Librodrome #108: Grilletti vintage
Attenzione, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit. Ma solo libri che hanno in qualche modo a che fare coi videogiochi eh! Per tutti gli altri, c’è quell’altra rubrica.
Ce la meniamo tanto coi backlog videoludici ma, diciamocelo, il problema è che siamo delle bestie, figli del consumismo, abituati ad accumulare roba senza ritegno che prima o poi consumeremo (#credici). Negli anni ho imparato a moderarmi, ma ancora pago le conseguenze della mia dissoluzione di gioventù. Tipo, il libro di cui parlo oggi l'ho letto solo di recente, qualche settimana fa, ma è stato pubblicato nel 2000 e l'ho comprato al negozio della GDC talmente tanto tempo fa che (1) non saprei dire quando di preciso, (2) pur essendo ancora attuale in molti aspetti, in altri è abbastanza invecchiato, (3) nel frattempo l'autore l'ha reso disponibile gratuitamente in formato PDF, (4) è perfino uscito una sorta di seguito e (5) l'autore ha concluso l’esperimento del libro distribuito gratuitamente, chiacchierandone poi qua. Insomma, bene.
D'altro canto, la prima metà del punto 2 parla chiaro. quindi eccomi qui a consigliarvi Trigger Happy, il libro di Steven Poole che Edge definì "A seminal piece of work". Di cosa si tratta? Di un saggio che analizza il videogioco in senso ampio, partendo dalle origini e giungendo fino a oggi (dove per "oggi" si intende la fine del secolo scorso), studiandone meccaniche, trappole, funzionamento, idee, tematiche, innovazioni, impatto sociale, capacità di penetrare la cultura pop, estetica, il rapporto con le altre forme espressive ma anche i mille modi in cui se ne distingue rendendosi unico. Insomma, tutto ciò che è possibile aspettarsi da un libro del genere, se a scriverlo c'è una persona che conosce l'argomento e sa come parlarne in maniera trasversale, tanto all'esperto in cerca di approfondimento, quanto al curioso disposto a sforzare il cervelletto per capirci qualcosa.
Steven Poole è un giornalista e saggista, ha scritto un paio di libri dedicati a tutt'altri argomenti e ha portato avanti il "marchio" Trigger Happy per qualche tempo, curando un documentario semi-omonimo (Trigger Happy: The Invincible Rise of the Video Game) per BBC Four nel 2004 e scrivendo per cinque anni una rubrica completamente omonima su Edge. La sua visione è ficcante, approfondita, sempre interessante, anche quando col senno di poi risulta forse un po' ingenua (ma col senno di poi siamo bravi tutti). Leggendo il suo libro oggi ci si ritrova magari a sorvolare su alcuni passaggi, fosse anche solo perché inevitabilmente sbagliano previsioni o non possono tenere conto di come il settore si è poi evoluto, ma ci si sorprende lo stesso per la precisione di molte analisi e si trova comunque il fascino aggiunto di una finestra su un momento fondamentale per questa forma espressiva.
E poi, come dicevo prima, c'è il seguito, Trigger Happy 2.0, una raccolta riveduta e corretta dei vari articoli scritti all'interno della rubrica di cui sopra. Chiaramente, per sua stessa natura, è un libro a cui manca la direzione precisa di quello originale, ma a guadagnarne è l’ampiezza di vedute e di argomenti. Poole affronta il videogioco con serietà, interesse, senza timidezza, senza farsi problemi nell’analizzarne i lati più oscuri, parlando di arte e politica, spaziando fra i temi più disparati, andando a sfiorare giochi di primo piano tanto quanto altri terreni molto meno battuti. Un’altra lettura molto consigliata, insomma.
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