonista raccoglitore. Una coda che può essere interrotta se raggiunta dai nemici predatori - nessuno muore, ma i personaggini se ne vanno a zonzo e occorre ripigliarli per portarli al centro di raccolti. Mettiamoci anche un mondo piccino picciò ma che scrolla infinitamente a destra e sinistra come in Defender (elemento impiegato da Yoji Ishii anche in Up’n Down, Fantasy Zone e Teddy Boy Blues, peraltro). Fico. Ora serve vestire questa delizia con tutta la figosità possibile immaginabile. Serve un character designer.
Dovete capire che il character designer di Flicky, Yoshiki Kawasaki, si è fatto assumere da SEGA perché era, tra i disponibili, il posto di lavoro più vicino a casa sua.
Poi però ci ha preso giusto e ha sviluppato sane ambizioni artistiche, cosicché, allorché quando arrivò la chiamata alle armi da parte Yoji Ishii (“Ehi, ci stai, Flicky Flicky con me, facciamo Flicky Flicky insieme da-ai”), Kawasaki non ci pensò due volte. E per dare forma alla passera protagonista, Kawasaki si ispirò a un celebre brano della tradizione ondo.
LA PASSERA, L’ONDO, LA FINLANDIA, LA MORTE
Dobbiamo pertanto sincerarci che padroneggiate il concetto e la metrica dell’ ondo. Cominciamo da qui.
Ora avete chiaro che l’ondo non ha che fare né con Edmond Honda, né con Luciano Onder. Ora potete vagheggiare di tutte le combinazioni di crossover tra Ondo, Honda (personaggio), Honda (moto) e (Luciano) Onder, o anche domandarvi come sia possibile che uno che si chiama Kawasaki sia appassionato di ondo. Ma il fatto è che nel 1977 Kawasaki, come gran parte del Giappone, canticchiava il Densen Ondo reso famoso dal comico Masao Komatsu.
Forte, eh? Ma se su disco suona bene, è dal vivo, nell’elegante caciara propria della festa tradizionale (“matsuri”) che emerge il deboscio del casino scintoista. Ecco Masao Komatsu full power:
La potenza di un vero performer trascende dal contesto culturale. Il corpo. La danza. Il carisma.
Mi rendo perfettamente conto di chiedervi uno sforzo cognitivo erculeo, nel seguire questo discorso. Perché vi sto invitando a perdervi nel filo del mio discorso, che tanto più risulta chiaro a me, tanto più risulta erratico a voi. Perché lo è.
È l’atto politico di riempirmi - e riempirvi - la testa della roba che voglio, pescando nell’infinita vanità del tutto, il mio tassello di inutilità - che diventa utile grazie alla mia scelta, funzionale grazie ai miei bisogni, che nessuno potrà mai veramente profilare, perché gli algoritmi inseguono quello che dico di volere, non ciò di cui ho bisogno, che emerge per impensabili associazioni mentre guardo un montaggio tra il video del 1974 dei Mauri Antero Numminen & Suomalais-Ugrilainen Kvartetti su cui è stato sovrapposto un altro dei brani tradizionali cantati da Masao Komatsu.
Ricordiamo che Masao Komatsu è morto di cancro a fine 2020, a settantotto anni. Armi Aavikko, la cantante finlandese che appare senza addurre motivazioni plausibili al minuto 1:39, d’altro canto, è morta nel 2002 a quarantatré anni di polmonite.
Miss Finlandia 1977, Armi ha affrontato gli ultimi anni della sua vita tra depressione e alcolismo, con l’aggravante di una fortissima, tardiva passione per la soap opera Beautiful. Sally Spectra in particolare. Nel mondo di YouTube, Armi è diventata famosa nel 2006 insieme al connazionale Danny per delle ragioni che, fosse stata ancora viva, l’avrebbero probabilmente ammazzata: la coreografia di I Wanna Love You Tender.
Mauri Antero Numminen è vivo, sta bene, ha ottantuno anni (per ora!) e oltre ad essere una colonna portante della musica finlandese ha scritto quattordici romanzi.
SUZUKI VS. KAWASAKI
Sullo schermo del Mega Drive appare in una brutta sovrimpressione chromakey il volto di Yu Suzuki. “Ma la smetti? Almeno torna a parlare di Kawasaki e dell’ondo!” “Certo, certo, Yu dolce amico mio. Sai qual è il colmo dei motociclisti? Suzuki che parla a Kawasaki dell’ondo!”
Completo la combo un arrangiamento ondo improvvisato di:
“Ho comprato la moto Suzuki
L’ho comprata soltanto per te
Ma da quando tu non Yokosuki
La moto Suzuki la tengo per me”
L’immagine di Yu Suzuki sparisce, lasciando Flicky immacolato come la veste dei fantasmi del passato. La luce invade la stanza, come stessi uscendo da un tunnel, sto uscendo da un tunnel, riconosco il luogo, è Monte Carlo, sono in Super Monaco GP e all’uscita dal tunnel ecco un gigantesco banner con Flicky sopra, bellissimo, immacolato, senza senso come tutti i finti sponsor dei giochi di formula 1 dell’epoca. Finti sponsor per dare a un finto circuito un senso di realtà.
È incredibile come le ultime seicento parole siano perfettamente elidibili ai fini del discorso (la cosa impensabile è che l’intero discorso è elidibile ai fini del discorso, in effetti, ma questa verità ci porterebbe dall’immanente al trascendente). Ma ormai le avete lette - non siete felici di essere stati prelevati dalla vostra comfort zone con tanta delicatezza, per un viaggio lontano dagli affanni della vostra anima? Perché tutto questo è solo per dire che Kawasaki ha deciso di optare per una passera come protagonista perché il Densen Ondo cita tre passeri poggiati su un filo della luce.
