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Il nuovo Alone in the Dark va bene così com’è, ma qualcuno ha sempre di che lamentarsi

Il nuovo Alone in the Dark va bene così com’è, ma qualcuno ha sempre di che lamentarsi

Faccio fatica a ricordare una saga videoludica più sfortunata di quella di Alone in the Dark.

Il gioco originale, datato 1992, ha di fatto rappresentato la nascita di un nuovo genere, quello dei survival horror, a cui siamo tutti più o meno affezionati perché, con la sua comparsa, ha manifestato il cambiamento verso il quale il settore stava andando in quel periodo, vale a dire la ricerca di tematiche più adulte e un’utenza più matura. Del primo Alone in the Dark ho ricordi piuttosto vaghi, venni a conoscenza del gioco spulciando un numero di K, storica rivista di settore, in cui ne vidi la pubblicità.

“Se avete paura del buio, non entrate a Derceto” recitava lo slogan pubblicitario. La promessa di “un incubo virtuale interamente in 3D” aveva solleticato i miei appetiti. Erano anni in cui, come ricordato poco sopra, questo medium stava decisamente cambiando, evolvendosi in qualcosa che lo avrebbe portato progressivamente a scrollarsi di dosso l’etichetta di passatempo di nicchia. Per me, abituato ai giochi in 2D dalla trama fanciullesca, vedere un personaggio che si poteva muovere in un ambiente tridimensionale che sembrava offrire una libertà d’azione apparentemente sconfinata, affrontando amenità di ogni tipo in un contesto di puro mistero… Alone in the Dark sembrava una sorta di frutto proibito, non solo perché all’epoca ero poco più di un bambino, ma anche per il fatto che il gioco fosse disponibile solo per PC. Mi sembrava tutto così irraggiungibile che non potevo fare a meno di volerlo.

Riuscii a “giochicchiare” qualcosa del primo Alone in the Dark solo grazie a una serie di circostanze fortuite: in quegli anni avevo un amico d’infanzia che era figlio dei vicini di casa dei miei compianti nonni paterni, e allora ogni volta che andavo a casa sua accendevamo il PC del padre e giocavamo al titolo in questione, anche se alla fine ci stavamo sempre poco, un po' per gli enigmi non sempre di facile risoluzione, un po' perché il padrone di casa borbottava nel vederci usare il PC e allora dovevamo per forza spegnere tutto. Ma quel poco che avevo visto del gioco di Infogrames mi aveva assolutamente conquistato: atmosfera incredibile, tensione, inquietudine, e quella magione stregata che sembrava – per gli standard dell’epoca – così dettagliata da sembrare quasi reale.

Ciò che sarebbe successo dopo, è storia nota: arrivano le console a 32 bit, e soprattutto arriva quel Resident Evil che avrebbe sconvolto l’immaginario collettivo di tutti noi. Il gioco di Capcom prendeva di peso tutto ciò che di buono aveva Alone in the Dark, farcendolo con una grande quantità di violenza e sangue digitale, rimpiazzando riti Voodoo e magia nera con esperimenti di laboratorio, zombi putrescenti e aberrazioni genetiche di ogni tipo, affamati di carne umana, da far fuori a sonori colpi di shotgun.

Ironia della sorte, la serie Alone in the Dark venne offuscata e successivamente dimenticata proprio a causa di chi aveva semplicemente copiato la buona idea di base del gioco. Il primo Alone in the Dark fece capolino su console solo su 3DO, sfortunatissima console dell’epoca, mentre Alone in the Dark 2, nonostante la pubblicazione su Saturn e PlayStation, venne accolto in maniera molto meno entusiasta rispetto al gioco originale, anche a causa di una virata decisa verso la parte action rispetto a quella esplorativa. Alone in the Dark 3 continuò questo trend negativo, portando di fatto alla momentanea chiusura della serie. Alone in the Dark: The New Nightmare, uscito nel 2001, nonostante fosse complessivamente un buon gioco, ebbe la sfortuna di uscire in un periodo in cui la concorrenza era super agguerrita e il genere aveva espresso buona parte del suo potenziale, finendo per sembrare un survival horror come tanti.

Sette anni dopo, nel 2008, un nuovo Alone in the Dark fece capolino su console. Si trattava di una sorta di requel in chiave moderna (ambientazione newyorkese con suddivisione in otto capitoli, con tanto di riassunto della puntata precedente all’inizio del capitolo successivo, sulla falsariga di una serie televisiva) che, a differenza del gioco del 2001, si rivelò deludente, penalizzato da una realizzazione tecnica discutibile, controlli pessimi e una telecamera infelice. Nonostante la pubblicazione di una versione migliorata sottotitolata Inferno, la saga aveva subito un nuovo stop. Tutto sembrava definitivamente morto e sepolto dopo Alone the Dark Illumination, imbarazzante shooter in terza persona, disprezzato e demolito da praticamente tutta la stampa specializzata, non solo per il fatto che il gioco fosse proprio brutto, ma anche e soprattutto perché rappresentava la fine di una saga che non è stata capace di reinventarsi nel corso di tutti questi anni, lasciando la gloria a chi era stato in grado di cogliere le potenzialità di un genere che sarebbe diventato di riferimento.

Siamo nel 2024, e finalmente, dopo quasi dieci anni di silenzio, Alone in the Dark rientra in scena. A riportare in vita Edward Carnby è THQ Nordic, ed è da parecchio tempo che tengo il gioco sott’occhio, sia perché quello dei survival horror è un genere al quale sono particolarmente legato, sia perché Alone in the Dark merita un rilancio in grande stile, in virtù della storicità della serie.

