Nemmeno a farlo apposta, Konami ha dovuto gestire Silent Hill: Downpour contro tutto e tutti. Prima gli strascichi per il mezzo flop di Silent Hill: Shattered Memories di fine 2009, poi l'annuncio due anni fa di un ottavo capitolo della serie affidato allo sconosciuto team ceco di Vatra Games e infine i primi e incerti filmati di gameplay, i ritardi sulla pubblicazione, anteprime poco esaltanti e l'emergere di quel Silent Hill: Book of Memories che rimane ad oggi la cosa più sconvolgente per qualsiasi fan della saga. Insomma, tutto sembrava tramare contro Silent Hill: Downpour, non ultima la deriva shooter di quel Resident Evil: Return to Raccoon City che aveva fatto temere i fan della saga Konami per una sorte simile. Anche nelle sue pagine più buie e meno ispirate, Silent Hill ha però mantenuto sempre qualcosa per cui valesse la pena giocare e immergersi nel mondo malato e disturbante creato dal Team Silent.
Silent Hill: Downpour, visto anche il cambio di sviluppatore, non poteva che ripartire da zero con una nuova trama, nuovi personaggi e quasi nessun legame con i sette predecessori. Eppure, dopo un violento prologo carcerario decisamente inedito nella tradizione "silentiana", basta poco per ritrovarsi in un'atmosfera sospesa tra incubo e irrealtà tipica della serie. Lo stesso Murphy Pendleton è un protagonista tormentato e con un passato fatto di dolore e mistero che dobbiamo svelare nel corso del gioco, in piena assonanza con gli alter ego dei precedenti episodi (si pensi solo al Travis Grady di Silent Hill: Origins). Scompaiono la grafica sgranata e la radio che avverte della presenza dei nemici, ma la nebbia (o foschia per i più precisini) è quella di sempre, Silent Hill è deserta e piena di burroni e strade interrotte, l'oscurità è perennemente in agguato e il mix di effetti sonori, scrosci di pioggia e musica ambient-pianistica (davvero pregevole il lavoro di Daniel Licht) mette subito nel giusto mood. Chi temeva un radicale allontanamento dai Silent Hill precedenti (chissà perché, poi) si metta pure il cuore in pace. Lasciata passare la prima ora di gioco, che richiama fin troppo lo stile di Alan Wake, Silent Hill: Downpour si mostra per quello che è davvero: un'avventura horror con enigmi intelligenti, esplorazione, combattimenti, personaggi enigmatici e una trama da dipanare capitolo per capitolo grazie agli immancabili flashback.
Non tutti questi elementi, purtroppo, hanno ricevuto da Vatra Games lo stesso trattamento, mostrando chi più chi meno difetti anche piuttosto consistenti. Da un lato l'esplorazione delle vie cittadine e di alcune macro location come la biblioteca e l'orfanotrofio affascina non poco, soprattutto per la possibilità di compiere missioni facoltative che spingono il giocatore a scoprire più stanze, strade, vicoli e passaggi possibili. Nulla di paragonabile a un free roaming, ma in certi punti mi sono ritrovato a girare per Silent Hill disinteressandomi completamente della trama, giusto per trovare qualche oggetto, scoprire una porta da aprire o una casa in cui entrare. Chi però era abituato ai percorsi meno liberi e più guidati del passato potrebbe trovarsi un po' spaesato nelle vie cittadine, anche perché Vatra Games ha volutamente inserito pochi indizi su come procedere. L'interattività poi è molto limitata: stanze piene di oggetti sono spesso inutili o prive di qualsiasi elemento da raccogliere o da esaminare, con la sola esclusione delle armi.
