Ayo: A Rain Tale è un RCM! con poca "M"
Anton Ego è senza alcun dubbio il mio critico preferito, in senso assoluto, e ho sempre desiderato attaccare un pezzo citando la sua più celebre recensione, pur non condividendola fino in fondo. A costo di passare per buonista, per me scrivere o leggere recensioni negative è più un dispiacere che un sollazzo (oddio, poi c’è caso e caso), a maggior ragione se l’oggetto dell’analisi non fallisce per malafede e sottintende del sincero impegno.
Perlopiù preferisco celebrare che stroncare, che messa così sembra una banalità, ma insomma, là fuori è un brutto mondo. Di fronte al lavoro degli altri, calo subito le braghe, finendo con l’empatizzare - a volte un po’ troppo - con l’opera e con chi la crea, cercando di afferrare le ragioni di un eventuale fallimento e decifrare i limiti di chi, quantomeno, ci ha provato. Parafrasando il Lester Bangs di Philip Seymour Hoffman: provo senz’altro a essere onesto, ma difficilmente mi riesce di essere spietato. O più francamente sono di manica larga.
A seguito di questa mia indole da mezzasega, la recensione di Ayo: A Rain Tale è stata un po’ sofferta. Vuoi perché il gioco proviene da Inkline, studio libanese con base a Beirut espressamente fondato con l’intenzione di affrontare tematiche sociali perlomeno spinose (e già è una roba che nei videogiochi si vede di rado); vuoi perché, proprio in virtù di questa vocazione, prova a raccontare - pur passandola sotto il filtro del mito e del folklore - la crisi idrica che affligge l’Africa subsahariana, dove oltre trecento milioni di persone non hanno accesso regolare a fonti di acqua potabile e il rifornimento idrico dei villaggi è spesso appannato alle sole donne.
Proprio una di queste donne, la giovane Ayo, è protagonista dell’avventura raccontata da A Rain Tale; un’avventura che, per recuperare il prezioso sostentamento, la porta ad affrontare le avversità del deserto e persino ostacoli di natura sovrannaturale.
Purtroppo, nonostante le buone intenzioni, il gioco si presenta maluccio. A livello di meccaniche siamo di fronte a un platform piuttosto lineare, travestito da metroidvania, costruito attraverso una fisica semi-realistica alla Prince of Persia/Another World, dai quali si stacca tuttavia per una scelta più lacunosa che curiosa: la protagonista, Ayo, può saltare, arrampicarsi, correre, ma non può mai abbassarsi. Questa soluzione, soprattutto se si è abituati a un certo tipo di meccaniche, vincola tantissimo la pratica col gioco e, con tutta la buona volontà, non sono riuscito a giustificarla in nessun modo che vada al di là della svista di design.
A livello visivo, il primo impatto con Ayo: A Rain Tale non è poi così male: la direzione artistica, nonostante alcune soluzioni un po’ dozzinali, offre una discreta varietà di scenari, una disposizione cromatica piuttosto buona, e nel complesso mi pare riesca a imbroccare l’atmosfera che va cercando. La protagonista, poi, è particolarmente riuscita, sia a livello di animazione che di caratterizzazione, e il gioco la valorizza attraverso regia e movimenti di camera. Tuttavia, la qualità non sempre si mantiene costante: le scene di intermezzo sono animate con pochissimi frame; alcune soluzioni artistiche in-game (su tutte, le sequenze di morte) suonano un po’ amatoriali, il sonoro passa del tutto inosservato (o inascoltato), mentre la caratterizzazione grafica dei pochi personaggi di contorno e dei vari mostriciattoli che infestano il deserto è parecchio dissonante rispetto alla resa della protagonista (su cui, evidentemente, lo studio ha investito più risorse). Ciò nonostante, nei suoi momenti migliori A Rain Tale ricorda un po’ Ori and the Blind Forest, che mi azzarderei a definire il principale riferimento di Inkline, anche a livello di meccaniche.