Emily Hartwood ed Edward Carnby hanno le fattezze degli attori Jodie Comer e David Harbour

Le recensioni online non sono molto incoraggianti: se le testate nostrane tutto sommato promuovono il gioco, con voti che oscillano fra una sufficienza stiracchiata e dei sette che lo indicano come un prodotto discreto, la stampa straniera non è stata certo tenera con il titolo THQ, appioppando anche dei sonori due e tre come valutazione finale. Ho imparato, nel corso degli anni, a mettere da parte il freddo giudizio numerico in favore del testo della recensione. I numerosi bug e glitch del gioco, uniti a un sistema di combattimento molto legnoso e a quella che viene indicata in fase di recensione come una fiacchezza generale, aveva spento il mio entusiasmo.

A quasi un anno dall’uscita, grazie a un crollo vertiginoso del prezzo, lo scorso febbraio ho acquistato il nuovo Alone in the Dark e anziché lasciarlo ammuffire sulle mensole insieme al resto del backlog, ci ho giocato subito, soprattutto per il fatto che ha una durata complessiva che si attesta fra le otto e le dieci ore, cosa che per me è un vantaggio non da poco, visto che ormai le ore da dedicare al mio hobby preferito si sono sensibilmente ridotte e cerco di conseguenza di evitare open world e simili.

Devo dire che dopo una quindicina d’ore complessive e dopo averlo terminato con entrambi i personaggi e aver visto quasi tutti i finali, il fango gettato sul nuovo Alone in the Dark è del tutto ingiustificato.

Partiamo dal principio: il lavoro fatto da Pieces Interactive è lodevole soprattutto per il rispetto e la cura nei confronti del materiale originale. L’amore nei confronti del primo Alone in the Dark, che è rimasto un classico nonostante la deriva negativa presa dalla serie, si respira sia nelle atmosfere che nei dettagli della magione Derceto. Scoprire i segreti di ogni singola stanza di quell’oscura villa (che nasconde all’interno un ospedale psichiatrico) è estremamente piacevole ed appagante, e l’enfasi sulla fase puramente esplorativa rispetto a quella action ricalca in pieno lo spirito dell’opera di Frédérick Raynal. Anche la trama e le tematiche si avvicinano molto a quelle dell’originale: Jeremy Hartwood, famoso pittore, è scomparso dopo essere stato colto da una grave forma di pazzia, la nipote Emily, insieme al detective privato Edward Carnby, si reca in una zona rurale della Louisiana dove è situata appunto la magione Derceto, alla ricerca di indizi sulla scomparsa dello zio. I due si scontreranno con i membri di un’oscura setta religiosa che vogliono risvegliare il “capro nero dei boschi”, creatura nata dalla penna di H.P. Lovercraft, affrontando aberrazioni orrorifiche di ogni tipo e riti Voodoo ed esoterici della peggior specie. Alone in the Dark, forte anche del rinnovato interesse del pubblico nei confronti dei survival horror, si pone come un classico esponente del genere: mostri da eliminare, enigmi da risolvere (seppure molto basilari, almeno nella maggior parte dei casi), indizi da raccogliere e via dicendo, anche se l’atmosfera generale vira spesso più verso il thriller sovrannaturale rispetto all’horror puro.

Il gioco spreca un’occasione nel gestire le avventure dei singoli personaggi: a parte il cambio delle sequenze d’intermezzo e una sezione “esclusiva” per singolo personaggio nel quarto capitolo, fare una run con entrambi vale la pena se si vuole avere una prospettiva più completa della storia, ma la parte giocata è completamente identica o quasi, fatta eccezione per qualche collezionabile. Insomma, Resident Evil 2 e relativo remake, almeno in questo caso, non hanno fatto scuola.

Ma il nuovo Alone in the Dark, al netto di una serie di difetti tecnici (comunque in gran parte risolti grazie alle patch) e qualche caduta di tono generale, ha avuto soprattutto il demerito di uscire a distanza più o meno ravvicinata di altri survival horror come Alan Wake 2, il remake di Dead Space e quello di Silent Hill 2, finendo, un po' come The New Nightmare, a sembrare “uno dei tanti”.

La cosa che, a livello personale mi ha dato più fastidio, è un atteggiamento generalmente negativo nei confronti del gioco per partito preso, come se non fosse ormai una consuetudine lanciare giochi imperfetti o incompleti e poi sistemarli nelle settimane successive. Per questo, vorrei che le testate online pubblicassero, a distanza di almeno un anno, una seconda recensione per offrire all’utenza uno sguardo più completo sui titoli. I giochi non hanno una data di scadenza, non bisogna necessariamente comprarli al day one a settanta euro, e non bisogna soprattutto bollarli come monnezza senza possibilità di appello. In linea generale, mi sembra un atteggiamento dovuto soprattutto alla piega che sta prendendo questo settore, che, almeno a mio personalissimo parere, non riesce più a offrire esperienze che sappiano stupire davvero i giocatori, imbarbarendosi verso titoli che mi sembrano tutti fatti con lo stampino, licenziando interi team di sviluppo in caso di vendite non soddisfacenti.

E infatti, Pieces Interactive ha chiuso i battenti solo quatto mesi dopo la pubblicazione di Alone in the Dark, titolo non privo di difetti e lontano dall’essere ricordato come qualcosa di memorabile, ma un progetto in cui si è tentato di riversare tutto l’impegno e lo sforzo possibile per far ripartire una saga che sembra, ironia della sorte, essere maledetta da una sorta di incantesimo oscuro che affossa ogni tentativo di rilancio.

E allora invito gli amanti del genere a dare una possibilità a questo Alone in the Dark. Un altro reboot prima o poi arriverà, ma ci vorrà tempo.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata agli orrori di provincia e al folk horror, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

Odio il lore

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