Tutto qua.
Ma l’ha raccontato in almeno tre interviste, ‘sta roba di Densen Ondo. Dev’essere molto importante per lui. Noi lo rispettiamo, è anche il designer di Sanrin San-chan, per dire, noto in occidente come Spatter, praticamente Pac-Man che incontra Pengo con Cappuccetto Rosso su un triciclo, un melange così bello che se non esistesse dopo averlo letto vorreste esistesse, ma non c’è bisogno di sognare, esiste, Spatter esiste, certo, se volete la scheda da sala giochi di $patter originale potete tornare a $ognare, ma se volete andare the easy way col MAME invece è un attimo e state giocando a Spatter coi suoi trucchi oscuri e ancora non del tutto capiti dal genere umano.
Flicky è stato un po’ più compreso, sicuramente in quanto più studiato. Di conseguenza, negli anni ‘10, comunque trent’anni dopo la sua esistenza arcade, Flicky è stato sviscerato e ha rivelato - potenza e gloria del reverse engineering! - le tipiche robette da videogame giappo di classe che “sembra random ma non è”. HA! Random!
Quei diamantini, per esempio. Appaiono secondo pattern tanto rigorosi quanto difficilmente riproducibili a priacimento (potete leggerne qui)
Per non parlare dei bonus supersegreti che appaiono nelle finestre! (Non ne parliamo, infatti! Leggetene sempre qui per capire quali mondi lontanissimi vi sono preclusi, poveri mortali senza penne)
L’OGGETTIFLICKAZIONE DEL CORPO FEMMINILE
E sono proprio i personaggi supersegreti a ricordarci quanto sbagliata e miserabile sia la versione Mega Drive del gioco. Se volessimo trovare un gioco che testimonia efficacemente il concetto di “slightly off” è Flicky su Mega Drive. Ti sembra la tardiva (1991, ricordiamolo) promessa di una conversione arcade perfect. Ma poi ascolti la musica, e per qualche misteriosa ragione di copyright suona simile, ma con intenzioni melodiche totalmente differenti rispetto al coin-op. E i movimenti non tornano, i pattern non tornano, e nemmeno i bonus tornano - ci sono, ma sono donne in topless, di schiena, che sculettano. Ovunque.
Che senso di decadenza. In sala giochi incontravi Pengo, garbate ragazze nipponiche di bianco vestite, Flicky femmina ma più femmina di Flicky normale perché rosé. Qui in contri Mammella Anderson che sculetta. Non credo di aver ragionato seriamente sull’oggettificazione femminile ad opera del patriarcato dominante fino a quando ho aperto una finestra bonus su Flicky per Mega Drive. Ho capito la volgarità, grazie a Flicky per Mega Drive. Ho realizzato come la volgarità vera si celi in minuscole differenze che stonano, dissonano, frantumano i disordini ossessivo-compulsivi. Tutto per una manciata di sprite!
Ed è per questo che ho comprato una scheda da sala giochi di Flicky originale. Per tenere lontana la volgarità dei tempi che corrono. E intendo gli anni Novanta.
Mi paro dalla luce della conversione mal cotta di Flicky che proviene dal Mega Drive facendomi scudo con la PCB di Flicky arcade. Divento abbastanza piccolo da essere completamente riparato. Sono solo un feto, tipo quello de Kubbrick nello spazio, circondato da una PCB originale di Flicky cui qualche noleggiatore italiano birichino ha sostituito le program EPROM epr5979a.109 e epr5978a.116 con due foriere di un codice molto più stronzo, che di fatto rende il gioco quasi impossibile. Devo proprio riscriverle con dati vanilla, uno di questi giorni. Oppure no, è un segno: devo restare qui, piccolo piccolo, nella comfort zone di Flicky arcade, ma al tempo stesso lottare eternamente contro una versione mezza piratata con una vita sola a partita e velocità felina smodata.
コンピウタ//コンピュータ
Notifica Whatsapp. Segno che sono tornato nella realtà trent’anni più in là, 2021. Che palle. È ancora Yu Suzuki.
“We, guarda che ho capito questo scherzo di Ryo Hazuki -> Ryo Casamia, che forte! Clicca qui sotto”
Porca miseria che boomer. E vabbe’. Faccina che ride con gocciolina di sudore. Provo a pensare a cosa potrebbe eliminare Yu Suzuki che mi appare, mi messaggia e mi rompe i coglioni ricordandomi che Yokosuka è Flicky-free, a parte per un flyer. Ci sono.
“Clicca qui, Yu. È per Ryo”.
“Ma cos… Yu non fa in tempo a rispondermi, so cosa sta succedendo. La vendetta è compiuta. Ma anche computer. I won’t miss Yu. La tua energia antiFlicky ha già fatto abbastanza danni in questo excursus su Flicky. Tieniti la tua Yokosuka deflickyzzata, che io mi tengo il mio 29 novembre 1986 triestino a giocare a Flicky.
Ignaro che, da qui a poche ore, morirà Cary Grant.
Alcune fonti:
Un’intervista a Yoshiki Kawasaki
Un thread su Mameworld il cui penultimo post conduce curiosamente a un mio thread di sicuro insuccesso su City Connection.
Szczepaniak, John (2018). The Untold History of Japanese Game Developers Vol. 3. SMG Szczepaniak. bl. 274–276.
Horowitz, Ken (2018) The Sega Arcade Revolution: A History in 62 Games.