Racconti dall'Ospizio #93: Dieci anni di Mass Effect
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Quando ti chiamano per chiederti se ti andrebbe di scrivere qualcosa sul decennale di Mass Effect, succede una serie di cose. La prima è che ti rendi conto che Mass Effect ha dieci anni, e pensi, Gesù quanto passa in fretta il tempo. Poi noti il fatto che la rubrica si chiama Racconti dall’Ospizio, e insomma, t’hanno proprio dato del vecchio, accettalo.
La seconda cosa che succede è che ti arrovelli il cervello in cerca di quell’elemento che per te ha reso Mass Effect così speciale. Tanto unico, in effetti, da farti comprare una Xbox 360 quando eri un pcista convinto, da farti sopportare la vecchia dashboard (ve la ricordate, quant’era scomoda?), da farti correre al centro commerciale a comprare un HD Ready 32 pollici perché a vederlo sullo monitor del PC con le bande nere non ce la facevi più.
E quindi, parliamone: perché Mass Effect è così importante? Perché, nonostante un primo capitolo un po’ legnoso (soprattutto oggi), un secondo tanto spara-spara, un terzo non del tutto a fuoco, un Andromeda fucilato sulla pubblica piazza... perché siamo qui a celebrare il suo decimo compleanno e a guardarlo consapevoli di come abbia lasciato un segno indelebile nella storia del videogioco, e anche un po’ contenti di averne potuto vivere l’evoluzione?
Per comprendere appieno quanto profondo sia il segno lasciato da Mass Effect, bisogna per prima cosa chiudere gli occhi e pensare intensamente al 2007, che pare vicino, ma non lo è poi così tanto. Bioware era ferma a Jade Empire, Neverwinter Nights e Knights of the Old Republic, mentre molti GdR che oggi diamo per scontati, produzioni del calibro di Dragon Age, Fallout 3, senza nemmeno scomodare Skyrim, The Witcher, persino Diablo III, erano ancora ben di là da venire. Harry Potter non si era ancora concluso e al cinema usciva il primo Transformers. E per mettere tutto in una prospettiva ancora più definita non dimentichiamoci che lo sviluppo di Mass Effect è avvenuto a cavallo di un momento di totale frenesia in BioWare, tra la fusione con Pandemic nel 2005, l’apertura dello studio di Austin l’anno successivo e la vendita a Electronic Arts nel 2007. In altre parole, uno stravolgimento totale di leadership e politiche interne, di quel genere dal quale di rado i prodotti coinvolti traggono grande giovamento. Da questo caos è nata nondimeno la proverbiale stella, seppure con tutti i suoi difetti di gioventù e le sue molte promesse, nemmeno tutte mantenute. Quella di Mass Effect è stata indubbiamente la BioWare “di mezzo”: lo spirito indipendente era ormai quasi del tutto dimenticato, c’era già la necessità di strutturarsi e, soprattutto, di stimolare l’appetito dei grandi publisher con giochi più accessibili, che parlassero una lingua universale. Ma c’erano ancora tanto entusiasmo e tutta la voglia di lasciare altri segni indelebili nella storia del videogioco. Mass Effect è il frutto di queste spinte quasi opposte tra loro e non è un caso che moltissimi amino la serie ma finiscano per criticarne i singoli capitoli più di quanto vorrebbero: perché a funzionare davvero, di Mass Effect, non è questo o quell’episodio, ma il tutto, l’universo, il cast di personaggi, l’atmosfera di frontiera che permea la via lattea secondo BioWare.
La verità è che il meglio di Mass Effect, la sua enorme promessa solo in parte mantenuta, si gioca tutto nelle prime ore del capostipite. Ciò che è venuto dopo, negli anni e nei sequel, è parte di uno sviluppo progressivo delle idee e delle promesse fatte in quell’avvio esplosivo, accompagnato da qualche passo di lato e indietro. Se Mass Effect si fosse fermato al primo episodio, se BioWare e EA non ci avessero voluto davvero credere, sarebbe diventato il Firefly dei videogame: un coito interrotto capace di catturare il giocatore con un efficace inizio in medias res, in grado di proporre un universo già “compiuto”, replicando la magia di Star Wars e altri nomi del medesimo calibro, seppure in maniera differente. Una saga che è già materiale da libro di testo a dieci minuti dallo scorrere dei titoli d’avvio, a prescindere dagli alti e bassi successivi.