Già, perché in Silent Hill: Downpour si può combattere con qualsiasi cosa, da una bottiglia di birra alla gamba di legno di un tavolo, passando per mazze ferrate, chiavi inglesi, rastrelli, pale, estintori, sedie, mannaie, coltelli, asce da pompiere, pugni, pistole e fucili a pompa. Vista la scarsità di munizioni, le armi da fuoco si usano raramente e non è un caso se ho trovato la prima pistola dopo quattro ore di gioco, riuscendo comunque a combattere con altri oggetti. Il bello (o il brutto) delle armi è che si rompono dopo aver ricevuto un tot di colpi dai nemici. Tralasciando il discutibile realismo di certe trovate (una mazza di ferro spezzata dopo tre attacchi?), questo sistema spinge a cercare sempre nuove armi e a scegliere quelle più adatte alle proprie preferenze a seconda della loro velocità e del danno inflitto. Si può così puntare su armi piccole e veloci (mannaie, coltelli, chiavi inglesi), ma altri preferiranno oggetti più ingombranti, potenti e resistenti, anche se con un simile sistema di combattimento vi consiglio di seguire il primo esempio.
Combattere in Silent Hill: Downpour significa infatti scontrarsi con diverse grane. Gli attacchi, le parate e i contrattacchi di Murphy sono goffi e lenti e se vi ritrovate con tre o quattro nemici di fronte (peggio ancora sotto una pioggia battente che rende le creature più potenti) forse è meglio tagliare la corda. La fuga diventa così un'alternativa molto frequente (e a volte obbligata) al combattimento, tanto da sospettare che Vatra Games abbia volutamente concepito un sistema di combattimento lacunoso per offrire questa doppia possibilità. Non è un caso se i nemici ci inseguono per pochi metri e poi mollano la presa molto rapidamente, o se anche nelle apparizioni dell'Otherworld tutto ciò che dobbiamo fare è correre, fuggire e sperare di imbroccare la strada giusta (in tali passaggi aspettatevi parecchio trial & error).
Questo mix di combattimenti imperfetti, fughe e armi corruttibili riesce però a mantenere una tensione piuttosto alta. Essere inseguiti da quattro mostri, vedere in lontananza una casa, avvicinarsi alla porta, sperare di trovarla aperta ed entrare lasciandosi alle spalle gli inseguitori provoca sempre qualche brivido, anche se parlare di spaventi, terrore e "strizze" improvvise non è del tutto veritiero. L'orrore c'è ed è ben disseminato nel corso del gioco tra ambientazioni lugubri, creature demoniache, sangue, reminiscenze di massacri, spettri, boogeyman e risate infantili, ma non si ha mai davvero quella sensazione di paura o la pelle d'oca per la tensione come succedeva in passato. Ne esce un titolo più orientato all'avventura psycho-thrilling che non al survival horror, ma non per questo l'incubo di Murphy ha meno efficacia. È soltanto un modo diverso di intendere l'universo di Silent Hill, ma già rispetto a Shattered Memories ci sono molti più punti di contatto con i primi episodi, per la gioia di chi temeva un allontanamento dalle origini sulla recente scia di Resident Evil.
L'andamento del gioco non può dirsi trascinante e nei passaggi già citati all'interno degli edifici più vasti non mancano i momenti di stanca, dove la raccolta di indizi, gli enigmi (molto carino quello teatrale di Hansel & Gretel) e l'assenza di obiettivi ben chiari possono scoraggiare i giocatori meno pazienti. Eppure anche in questi frangenti c'è sempre qualche tocco di classe tra binari narrativi (pochi ma efficaci), apparizioni di personaggi e curiosità nello scoprire l'oscuro passato di Murphy. Verso il finale il ritmo si fa più serrato, i combattimenti più frequenti e nel mio caso la fine è apparsa dopo oltre dieci ore di gioco, longevità di tutto rispetto, visto che non ho portato a termine alcuni obiettivi secondari e non ho esplorato tutta la mappa della città.
Alla fine, però, l'importante è divertirsi ed entrare nell'atmosfera malata della serie e per fortuna ci si riesce senza tanti problemi, pur sorvolando su un impianto grafico un po' trasandato, su frequenti cali di frame-rate (in versione Xbox 360, ma quella PS3 pare essere ancora peggio), su qualche piccolo bug e su un incipit che fatica ad ingranare. Abbiate pazienza, però. Una volta messo piede per le lugubri stradine di Silent Hill e fatto la prima capatina nell'Otherworld, vi si spalancherà di fronte un'avventura tanto incostante e imperfetta quanto piacevole, longeva e misteriosa al punto giusto... e state attenti alla pioggia.