La serie di piccole gemme autoriali pubblicate periodicamente su Nintendo 3DS continua, e dopo alcune chicche davvero notevoli, Level-5 - con The Starship Damrey - inciampa in uno sperimentalismo un po' supponente. Le premesse sono senza dubbio affascinanti: il titolo non offre alcun tutorial, anzi, ci avverte tramite una schermata testuale che nulla accorrerà in nostro aiuto, perché la scoperta è parte integrante dell'avventura. L'incipit su cui poggia il titolo, quindi, è essenziale per il raggiungimento di un'atmosfera cupa e misteriosa.
Siamo a bordo di una navicella spaziale, bloccati su un lettino di una presunta sala operatoria, e l'unico modo per capire cosa stia succedendo è collegarsi con alcuni robot per esplorare ciò che ci circonda. Grazie all'abusato escamotage dell'amnesia, il protagonista guiderà i piccoli automi attraverso la nave, con visuale in soggettiva e muovendosi "una casella alla volta", esattamente come accadeva negli RPG labirintici dei bei tempi andati. In tal modo si dispiega una narrazione asciutta, essenziale, criptica, che elargisce meno pezzi di puzzle di quanti ne servano per svelare l'arcano. Il titolo è una sorta di avventura grafica che alterna enigmi quasi geniali - per i quali è necessaria una buona conoscenza dell'inglese - ad altri piuttosto accademici.
I robot guidati dal protagonista sono quindi spinti ad interagire con gli elementi del fondale, (non molti a dire il vero) e prodursi in oziosi andirivieni attraverso tutta la navicella, Per stemperare il backtracking, alcune strane apparizioni ammantano l'esplorazione di una lieve inquietudine. Ed è proprio su questi elementi solo accennati, tanto cari all'iconografia horror nipponica, che si basa interamente il carisma di The Starship Damrey. L'ignoto, il buio, il silenzio: elementi accomunabili sia al vuoto dello spazio, che all'orrore più classico. Caratteristiche capaci di spingere il giocatore a proseguire, nonostante i numerosi difetti strutturali del gioco. L'esplorazione per caselle, ad esempio, non sarebbe di per sé un handicap se non fosse preclusa la possibilità di eseguire una qualsiasi forma di "strafe". L'incapacità di muoversi lateralmente costringe il giocatore ad anacronistici girotondi, che di certo non giovano al ritmo ludico, già compassato di suo. La cornice tecnica è essenziale, ma mai come questa volta la squadratura degli scenari e lo stile quasi monocromatico, rispondono perfettamente alle esigenze di copione, rinsaldando l'idea di una location cupa e ansiogena. L'effetto 3D serve solo ad accentuare l'aliasing, quindi è consigliabile farne a meno, mentre il sonoro, nei suoi silenzi prolungati e negli effetti scanditi di continuo, è perfetto ai fini dell'alienazione ludica che gli sviluppatori hanno voluto ricreare.
Eppure, come è giusto che sia, non si può tener conto della sola atmosfera. Gli enigmi, che passano dall'imperscrutabile al semplicissimo, non danno mai reale senso di soddisfazione. Il backtracking ossessivo, in combo con l'assenza dello strafe, rende l'esplorazione piuttosto pesante. Paradossalmente, l'ulteriore difetto di una longevità striminzita (2/3 ore), alleggerisce tutti gli altri. Il costrutto ludico di The Starship Damrey è fascinoso, intrigante, ma il meccanismo che lo muove stride pericolosamente verso l'insufficienza. Il "grasso" fornitoci dagli sviluppatori è il minimo indispensabile per non far inceppare la manovella, consentendoci di concludere l'avventura, non senza un minimo di rammarico per l'amaro che lascia.
Ho scaricato The Starship Damrey dall'eShop Nintendo tramite un codice fornitomi dal produttore. Ho completato il gioco in tre ore circa, bighellonando abbastanza e godendomi con calma gli sprazzi di sordida atmosfera, comunque presenti qui e là. Il tutto, però, con un pizzico di amaro sublinguale, frutto di un'occasione in parte sprecata.