Come è stata compiuta, questa magia? In primo luogo, rispondendo alle (solo apparentemente banali) domande che ogni appassionato di fantascienza e fantasy si pone quando gli viene proposta una nuova visione: perché la politica di questa fazione funziona così? Come si spiega questa tecnologia? E via discorrendo. Il livello di dettaglio dell’universo presentato da Mass Effect è veramente strabordante, e l’avvio dell’avventura è esemplare nel mettere molto velocemente tutti i pezzi sulla scacchiera. Stiamo parlando di un gioco che utilizza il testo introduttivo per raccontare il contesto sociopolitico e non, che ne so, per introdurre il protagonista. Parliamo di una saga che porta il nome della tecnologia che dà il la a tutta la storia, e non un generico rimando alle space opera. Parliamo insomma della quintessenza dell’hard sci-fi. Non è un caso che molti anni dopo, Andromeda, ambientato altrove e caratterizzato da un nuovo cast di personaggi, ricaschi sostanzialmente nel medesimo immaginario, non riuscendo a proporre granché di inedito: fare meglio di quell’avvio era davvero difficile. Il cosiddetto hard sci-fi non è roba per tutti, intendiamoci: quell’orgia di dettagli, quella mania di spiegoni per ogni cosa può facilmente prendere la mano e sovraccaricare l’opera, ma Mass Effect si districa elegantemente, giocando sul filo della solita battaglia bene-male e buttando nel calderone razze incredibilmente tratteggiate e un personaggio principale che non può non piacere (sì, sono uno di quei puristi convinti che Shepard non vada toccato: state lontani da quell’editor).
Come non parlare, poi, della Normandy, la “casa base” che ci accompagna per tutto il viaggio, capace di scatenare un senso di possesso genuino e fortissimo, con le sue stanze perfettamente dettagliate, l’equipaggio con cui interagire, la cabina personale, la sensazione di essere davvero il “Comandante”? Come non citare Liara, capace di tormentare le post-adolescenze con sguardi digitali che non puoi dimenticare (e che forse oggi apparirebbero molto meno sensuali, appannati dal crudele passare del tempo)? E non dimentichiamo l’importanza del sistema di dialoghi, altro fattore che in prospettiva è molto facile dare per scontato, ma non lo è affatto. Attorno a quell’anello che compare ogni volta che tocca a noi parlare, ci sono una serie di risposte messe in una maniera intelligentissima, dato che il tono viene solamente “suggerito”. Ecco quindi che BioWare, approfondendo una sperimentazione già partita con giochi precedenti, risponde con grande eleganza a un’altra annosa questione: come è possibile offrire un personaggio perfettamente caratterizzato e dare allo stesso tempo al giocatore l’impressione di poterlo “interpretare” a suo piacimento? Semplice: fornisci la scelta e poi fai in modo che qualunque risposta, positiva, negativa o neutra che sia, abbia sempre un tono “alla Shepard”, che non snaturi il personaggio a prescindere dall’intonazione. Davvero una piccola magia, di scrittura e di implementazione. E poi c’è il coraggio di certe scelte: non dimentichiamoci che uno dei personaggi migliori dell’intera saga (a detta di tutti, non mia) può morire a metà del primo episodio. Un dialogo andato storto e, per alcuni, quel personaggio è uscito di scena anche dai due capitoli successivi .
Eppure, anche trovandosi oggi a tessere le lodi della saga e a rintracciarne i valori, come dicevo in apertura, è difficile individuare il miglior Mass Effect: molti indicano il secondo episodio, io rimango molto attaccato al primo, ma la verità è che ogni capitolo ha aggiunto qualcosa e perso qualcos’altro rispetto al precedente, finendo poi per non sviluppare le vere promesse fatte dal capostipite, su tutte l’esplorazione dei pianeti, partita comprensibilmente acerba ma mai neanche lontanamente valorizzata dai sequel. C’è sempre del leggero rammarico, sulla bocca di un fan di Mass Effect, la sensazione che si sarebbe potuto avere molto di più da una saga partita in maniera così dirompente. Nondimeno, se per un motivo o per l’altro non vi siete mai avvicinati alla serie, approfittate di questo anniversario: giocare oggi a tutti gli episodi, liberi dall’hype, dalle notizie, dal marketing, godendosi semplicemente l’evoluzione di una saga nel corso degli anni, è un’esperienza di grande valore, che vi consiglio dal cuore e per la quale forse vi invidio un po'. Mi sono ricordato che Mass Effect stava per compiere dieci anni solo quando mi è stato proposto di scrivere qualcosa per l’occasione: ripensandoci un momento, posso dirvi senza ombra di dubbio che nient’altro da allora ha più condizionato così profondamente il mio immaginario personale. E questo, considerata la mia capacità di divorare qualunque opera sci-fi, vale senza dubbio qualcosa.
Happy birthday, Commander Shepard.