I veri problemi di Ayo, però, emergono dal gameplay e, soprattutto, dal level design. Già durante le prime fasi dell’avventura, la cattiva progettazione e la scarsa leggibilità degli ambienti viziano il rapporto col gioco, e a peggiorare le cose ci si mettono pure alcune imprecisioni del sistema di controllo, assieme alla succitata incapacità di abbassarsi. A spadroneggiare, all’inizio, è soprattutto la frustrazione, oltre alla sensazione che lo studio non abbia ripulito abbastanza il gioco, che non lo abbia testato a dovere. Quasi tutti gli ostacoli sembrano più involontari che ponderati; spesso la camera mostra il fianco a punti ciechi dove l’unica cosa da fare è affidarsi all’istinto (o al caso), mentre di tanto in tanto ci si incarta in strade senza uscita abbastanza inutili. In quest’ottica, la possibilità di resettare il gioco in qualunque momento, riportando automaticamente la protagonista all’ultimo “punto di controllo”, ha tutta l’aria di un’ammissione di colpa.
Anche l’interfaccia informativa, per quanto essenziale, risulta poco chiara. Il game over è praticamente assente - al giorno d’oggi e in un gioco del genere, non ne faccio di certo una questione - e magari sarò scemo io, ma non sono riuscito a distinguere con chiarezza le situazioni da “morte sul colpo” da altre apparentemente molto simili.
Superato il primo terzo dell’avventura, le cose migliorano un po’. La grammatica di gioco si fa più chiara, compare qualche semplice puzzle e la protagonista, grazie all’intercessione dei misteriosi gemelli Asili, guadagna progressivamente una serie di abilità (doppio salto, la capacità di smuovere ostacoli e cose così) che movimentano un po’ le cose, anche se non sempre l’incremento di potenza viene controbilanciato da una difficoltà adeguata.
A metà gioco le cose vanno ancora un pochino meglio; il ritmo inizia a disegnare una curva perlomeno funzionale, il level design finalmente ingrana e riesce a costruire dei puzzle carini (per quanto non superino mai il minimo sindacale). A un certo punto parte anche una meccanica di gameplay “bipolare” basata sull’alternanza di luce e ombra - alla Outland - che spinge un po’ l’azione in verticale e regala una manciata di momenti sinceramente divertenti e riusciti, oltre a obbligare il giocatore a imparare qualche manovra inedita.
Anche i duelli con i boss non sono male. Anzi, sono forse la cosa più riuscita del gioco, tutti ben basati su un mix di destrezza e ingegno (la protagonista non possiede poteri offensivi: Ayo: A Rain Tale è un gioco pacifista), se non fosse che se ne incontrano soltanto due. Eppure, tutta la risalita che precede l’ultimo avversario, Ja Thunderstorm, l’ho trovata avvincente, e lo scontro finale gestito come un lungo inseguimento mi ha persino fatto tirar giù qualche santo, fermo restando che nel complesso Ayo: A Rain Tale non mi ha mai messo davvero in difficoltà (e non sono mai stato il ragazzino più intelligente della mia classe).
Nonostante non emerga a livello di gameplay, non si può nemmeno dire che al gioco di Inkline riesca di raccontare per bene la storia che vorrebbe. L’unico momento in cui sono riuscito a entrare davvero in empatia con la protagonista è stato durante una delle sequenze finali, dove vengono lasciati da parte superpoteri e ambientazione fantastica per prendere brevemente la piega di un “interactive drama”.
In effetti, probabilmente gli asset e lo stile di Aya: A Rain Tale avrebbero avuto vita più facile appiccicati a un contesto meno dinamico, ma evidentemente lo studio desiderava mettersi alla prova con un gioco-gioco, e mi tocca pesarlo per quel che è.
Come avrete capito dal titolo, direi che il centro non c’è stato. Tuttavia, ho avuto la netta sensazione che i designer siano cresciuti assieme al gioco, per padronanza e consapevolezza di linguaggio, e che potrebbero fare tesoro di quest’esperienza per un eventuale prossimo progetto. In fondo, come avrebbe detto Mr. T in uno dei suoi pistolotti, si impara pure dagli errori.
Ho giocato ad Ayo: A Rain Tale in versione Mac grazie a un codice Steam gentilmente fornito dagli sviluppatori, portandolo a termine nel giro di cinque ore comode. Purtroppo, a causa dei problemi che ho elencato nella recensione, e nonostante qualche asset effettivamente pregevole, non mi sento di consigliarlo (fermo restando che la mia vuole essere una di quelle insufficienze che si danno a chi si è impegnato ma non ce l’ha fatta, e non a chi ha fatto il furbo). Se volete comunque dare la vostra chance al gioco, da oggi lo trovate su Steam e App Store, per PC e Mac, allo speciale prezzo di lancio di 6,99 € (che diventeranno 9,99 a partire dal prossimo 16 novembre). Vedete voi.